9. Sweet vanity you're my favorite sin

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SEBASTIAN

Lunghi capelli rossi come le quieti fiamme dell'inferno, pozze d'acqua delle grotte più oscure e il fisico dell'innocenza erano tutti racchiusi in una sola persona.

Si muoveva con leggiadria mentre metteva in ordine la cucina, io ero lì, poggiato allo stipite della porta che osservavo la mia Amira in rigoroso silenzio.

Ogni volta che la guardavo, i ricordi correvano come una mandria di tori impazziti nella mia testa. La promessa ormai infranta si manifestò in quel momento come un promemoria per ricordarmi l'odio che dovevo provare.

Eppure non potei che essere scosso da un profondo calore mentre la osservavo, ogni atomo del mio corpo mi spingeva a provare, ma non potevo.

"Quando non sai controllare le tue emozioni trova qualcuno su cui sfogarle. Le persone, Sebastian, sono dei burattini che puoi controllare a tuo piacimento, oppure diventare uno di loro ed essere controllato. Sta a te la scelta. Vuoi essere il burattino o il burattinaio?"

Subito la voce di Frank apparve accanto alla promessa spezzata, le sue parole erano il mio mantra.

E io come mio padre mi insegnò, sfogavo le mie emozioni su Arabella, le mostravo l'odio, il rancore per nascondere ciò che da anni mi tormentava.

Mentre la osservavo persa nei suoi pensieri, riuscii ancora a vedere i suoi ricci bambineschi coprirle il viso, la timidezza nascosta da una barriera invalicabile che erano i suoi occhi. Il problema era che per me lei non era mai stato un burattino e per questo si stava rivelando più difficile del previsto.

Io ricordavo ogni dettaglio del nostro primo incontro, non vi era nulla capace di sfuggire alla memoria della mia mente e quelle piccolezze nel corso degli anni vennero poi soffocate dalla fiamma dell'accendino. Come ero solito fare, l'accesi, l'osservai e pensai a lei.

Portai la lingua di fuoco a collidere con il palmo della mia mano, il calore bruciante iniziò a farsi sentire, ma non la spostai, aspettai, aspettai e... era lì il limite. Di colpo la spensi quando mi accorsi che non potevo andare oltre, lasciare segni così visibili sulla mia pelle.

Era ormai sera, Aliza se ne era andata da qualche ora, avevamo già cenato. Dovevo solo tornare in camera, chiudermi lì e riflettere sulle ingiustizie della vita come un normale adolescente, eppure mi era impossibile. In quel momento decisi di accogliere quel pensiero pressante che mi spingeva ad aprire la bocca quando non dovevo.

«Piaccio alla tua amica», eruppi facendo sobbalzare l'esile corpo di Arabella. Lei si voltò verso di me con una mano sul petto e qualcosa luccicò nei suoi occhi quando vennero a contatto con i miei.

Fu allora che capii che una profonda parte di sé sapeva, scalciava per ricordare, ma non ci riusciva, era avvezza al fallimento.

«A te lei piace?» sussurrò stringendosi nella sua felpa troppo grande.

«Ti interessa veramente la risposta?» feci qualche passo finendo a pochi centimetri dal suo viso timoroso.

«Potrebbe», abbassò lo sguardo come se non fosse degna di mostrare la sua anima agli altri, eppure io in quell'anima trovavo la perdizione che l'inferno era in grado di dare e la salvezza che solo Dio poteva donare.

«Non mi interessa minimamente, però potrei divertirmi», ghignai nel vedere come i suoi occhi si sbarrarono alle mie parole. Amavo provocarla, era sempre una mescolanza di pensieri nascosti, in quel modo però potevo far uscire la piccola Arabella che voleva urlare al mondo i suoi giudizi.

«E non fare quella faccia, potrei pensare che sei tu quella a volersi divertire con me», continuai ad avanzare e lei come se fosse collegata a me indietreggiò per mantenere sempre la stessa distanza.

Stuck In The StarsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora