«Nonna, c'è un'edicola in paese?» Le chiedo quando scendo, ancora un po' disorientata dal riposino.
«Certo, è attaccata al municipio, poco lontano alla piazza», dice. «Dovrebbe aprire alle quattro.»
Do un'occhiata veloce all'orologio appeso in cucina: segna le 15.50.
«Posso andare? C'è una rivista che vorrei comprare.» Sempre che esista sul serio e che non sia un'assurdità che la mia mente ha tirato fuori per dare più spessore a un personaggio inventato di sana pianta.
«Certo, prendi pure la bici che preferisci. Ti ricordi la strada, no?»
«Sì», rispondo: l'ho accompagnata il mio secondo giorno qui a fare la spesa e a prendere il caffè con le sue amiche in quello che sembra l'unico, desolato bar del paese. «Ti serve qualcosa fuori?»
«No tranquilla stéla (stella: vezzeggiativo, NdA), grazie. Visto che vai fuori però prenditi anche un gelato, dai», fruga nella sua borsa e mi porge una banconota azzurra da diecimila lire. «Non serve che mi riporti il resto», dice, generosa.
«Grazie, nonna!» Rispondo, e le do un veloce bacio sulla guancia prima di uscire dalla porta.
«Stai attenta in giro, eh», mi grida dietro.
Arrivo in paese accaldata dal lungo percorso in bici sotto il sole del primo pomeriggio e trovo subito l'edicola, che è già aperta. È piccola ma sembra ben fornita.
«Buongiorno», dico entrando. La proprietaria alza lo sguardo dal quotidiano che sta leggendo.
«Oh, buongiorno! Sei la nipote della Nina, giusto?» Chiede, piegandolo. È solo una formalità, perché sa benissimo che lo sono.
«Esatto, piacere», dico, poi, senza perdere tempo: «Sto cercando una rivista particolare.»
«Dimmi.»
«Dunque, dovrebbe chiamarsi Kappa Magazine? È sui cartoni giapponesi, quelle cose lì.» Se Lavinia mi sentisse chiamarli ancora "cartoni" esploderebbe, ma qualcosa mi dice che l'edicolante non conosce i termini giapponesi specifici.
Lei ci pensa un attimo, poi esce da dietro il bancone e raggiunge un angolo della stanza.
«Intendi questo?» Dice, e mi porge una rivista colorata con lo sfondo giallo, rosso e arancione sotto l'immagine di una ragazza poco vestita e di un bambino con un copricapo strano; entrambi hanno occhi enormi che occupano circa metà del loro viso. In alto, a grandi lettere dorate: Kappa magazine plus (la rivista, pubblicata tra il 1992 e il2006 e edita da Star Comics, era considerata la testata più importante di questo tipo in Italia, NdA). Il cuore mi comincia a battere veloce, come se stessi ancora pedalando a perdifiato tra le viuzze sterrate costeggiate dalle vigne.
«Sì, è questo!» Esclamo, e lei sorride mentre raggiunge la cassa.
«Sono ottomila lire.»
Pago con la banconota che mi ha dato la nonna, poi saluto ed esco di lì con il battito a mille e la rivista stretta al petto, diretta verso il bar.
Dentro al locale c'è TeleArena silenziata e la radio accesa. Faccio un cenno alla barista, prendo un Solero e lo pago subito. Le due monete da duecento lire che mi dà come resto scintillano nel mio palmo, dorate come il titolo della rivista sulla copertina. Prendo posto in un tavolino seminascosto, scarto il gelato e ne lecco soprappensiero la copertura ai frutti rossi mentre sfoglio Kappa Magazine. È tutto lì, esattamente come me l'aveva descritto lei: i capitoli dei manga in bianco e nero, gli articoli, la carta ruvida. Riconosco persino qualche autore e titolo tra quelli di cui mi aveva raccontato Lavinia. Non capisco nulla delle storie visto che sono già iniziate in altri numeri della rivista, ma la leggo da capo a fondo e quando ho finito gelato e magazine mi appoggio allo schienale della sedia, stordita.
È reale.
La rivista esiste davvero, e non posso essermela inventata: non l'ho mai vista prima d'ora e leggendola ho trovato parole pronunciate anche da Lavinia.
Le conseguenze di questa scoperta mi lasciano abbagliata, come se avessi guardato il sole troppo a lungo. Allora non mentiva: è una persona vera, e quello è anche il suo sogno. Cosa significa, poi, che lo condividiamo? La nonna mi ha detto che sembra che il paesaggio cambi rispetto alla persona, ma è palese che lei veda esattamente ciò che vedo anch'io.
Inspiro a fondo, strofinandomi il viso con entrambe le mani: la cosa più importante, e che mi sconcerta di più in assoluto di questa faccenda, è che Lavinia è una persona vera, in carne e ossa, reale come il tavolino davanti a me.
Questo significa che ho baciato una ragazza vera, che non è stato solo in sogno. Cioè, sì, l'abbiamo fatto in sogno, ma essendo entrambe persone vere, che respirano e camminano e mangiano e si innamorano, questo dovrà pur dire qualcosa anche nella realtà, no?
Giochicchio un po' con lo stecco di legno del Solero; lei sa che esisto anche al di fuori del sogno? Oppure pensa che io sia immaginaria, esattamente come pensavo lo fosse lei? Perché se sa che sono vera...mordicchio lo stecco, persa nelle mie congetture: se sa che sono vera, significa che è decisamente più coraggiosa di me, e potrebbe significare che anche nella realtà lei...scuoto la testa per evitare di andare troppo avanti con quella catena di pensieri delirante; prima di fare qualsiasi altra cosa devo vederla di nuovo, è quella la cosa più importante. Anche se non potessimo mai incontrarci nella vita reale, avremo sempre il nostro sogno...sì, finché sono dalla nonna. Guardo il calendario appeso dietro al bancone: è martedì 10; la mamma mi verrà a prendere l'ultimo di agosto. Ventun giorni non sono poi così tanti.
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Come uscita da un sogno
Genç KurguÈ l'estate del 1999, Francesca ha 16 anni ed è costretta a trasferirsi da sua nonna per un mese in uno sperduto paesino della campagna in provincia di Verona. Quello che si preannuncia l'agosto più noioso di sempre si rivelerà invece per lei, grazie...