2. La Spada nella Tana

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L'ultimo Drokhan-Ilthir era una spirale nera. Una spirale nera formata da due linee, che si intrecciavano appena sotto la spalla.
Enorhik esaminò la stoffa della manica, bruciacchiata e fumante.

«Ho contattato gli altri. Credo che da Nohot faranno prima.»

Enorhik seguì con gli occhi la Fata che aveva appena parlato, e considerò che le sue ali d'oro sostenevano un volo leggero e aggraziato. Per quanto Myrhiam gliene avesse parlato, non era così che si era immaginato la famosa Rahae.

«Arriverà anche mia sorella?» domandò.

«Sì, e dubito che sarà sola.»

Enorhik riprese a guardare il Drokan-Ilthir e digrignò i denti. Di certo Rahae alludeva al principe degli Elfi, quello che faceva la corte a Myrhiam. Con tutte le fanciulle che vivevano a Faerie, proprio lei aveva dovuto importunare?

«Quando fui io a superare la prova, tuo padre era già stato designato Guardiano» interloquì Rahae. «Sai cosa mi disse, per prima cosa?»

Enorhik scosse il capo.

«Di premere la cicatrice con un dito.»

«Perché?»

«Provaci» lo invitò.

Enorhik ubbidì, e spinse l'indice sulla pelle bruciata; inaspettatamente, non incontrò alcuna resistenza e sprofondò nella carne fino alla nocca.
«Impressionante» borbottò, estraendo il dito e agitandolo come per asciugarlo. «Serve a qualcosa?»

Rahae stava per rispondere, ma Prath'ma parlò prima.
«Sta tornando normale» annunciò. «L'elsa non sfrigola più.»

Prath'ma era intenta a studiare la Spada: la osservava da vicino, senza osare toccarla, e ne considerava minuziosamente i dettagli.
Enorhik la guardò a sua volta, e si disse (anzi, si ripeté) che era un oggetto straordinario.
La lama, lunga e brunita come una stalattite di vetro nero, si imperniava su un'elsa immateriale, simile a plasma scoppiettante di elettricità. Tutt'attorno, l'aria era impregnata di lei, e si avvertiva qualcosa simile al profumo secco del cuoio e del legno bruciato.

«Il tempo l'ha resa instabile» continuò la veggente. «È incontenibile; la sua energia si propaga come un incendio nella steppa.»

Enorhik approvava il timore reverenziale con cui Prath'ma si teneva a debita distanza. Aveva dovuto impugnare la Spada per affrontare la prova, e ancora non si capacitava della spropositata fatica fisica e mentale che gli era costata.

«Si direbbe ancora affilata» riprese Prath'ma, «dopo tutti questi anni.»

«Non ha bisogno di manutenzione, ci pensa da sola a conservarsi» spiegò Rahae, con le braccia conserte di chi affronta un discorso difficile. «An'mil ha il carattere indipendente e stizzoso della folgore che racchiude. La mia Arben era molto diversa. Lei... lei richiedeva cure e attenzioni.»

Enorhik si fece più attento. «Arben e An'mil sono... i nomi delle spade?»

«Hanno forma di Spade, ma sono creature viventi. In un certo senso, il vero Ordine dei Guardiani sono loro.»

«Quante ne esistono?»

«In origine erano cinque; ora sono quattro, di cui una è in possesso del Nemico.»

Enorhik si avvicinò all'involto di velluto su cui era adagiata e la osservò con rispetto.
«An'mil... è un onore fare la tua conoscenza.»

L'elsa diede una violenta scarica, e nella lama semitrasparente si agitarono delle ombre. Tutti e tre si ritrassero.

«Ha un brutto carattere» spiegò Rahae, tornando cauta al suo posto. «Non ti faciliterà le cose; dovrai essere paziente.»

Enorhik non era sicuro di aver capito cosa intendesse con quelle parole, ma si diede un'aria di importanza e non commentò. Invece chiese: «Mentre la Spada che ti apparteneva si  chiamava... hai detto "Arben", mi sembra.»

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora