16. You hate that you want me

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SEBASTIAN

Londra era una città così piovosa, fredda e cupa, soprattutto in questo periodo.
Era la mia città perché rifletteva perennemente la mia anima, così come i lievi raggi di sole che filtravano tra le nuvole.

Erano come la fiamma dell'accendino che andava a colpire la superficie plantare dei miei piedi, bruciava, lasciava segni che nessuno poteva vedere, ma cazzo, faceva anche così bene.

Quei raggi, così come la lingua di fuoco, erano la speranza di un giorno perfetto, erano l'unica luce nell'oscurità.

Volevo essere in città, invece era ancora la notte del ballo e noi eravamo appena tornati al bungalow dopo la sua confessione.

Si stava lavando, sciacquava via i peccati che credeva di aver commesso, ma in realtà era ancora pura per me, lo era più di ogni divinità esistente nella mitologia.

Ripensai ai raggi solari, quella luce bruciava al ricordo di poche ore prima, a quando l'incubo aveva avuto il suo inizio.

«Non è stato consensuale», mi aveva detto e quelle parole rimbombavano nella mia mente instabile troppo spesso.

Non è stato consensuale.

Non è stato consensuale.

Non è stato consensuale...

La mia piccola Amira è stata stuprata e ha perso così la verginità.

Sussultai per la veridicità del mio pensiero, il mio cuore cadde in frantumi così come qualsiasi traccia di razionalità.

Sprazzi della nostra conversazione continuavano a tornarmi in mente, il modo in cui non volle spiegarmi nulla, di come la maschera era caduta ed ogni cosa era diventata ormai chiara per me.

Avevo un dubbio, un dubbio che non era ancora risolto, ma lei aveva detto che non era stato lui, quindi dovevo ancora trattenermi.

«Dimmi solo se è stato Brett», se fosse stato lui il colpevole non avrei avuto pietà.

«No», la sua risposta fu secca. Volevo sapere tutto, ogni dettaglio e ferirmi con quei stessi particolari. Volevo uccidere chiunque aveva osato sfiorare la sua pelle, volevo farlo a pezzi.
Ero però bloccato, come facevo a preoccuparmi per lei se non potevo mostrarmi preoccupato?

Dirle quelle parole poco prima era stato uno strazio, ogni insulto per lei era una ferita per me, ma dovevo farlo.

Ma lei era stata comunque ferita e io non ero lì a difenderla.

Spensi la fiamma e aspettai qualche secondo per capire se ne avessi abbastanza, ma no, i miei pensieri continuavano ancora a vorticare incessanti.

Non ero riuscito a proteggerla, la mia Amira era rotta, spezzata.

«È per questo che non vuoi andare oltre la castità del bacio? Per questo sei così legata alla chiesa?» le chiesi osservando il profilo perfetto del suo viso.

Avrebbe avuto senso, ai nostri tempi era più importante il rapporto fisico, se ne parlava così apertamente che quasi veniva messa pressione su di noi per muoverci ad esplorare ogni ambito del piacere.

Non esisteva il pudore e chi voleva conservarsi per la persona giusta era uno sfigato per la maggior parte della gente.

«Si, più a meno», ammise e di nuovo sentii una profonda fitta al cuore.

Per colpa di uno stronzo qualsiasi lei si stava negando un piacere che magari avrebbe voluto conoscere.

Chiusi gli occhi e cercai di scacciare via l'immagine di poche ore prima, il modo in cui il suo volto era deformato dalla sofferenza e dalla paura.

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