50. Il Bianco Corteo

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Ogni Elfo di Nohot doveva trovarsi fuori dal Palazzo: era impressionante la folla radunatasi per accogliere l'arrivo della famiglia di Vejasor, e altrettanto mozzafiato era la delegazione giunta da Xtyglen.

«Sono vestiti di bianco, come prescritto dal Libro delle Cerimonie» commentò Feram, mentre assicurava tra i capelli di Myrhiam un fiore di ametiste. «Tra poco saranno qui.»

La Fatina osservò dall'alto della sua finestra il lungo corteo risplendente che marciava solenne verso il Palazzo. C'erano almeno duecento cortigiani a precedere la Sacra Corona; una volta passati quelli, sopravvenne la sontuosa biga su cui re Xty e Vejasor avanzavano.
Dal momento in cui la scorse, Myrhiam sentì sabbia anziché saliva sotto la lingua.

«Unicorni» osservò Feram. «Unicorni e finimenti d'oro. Ne deduco che la Sacra Corona equipari il Patto a un matrimonio.»

Myrhiam tacque. Affacciarsi era molto più semplice che pensare a qualcosa.

«Guarda come sta fermo» riprese Feram. «Lo vedo alle parate sin da quando era alto così, e ti assicuro che offre sempre lo stesso spettacolo: non diresti nemmeno che respira. Forse ha davvero qualche antica benedizione nel sangue.»

Myrhiam scrutò Vejasor condurre il carro a passo d'uomo. Feram aveva ragione: era di un'immobilità inconcepibile, granitica e marmorea. Nemmeno il re, in posizione leggermente arretrata, appariva altrettanto saldo e incrollabile.

«La Corte Luminosa... non è un nome a caso. Questi Elfi portano la luce del giorno nel regno della notte.»

Non erano solo gli abiti bianchi e i paramenti dorati, rifletté Myrhiam. C'era qualcosa nel corteo che diffondeva chiarore, malgrado la penombra perenne di Nohot. Forse era la carne luminescente di Vejasor, forse lo scettro e la corona a forma di sole di Xty, o forse un incantesimo misterioso... comunque, la strada maestra ora risplendeva come la Via Lattea.

«Ecco che viene Fertyti.»

Una decina di fanciulle elfiche spargeva foglie e petali dietro la biga reale per preparare il passaggio della regina. Myrhiam non riuscì a vederla, nascosta com'era dietro le cortine di una portantina d'oro; invece scorse Jorio che, per ultimo, procedeva appiedato.

Chiudevano la sfilata dozzine di guardie con elmi lucenti e lance bianchissime, dignitari a cavallo e, in file ordinate, Elfi che imbracciavano canestri carichi di fiori.

«Sei pronta?»

La Fatina rivolse lo sguardo al Bianco Corteo e sentì le ginocchia cedere.
«Devo esserlo.»

«Niente di più vero.»

Tre leggeri colpi alla porta la fecero trasalire.
«Devo andare» sussurrò Myrhiam. «È Taentil, devo andare.»

«Che le Driadi ti accompagnino.»

La principessa di Nohot attendeva fuori dalla camera, severa e meravigliosa, in un abito grigio leggero come l'aria. Non disse nulla e non si mosse, finché Myrhiam non le rimandò un cenno di assenso. Quindi la invitò a seguirla con un asciutto "andiamo" e si diresse verso la sala del trono.

Scale, corridoi, stanzoni, anditi... Man mano che si avvicinava alla destinazione, la Fatina avvertiva il cuore fibrillare e il respiro non bastare. Si sentiva la testa vuota, o meglio sommersa da una marea di sensazioni ovattate e soverchianti. Per l'agitazione rasentava l'apnea e, stordita dall'ansia, si muoveva per inerzia.

«Voi, dietro di me.»

Le fanciulle elfiche che attendevano davanti alla sala del trono erano state scelte tra le aspiranti ancelle di Taentil: sarebbero state loro a comporre il suo seguito, per l'intera permanenza della Corte Luminosa a Nohot. Tre volti nuovi a Palazzo, tre giovani che fra loro non si conoscevano: secondo la principessa, erano indispensabili per mimetizzare la presenza di una straniera come Myhriam ed evitare fastidiose domande.

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora