12. Emblemi e sigilli

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Il principe degli Elfi non si fece vivo per molti giorni, anche dopo che Myrhiam si fu completamente ripresa e ristabilita dall'assalto di Lerbag.

La Fatina sapeva che Vejasor aveva una vita piuttosto intensa, tra incarichi diplomatici e missioni militari, ma da quando si erano conosciuti non era mai trascorso tanto tempo tra un incontro e l'altro; cominciava a stare in pensiero.

Non che avesse nulla di importante da dirgli. Aveva solo bisogno di vederlo e, magari, di chiedergli ragione della sua presenza durante l'evocazione della Speranza. Quelle domande, però, erano destinate a rimanere a lungo senza risposta.

Fata Rahae non era d'aiuto. A richieste e sollecitazioni non dava riscontro, all'udire il nome di Vejasor storceva il naso, ed esibiva un atteggiamento del tutto indifferente all'inquietudine della sua allieva; invece, continuava a condurre la vita di sempre, con la solita calma e col solito silenzio, aggiungendovi giusto le lezioni di magia per i combattimenti... e il tabù più assoluto sul discorso "principe degli Elfi".

Un giorno Myrhiam, esasperata dalla completa assenza di notizie, si risolse a tartassare la sua maestra di domande finché non fosse riuscita a estorcerle almeno una mezza parola... perché, ne era certa, Rahae sapeva. Oh, era evidente che sapeva.

E in effetti, bersagliata come fu di richieste martellanti, qualcosa rivelò; Myrhiam avrebbe dovuto essere felice di aver raggiunto il proprio intento, ma la risposta che ricevette le fece subito rimpiangere di aver insistito tanto.

«Quando sarà opportuno vi vedrete, figlia di Caillon. E nel frattempo potresti approfittarne per riflettere a tua volta.»

Dunque Vejasor stava riflettendo.
Che verbo terribile da sentire, per una Fata innamorata!
Da qualsiasi parte la rigirasse, non era in grado di trovare in quella frase un senso che suonasse anche solo vagamente rassicurante.
Se solo avesse saputo su cosa stava riflettendo...! Ma, purtroppo per lei, non ci fu modo di strappare a Rahae il minimo chiarimento, e dovette tenersi per settimane il dubbio logorante che Vejasor stesse rinunciando alla loro relazione.

Insomma, tra la convalescenza, la prospettiva di duellare contro Lerbag e la mancanza del principe degli Elfi, la primavera nella Terra della Radice non aveva preso avvio sotto i migliori auspici. Ma la situazione era quella, e bisognava adattarsi.

Per quanto poté, riversò tutte le energie di cui disponeva sugli incantesimi che Rahae le stava insegnando. Apprese come scagliare dardi brucianti, come fare apparire armi evocate, e come creare scudi incantati.
Imparò persino qualcosa di nuovo su sé stessa perché, in una serata di pioggia battente, la sua maestra volle iniziarla alla via della Chiaroveggenza, insegnandole un incantesimo particolare.

«Ormai la tua essenza feerica è pura» disse, al termine di una lunga seduta di esercizi per disegnare correttamente il Sigillo di Occultamento. «Espellendo la Bludho hai disperso le nebbie che impedivano alla tua natura di definirsi. Se lo desideri, ora puoi apprendere qualcosa su di te attraverso un semplice sortilegio.»

«Su di me o sul mio futuro?» domandò Myrhiam, perplessa.

«Non presentare le due alternative come se si escludessero. Il tuo futuro dipende in larga misura proprio da ciò che sei.»

Rahae invitò Myrhiam a seguirla nella saletta che, nella tana, era adibita a studio e biblioteca. Vi entravano di rado, e la Fatina fu lieta di immergersi nel profumo dei papiri invecchiati sugli scaffali.

«Sediamoci.»

Presero posto sul divanetto imbottito di erbe essiccate che arredava l'ambiente, e stettero l'una accanto all'altra; sebbene ormai Myrhiam conoscesse bene la sua maestra, si sentì in soggezione nello starle così vicina.

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora