35. La corte di pietra

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Non sarebbe facile decidere se il vero protagonista del primo pranzo nell'ambasciata di Nordian fu il gelo tra Myrhiam e Feram oppure l'incessante monologo cominciato da Nelgon. Se da una parte del tavolo squadrato, infatti, un tangibile muro di silenzio separava due Fate, dal lato opposto teneva banco il terzo commensale: dapprima tessendo le lodi del pasto, poi lamentandosi del dolore alla guancia e quindi ammettendo che la puntura di formica stava cominciando a sgonfiarsi... il tutto senza apparire particolarmente disturbato dall'atmosfera pesante che regnava nella sala.

Myrhiam non aveva la benché minima voglia di ascoltarlo; già era un'impresa sopportare il suo eloquio supponente e borioso nelle giornate serene, figurarsi nel pieno di un litigio con Feram!
Si trattenne dal propinargli un incantesimo Cucibocca solo perché un pranzo silenzioso le avrebbe dato ancora più noia. Lasciò quindi scorrere le sue parole vuote, tenendo gli occhi fissi sul piatto e domandandosi se quell'estroversione improvvisa era naturale o frutto di una qualche droga mescolata al cataplasma preparato da Feram.

«...e comunque, le formiche non dovrebbero avere libero accesso all'ambasciata. A Shelrah ci sono miriadi di alberi, di uno possono fare a meno.»

Feram si limitò a mugugnare qualcosa che assomigliava a un "in effetti", ma non si mostrò altrimenti preoccupata di esibire chissà quale attenzione. Myrhiam osservò con una punta di compiacimento che la discussione di poco prima continuava a turbarla: lo si evinceva dal modo in cui rispondeva Nelgon, annuendo o bofonchiando monosillabi, per poi ripiombare inesorabile nel suo mutismo.
Il solo, serio contributo che diede alla conversazione fu la reazione scocciata e impaziente quando le fu chiesto se fosse ancora arrabbiata per la Rimembranza di Manthad. Evidentemente, pensò Myrhiam, la domanda toccava un nervo scoperto.

«No, non sono più arrabbiata» dichiarò, asciutta. «Le parole di Manthad erano fuori luogo, ma non ci posso fare niente; ormai è andata così.»

«Però a me sembri ancora nervosa.»

«In che senso ti sembro nervosa?»

«Hai appena fatto sfiorire una pianta» rispose Nelgon sulla difensiva, indicando i petali caduti dall'elleboro che ornava la mensa.

«Non l'ho fatto apposta. Tra formiche velenose e rivelazioni varie, per coronare la giornata di oggi manca solo una scampagnata a Klado Oth.»

Myrhiam le scoccò un'occhiata tagliente, ma non fece commenti.

«Per quale motivo ti ha dato così fastidio che Manthad parlasse del passato di Centhuzâr?» insistette Nelgon, inforchettando un brandello di frittata di quaglia. «Secondo me è stato un bel segno di amicizia.»

«Ah, non è stato un segno di amicizia, stanne certo» ribatté lei. «Manthad conosce le disposizioni del Consiglio Supremo che impediscono di affrontare il problema della Grande Migrazione. Tra stirpi diverse non bisognerebbe parlarne.»

«Perché no?»

«Perché a discutere delle origini di Faerie si finisce sempre per litigare» rispose. «Ogni popolo ha la sua versione delle colpe e dei meriti relativi ai grandi eventi che si sono verificati in quegli anni, e ognuno sostiene strenuamente di avere la soluzione ai problemi che affliggono la nostra era. Per esempio, secondo i Centauri l'unico rimedio ai guai dell'Alleanza sarebbe quello di abbandonare le Dimensioni incantate e tornare tutti ad abitare nella Terra della Radice. Ma ve lo immaginate?»

Myrhiam sollevò gli occhi, incuriosita dall'argomento e dal tono animoso della sua maestra.

«Manthad ha cercato di plagiarvi, imponendovi la sua versione dei fatti. Non ha avuto alcun rispetto per il punto di vista delle Fate» riprese Feram. «E come se non bastasse, ha fatto sembrare tutto una profezia, o una visione. È inaccettabile. Inaccettabile.»

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora