32. Centhuzâr

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Il soffitto era nero come la pece, nella notte senza luna di Shelrah, e Myrhiam lo scrutava con gli occhi sbarrati mentre si girava letteralmente i pollici.
Non c'era niente da fare, di dormire non se ne parlava proprio, e di certo gli uccelli notturni, il caldo umido e il respiro rantolante di Nelgon non la aiutavano a far tacere i pensieri e ad arrendersi al sonno ristoratore.

Sbuffò piano. Era stufa marcia di arrovellarsi sulla questione dei Guardiani, ma non riusciva a farne a meno. Ogni santa volta che cercava di deporre le mille congetture che almanaccava senza sosta, un nuovo pensiero si insinuava nella mente come una zanzara nel dormiveglia, rigettandola nell'asfittico labirinto dei suoi ragionamenti senza capo né coda. Perché in fondo era di questo che si trattava: di pure speculazioni e di ipotesi barcollanti, costruite su fragilissime premesse.

Non aveva prove che i Guardiani c'entrassero qualcosa con lei, e le scarse informazioni che era riuscita a racimolare nel corso delle ultime tre settimane erano pressoché inutili al fine di risolvere l'enigma del suo destino.
Scoprire che i Guardiani erano stati quattro o cinque eroi di guerra di un lontanissimo passato non le dava alcun indizio sulla profezia di Fillis-tara, e che costoro avessero vissuto ai tempi dell'istituzione del Consiglio Supremo era altrettanto scoraggiante. Cosa potevano c'entrare con lei quattro combattenti? E come poteva un passato così remoto collegarsi al suo futuro di Fata?

Il buon senso le diceva di lasciar perdere e di dormire, una buona volta, ma una odiosa quanto petulante vocina le ripeteva di non arrendersi, dal momento che stava seguendo la pista giusta. Non era forse troppo evasivo il modo con cui Feram trattava l'argomento? E le occhiate trionfanti che riceveva da Nelgon ogni volta che tentava di approfondire la questione, non erano il  chiaro segnale che, con le sue domande, stava violando una sorta di tabù?
Un tabù... proprio come quello che gli Anziani avevano imposto a tutto il Luogo Senza Tempo, e proprio come il Sigillo che aveva legato la lingua di Vejasor!

«Basta pensarci!» borbottò, esasperata dalle sue stesse fantasticherie. «Domani è un giorno importante e voglio dormire!»

Si volse su un fianco nell'istante in cui un accecante Fuoco Fatuo si affacciava, fluttuando, fuori dalla finestra.

«Non posso presentarmi a Centhuzâr con gli occhi crepati di sonno!» si lamentò, coprendosi il viso con il braccio.

L'indomani si sarebbero recati dall'ambasciatore del popolo Centaurico, e non c'era da scherzare. Myrhiam doveva dare il meglio di sé, sia per ricompensare le fatiche spese da Feram nell'insegnamento, sia perché sperava che il Centauro Manthad sarebbe prima o poi diventato uno dei suoi colleghi ambasciatori.

«Quindi vedi di dormire» si ordinò, rigirandosi di nuovo. «Rilassati e pensa a qualcosa di bello. Pensa a Vejasor.»

La soluzione sembrava essere sempre lui. Era arrabbiata? Bastava pensare a Vejasor e si tranquillizzava. Era incerta sul futuro? Bastava pensare a Vejasor e si rassicurava. Aveva paura di Lerbag? Bastava pensare a Vejasor e si sentiva forte. Praticamente aveva trovato nel principe degli Elfi una panacea per tutti i mali: perché non ricorrervi in una notte insonne? Chiuse gli occhi e, fiduciosa, lasciò vagare la mente avanti e indietro nel tempo.
Prima pensò sorridendo alla visita clandestina nel Sacro Palazzo; poi sospirò al ricordo di quando si erano incontrati per la prima volta davanti al quadro di Rahae; dopodiché rievocò con struggimento il bacio sfiorato con cui lo aveva salutato l'ultima volta... e infine si chiese imbronciata quando mai si sarebbero rivisti o sentiti.

Chissà se Rahae gli aveva almeno fatto sapere che era diventata apprendista ambasciatrice; ormai erano passate alcune settimane da quando l'aveva pregata di farlo. Eppure, né dalla tana, né da Vejasor erano arrivati segni di vita.

Le Sette Vie. Storia di una Fata della SperanzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora