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Quella sera mi addormento


e come al solito mi trovo nel mezzo di quel prato enorme, con l'erba che gioca a farmi il solletico.

«Vento, lei dov'è?» Chiedo in un sussurro, e il vento mi risponde che non è ancora arrivata. «Dille che mi trova al lago», lo istruisco, e volo fino alla spiaggetta di sassolini poco lontano dal pontile. Le libellule mi volteggiano attorno e si riposano sulle mie spalle. Le saluto una a una chiamandole con i loro nomi, che conosco a memoria anche se non li sapevo qualche istante fa, e scandaglio la spiaggia in cerca di sassi piatti da far rimbalzare sulla superficie del lago. Sono al mio quarto, fallimentare tentativo quando la sento arrivare in volo. Mi riempio gli occhi di lei mentre plana, elegante.

«Ciao», mi prende la mano e la stringe. Sorride di quel suo sorriso che potrebbe illuminare una città intera. Inclino la testa per baciarla.

«Ciao», rispondo. «Come va oggi?»

Lei allarga il braccio con la mano libera: «Sono qui, no? E sono con te. Quindi bene.»

Abbasso la testa per nasconderle un po' il sorriso che mi ha appena dipinto in faccia.

«Bene», dico, poi, dopo un istante: «Ti devo parlare. Ci sediamo?»

Stiamo un po' a gambe incrociate a guardare delle libellule volare sulla superficie dell'acqua davanti a noi.

«Ti devo dire tre cose», le anticipo, seria, e le conto a mente: 1) so che è reale; 2) posso sognare e venire in questo luogo solo finché sono dalla nonna; 3) abito a Milano.

«Così mi spaventi», ride lei.

«No, no! Non c'è niente di brutto, solo...cose che non ti ho detto e che forse avrei dovuto dirti prima.»

«Sono tutt'orecchi.»

«La prima cosa è che», inspiro a fondo, «so che esisti. Anche nella realtà, invece che solo in questo sogno.»

«Ma va'?» Ride. «Te l'ho detto la prima volta che ci siamo incontrate, che il sogno è mio!»

«Intendi anche tuo», la correggo, e lei alza gli occhi al cielo. «Comunque ora lo so, ma per un po' di tempo ho pensato che mi stessi dicendo ciò che volevo sentire e che in realtà tu facessi parte del sogno stesso, insomma, che la mia immaginazione ti avesse creata. Tu...tu non hai mai avuto dubbi su di me? Che io non fossi reale?»

«All'inizio sì», dice, e abbassa lo sguardo. «E poi...beh, non avevo davvero le prove, ma ho cominciato a sperare che l'intuizione che sentivo fosse vera.»

Il cuore mi batte furioso nel petto.

«Io le prove che sei vera ce le ho», dico.

«Ah sì?»

«Sì. Kappa Magazine? L'ho cercato dopo che me ne hai parlato. È impossibile che la mia mente se lo sia inventato, non l'ho mai visto prima.»

Lei ride, scuote la testa.

«E chi l'avrebbe mai detto che sarebbe stata la mia passione per i manga a confermarti che sono reale!»

Inspiro a fondo. Sento come un nodo stretto allo stomaco.

«E se ti dicessi che posso provarti che sono vera anch'io, una volta per tutte?»

Lei inclina la testa, intrigata.

«E come lo faresti?»

«Hai un telefono, vero?»

«Certo che ho un telefono, dove pensi che viva? In cima al monte Everest?»

Sorrido: «Ok. Te lo ricorderesti da sveglia un numero di telefono intero, se te lo dicessi ora?»

Lei spalanca gli occhi.

«Ci posso di certo provare.»

«Bene. Ci sono altre cose che ti devo dire, ma questo viene prima di tutto. Non so perché non ci ho pensato prima.» Lavinia sorride maliziosa e io annuisco, sapendo bene a cosa sta pensando: «Sì, sì, eravamo impegnate in altre attività.»

Lei ridacchia, poi inspira a fondo e la sua espressione diventa seria, concentrata. «Dai, dimmelo. Farò in modo di svegliarmi subito dopo. Così è più facile che me lo ricordi.»

Annuisco. «Pronta?» Lei me lo conferma con un cenno del capo. «Ok, è: 045...»

Come uscita da un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora