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Cammino in un prato verde smeraldo puntinato di fiori turchesi. L'erba mi si avvinghia alla vita mentre procedo. Non ho un luogo dove andare: tutto è destinazione, e niente è destinazione. Sono sospesa, leggera come una bianca nuvola solitaria nel cielo celeste, ma sento i piedi appoggiarsi uno davanti l'altro sul terreno. Allungo la braccia attorno a me e sfioro gli steli morbidi; muovo le dita e mi sembra strano vederle danzare.

Sto sognando, lo capisco quando strappo un filo d'erba e questo si muove nel mio palmo come un bruco. Mi fa il solletico mentre cammina placido sulla mia pelle e ridacchio.

Sto sognando, ma mi sembra di poter scegliere io dove andare e cosa fare, non come succede di solito; sono stranamente in controllo.

Provo a gridare, e il mio urlo si perde nell'enormità del prato attorno a me. Comincio a ridere per qualche motivo, ma la mia risata si interrompe secca quando sento una voce alle mie spalle:

«Madonna, mi hai spaccato i timpani.» Mi giro e vedo che è una ragazza. Sembra avere la mia età e indossa una salopette di jeans corta e larga, che le scopre le gambe floride ,sopra una maglietta a righe colorate. Mi squadra a labbra schiuse con un'attenzione tale da farmi arrossire. Mi sento scoperta, come se riuscisse a guardarmi dentro. «Beh, questa è nuova», sussurra, come se non potessi sentirla. «Finalmente una cosa bellina, qualcuno di interessante.» Ha un accento un po' strascicato, forse toscano, con le C aspirate. Poi, a voce più alta: «Non serviva gridare, dai», dice, e mi schiarisco la gola per scrollare di dosso la sensazione di essere infilzata dai suoi occhi intensi.

«Beh, se non grido, come faccio a sapere se sto sognando o no?»

«Ma è chiaro che siamo in un sogno», ride, cristallina. «Guarda! Se non stessi sognando riuscirei a fare questo?»

La sua espressione si accartoccia di concentrazione e quando la tensione si rilascia dal suo volto noto che sta diventando più alta di me— no, non è più alta, sta volando, o meglio, sta galleggiando sempre più in alto.

«Dici che posso farlo anch'io?» Chiedo, ammirata.

«Devi solo provare», risponde guardandomi da lassù.

Strizzo gli occhi come ha fatto lei, penso "voglio volare, voglio volare", e dopo un attimo sento il terreno mancare sotto ai miei piedi. Spalanco gli occhi e vedo che sto galleggiando anch'io a mezz'aria. Lei, nel frattempo, sta nuotando a dorso a qualche metro dall'erba.

«Visto?» Mi dice, e si avvita come fosse un piccolo tornado.

«Beh, sto sognando, allora», concedo.

«Prima volta qui, eh?»

Annuisco.

«Non per te, immagino», dico.

«Oh, decisamente no.» Si allontana di un po' e la seguo nuotando a rana. È davvero carina con il suo viso tondo costellato di lentiggini, le guance piene e arrossate, la lunga treccia castana che le pende alla sinistra e gli occhi dello stesso colore, profondi. Quando sorride l'espressione si allarga a tutto il volto, fino ad alzarle le sopracciglia e l'attaccatura dei capelli. Sembra una di quelle persone che vengono spesso paragonate a fiori, o al sole. Brillante e colorata. Soffice come pane bianco.

«Come ti chiami?»

«Lavinia. Tu?» Si spinge in alto con qualche bracciata.

«Francesca.»

«Benvenuta nel mio sogno, Francesca.»

«Non scherziamo, è il mio, di sogno», ribatto, un po' piccata.

«Certo che no. Chi ti ha insegnato a volare?» Si indica con entrambi i pollici e alzo gli occhi al cielo.

«Questo non significa che il sogno sia tuo.»

Come uscita da un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora