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Il resto di agosto scivola via veloce tra il canto delle cicale, il profumo dei fiori di gelsomino e quello di salvia e rosmarino secchi che dalla cucina della nonna mi arriva fino in corridoio durante le telefonate con Lavinia: ascolto la sua voce attraverso la cornetta e la incontro in sogno in irrequieta attesa di ciò di cui parliamo ogni giorno e ogni notte; e quando il 31 arriva e la mia sacca da palestra è pronta e la nonna si asciuga le lacrime e si ricompone appena sente l'auto della mamma che si ferma davanti al cancello, saluto lei e la casa che mi ha ospitata per un mese e ritorno a Milano conservando nel cuore un segreto che presto diventerà realtà.


Due settimane dopo, il 14 settembre 1999, ovvero un giorno prima dell'inizio della scuola, prendo la metropolitana per andare a Piazza Duomo. Mi sono infilata il vestito più carino che possiedo, al collo ho un nuovo collarino di velluto dal quale pende una piccola margherita argentata, al polso i miei braccialetti di borchie e ai piedi le mie fidate Converse nere. Da seduta mi specchio nei finestrini sporchi di fronte a me per controllare che la matita con la quale mi sono truccata la linea interna degli occhi sia a posto. Stringo la borsa e la gamba sinistra non smette di muoversi; devo costringermi a non sorridere tutto il tempo come un'idiota. I Goo Goo Dolls cantano Iris a rotazione nelle mie orecchie.

Quando vedo che ci stiamo avvicinando alla fermata salto in piedi, e non appena le porte si aprono mi lancio fuori dal vagone; la fermata puzza di piscio ed è umida da far schifo, ma non importa, me ne accorgo a malapena. Salgo i gradini a due a due ed emergo in superficie: il Duomo si erge davanti a me, imponente come sempre, ma non lo degno che di un'occhiata veloce: c'è altro di molto più importante che richiede la mia attenzione.

Faccio qualche passo in avanti e mi guardo attorno: non mi ci vuole molto per individuarla. Lei mi aspetta in piedi, fasciata in una maglietta rosa pastello con una farfalla sul petto e in una minigonna bianca a fiori rossi e rosati che abbraccia le adorabili curve dei fianchi e del ventre. Quando mi nota si illumina e alza una mano in aria. Accelero il passo per andarle incontro, impaziente: ho sulla lingua il sapore della prima cosa che le chiederò, una cosa che non sono riuscita a domandarle prima: "vuoi essere la mia ragazza?".

Sorrido. Sembra uscita da un sogno.

Come uscita da un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora