Mi sveglio nella stessa posizione sul letto che era una volta di mia madre. La stanza si sta bagnando della debole luce dell'alba. Non voglio alzarmi, voglio riaddormentarmi e tornare là e trovare Lavinia ad aspettarmi, ma sento che non succederà. Mi rigiro a letto, inquieta, finché non ce la faccio più e mi alzo. Quando scendo noto che in cucina ci sono gli zii Matteo e Beppe oltre alla nonna. Leo starà dormendo ancora, beato lui.
«Oh buongiorno», mi saluta Matteo. «Come mai sei su così presto? Vuoi venire a lavorare con noi in vigna?»
«Non so, mi sono semplicemente svegliata presto», dico, rispondendo apposta a solo una delle due domande. Anche se so che la seconda me l'ha posta per scherzo, non voglio dargli corda. «Forse potrei approfittare per fare qualche versione di latino.»
Beppe sgomita Matteo.
«Hai sentito, tua nipote? Versioni di latino. Non come te, caprone.»
«Se io sono caprone, tu sei un asino», replica l'altro.
«Mi va benissimo, sono bestie intelligenti. Mica come le capre, che puzzano pure.» Matteo mi fa l'occhiolino e io resto impassibile; non che la cosa lo fermi: continuano a battibeccare ancora tra di loro, in veneto però. Per una volta mi sta bene non capire tutto ciò che stanno dicendo.
«Tieni, stéla (stella: vezzeggiativo, NdA).» La nonna mi appoggia una tazza di tè nero davanti, poi incrocia le braccia. «Xe ancora come bòcia (sono ancora come bambini, NdA), quei due. Quaranta anni par gamba (quarant'anni per gamba, NdA)! Sei brava tu, che fai i compiti. Lasciali stare.» Annuisco e le sorrido mentre bevo il tè, poi mangio qualche fetta biscottata con burro e marmellata.
Gli zii se ne vanno poco dopo, scompigliandomi i capelli e facendo un gran casino.
«Hai sognato di nuovo, stanotte?» Mi chiede la nonna quando siamo sole sedendosi davanti a me con una tazza fumante. So che intende sogni lucidi.
«Sì», dico. «Sono tornata al luogo dov'ero ieri.»
«Me lo puoi descrivere?»
«Hmmm, lo stesso grande prato con fiori blu, e poi, molto più in là, una casetta che si affaccia a un lago.»
«Quando ci vai, è sempre giorno?»
«Sì.»
«Interessante. E oggi ti ricordi meglio di ieri cos'hai sognato?»
Glielo confermo: i miei ricordi sono molto più vividi oggi rispetto a ieri. Lei annuisce.
«Più vai in un posto più è facile che, abituandotici, riuscirai ad essere presente e in controllo là e che te ne ricorderai meglio. Era così per me.»
«Tu cosa sognavi, nonna?»
Lei ci pensa un attimo.
«Per me era una montagna, e la neve era come di zucchero filato, dolce se la portavi alla bocca.» Prende un sorso del suo tè e mi scopro impaziente. Voglio che continui, che mi dica di più. «Per mia mamma era un paese disabitato incastrato nella pietra, dove le rocce cantavano. Per la tua...non lo so. Non me l'ha voluto mai dire. Forse lo dirà a te, se glielo chiedi.» Beve di nuovo. «Il paesaggio del tuo sogno lucido dovrebbe riflettere come sei qui dentro», continua, indicando il petto.
«Nonna, hai mai...incontrato nessuno nei tuoi sogni lucidi? E la bisnonna?» Devo sapere. Mi sporgo in avanti, in attesa della sua risposta.
«C'è stato qualche incontro, sì», ammette, e spalanco gli occhi. Ha incontrato anche lei una Lavinia? «Però non erano che ombre, non come persone in carne e ossa con le quali potevo parlare. Al massimo mi guidavano, o indicavano la strada se ne avevo bisogno. Mia madre mi ha raccontato di aver incontrato qualche essere simile.»

STAI LEGGENDO
Come uscita da un sogno
Teen FictionÈ l'estate del 1999, Francesca ha 16 anni ed è costretta a trasferirsi da sua nonna per un mese in uno sperduto paesino della campagna in provincia di Verona. Quello che si preannuncia l'agosto più noioso di sempre si rivelerà invece per lei, grazie...