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Dopo pranzo salgo in camera, abbasso le tapparelle e mi metto a letto con il batticuore. Non è facile addormentarmi tra l'agitazione di dover dire a Lavinia l'ultimo segreto, quello più importante e che potrebbe cambiare le nostre vite, e l'apprensione di ciò che potrebbe essere successo con i suoi genitori, ma chiudo gli occhi nel calore della stanza in penombra e


dopo quello che sembra un battito di ciglia mi ritrovo a volare in alto tra nuvole di panna montata al caramello e soffice zucchero filato color pastello mentre scandaglio il grande prato verde, il lago e i dintorni della casetta in cerca di lei.

«Dov'è?» Chiedo al vento, e non mi arriva risposta. Scendo fino alla casetta e mi siedo su una delle sedie a dondolo del portico. L'aspetto, ma lei non arriva.


Preoccupata, appena mi sveglio nel tardo pomeriggio vado al telefono, tiro fuori il bigliettino dalla tasca e compongo il numero. Suona libero per molto tempo e proprio quando sto per rinunciare e abbassare la cornetta risponde qualcuno.

«Lavinia?»

«Lavinia non è qui», dice una voce di donna che somiglia alla sua, ma è molto più aspra. È come se la voce di Lavinia fosse arrotondata e quella della donna fosse fatta solo di spigoli. Dev'essere sua madre. «Chi sei?»

«Una sua amica», dico. La domanda, per quanto semplice, mi mette in agitazione. «Francesca. Può dirle di richiamarmi quando torna a casa?»

Lei ride brevemente, senza traccia di divertimento genuino o allegria nella voce. «Non credo che tornerà qui.»

«Umm, va bene. Grazie», borbotto, e attacco prima che possa farmi domande o dire altro.

Non la trovo in sogno né quella notte, né il pomeriggio o la notte successiva, e passo il resto del tempo da sveglia attaccata al telefono, in attesa di una chiamata che non arriva. Dev'essere sicuramente successo qualcosa tra i suoi genitori, qualcosa di molto grave. Da ciò che sua madre mi ha detto potrebbe anche essere che suo padre l'abbia portata via, in un altrove dove forse non riesce ad avere accesso al telefono, né a sognare. Non so se anche per lei questi sogni sono legati al luogo dove si trova, ma potrebbe essere che quello in cui le ho dettato il numero di telefono fosse l'ultimo nostro sogno assieme, anche non lo sapevamo ancora.

Passano cinque giorni così, senza sue notizie, e nonostante i tentativi della nonna di distrarmi sento l'ansia crescere e annodarsi nello stomaco come un virus per il quale non esiste che una cura, una che al momento non mi è accessibile; ogni pomeriggio e ogni notte continuo ad andare là dove il cielo è di zucchero e l'erba mi fa il solletico e il vento ride e resto in attesa cercando di non pensare alle giornate che scivolano via, sempre più vicine alla fine del mese e al momento in cui dovrò tornare a casa.

Come uscita da un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora