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Il primo pomeriggio va esattamente come avevo previsto: una noia mortale. La nonna resta un po' in disparte, forse per ciò che è successo con la mamma prima, e io gironzolo per il giardino, tra l'orto rigoglioso e il dondolo sotto a un porticato di glicine. Lì accanto ci sono anche dei cespugli di gelsomino che si arrampicano lungo la parete della rimessa; il profumo dei loro fiori è inebriante. Mi siedo lì, infilo le cuffie, scambio i miei occhiali da vista per un paio da sole decisamente più fighi e mi faccio cullare dal moto gentile, immaginando di essere altrove.

Gli zii arrivano nel tardo pomeriggio, poco prima di cena. I loro abbracci sono appiccicaticci e puzzano di sudore e di vino; mi scompigliano i capelli, che mi affretto a rimettere a posto alla velocità della luce, e fanno commenti su quanto sia cresciuta dall'ultima volta che mi hanno vista. Poi cominciano a parlare in veneto fitto fitto tra di loro fino a cena come se non sapessero che non lo capisco bene; non è mica colpa mia se sono la "toseta (ragazzina, NdA) de Milan" e se la mamma non mi ha mai insegnato.

Non sono sicura che mi piacciano gli zii, anzi, ma almeno non li devo sopportare per tanto, visto che sono via al lavoro tutto il giorno.

Dopo cena mi dileguo e vado in camera. Leggo mentre ascolto musica finché gli occhi sembrano sul punto di prendere fuoco. La finestra è aperta e dal giardino e dai campi qui attorno sale un luttuoso canto di cicale, il mio personale coro greco. Mi concedo qualche lacrima soffocata nel cuscino prima di addormentarmi.


«I sogni che ho fatto qui sono diversi da quelli che faccio a casa», dico alla nonna a colazione il giorno dopo, giusto per annullare il silenzio e la distanza. Lei appoggia la tazza di tè nero e mi squadra.

«Ah sì? Diversi come?» chiede. Sembra che l'argomento la interessi, e non mi dispiacerebbe avere una vera conversazione con un essere umano, quindi mi fermo un attimo a pensare prima di rispondere.

«È come se mi fossi spostata anche lì. Non faccio spesso caso ai luoghi quando sogno, sono confusi e non proprio definiti», spiego, arrancando in cerca della descrizione giusta, «quindi non so esattamente che cosa ci sia di diverso da casa. Ho sentito proprio un cambio di atmosfera.»

Appena ho aperto gli occhi stamattina mi ci è voluto un attimo per scuotermi dalla confusione, come quando ti addormenti in auto durante un viaggio e il paesaggio attorno a te è cambiato così tanto che non lo riconosci più e non sai né chi, né dove sei.

Lei sembra considerare ciò che ho detto con un'attenzione maggiore di quanta mi aspettassi. «Nel sogno che cosa succedeva?»

Resto un attimo in silenzio.

«Ho sognato la mia amica Erica», dico poi. «La guardavo da lontano e cercavo di raggiungerla, ma per quanto corressi lei era sempre troppo distante.»

«Ti manca, eh?»

Annuisco. Sono arrivata solo ieri, ma mi manca già. Mi manca tutto, in realtà. Mi manca poter guardare MTV o mettere su Italia1 per l'ennesimo episodio di Dragonball a pranzo, mi manca stare al telefono con Ale mentre mangiamo anche se ci siamo salutate nemmeno un'ora prima. Mi mancano perfino i sofficini scongelati in microonde o gli avanzi del giorno prima, se significa poter vivere anche solo qualche ora di libertà sospesa prima che la mamma rientri da lavoro.

Mi manca la ricreazione a scuola, cercare di indovinare chi si è limonato chi mentre Giulia si ossessiona sul voto che ha preso all'interrogazione di latino e Ila cerca una di noi ancora disposta ad ascoltarla parlare di quanto sia bello Davide, che con i suoi occhi verdeazzurri e capelli scuri assomiglia troppo a Kevin dei Backstreet Boys.

Mi manca vedermi al parco il pomeriggio col gruppetto e scambiarmi con Erica le cassette con le canzoni registrate dalla radio, ascoltarle assieme dalle mie cuffie Philips nere alzando al massimo il volume, le teste vicinissime per poter sentire qualcosa. Erica, l'odore delle sue Lucky Strikes comprate di nascosto, la sua camicia a quadri troppo larga, il collarino nero di plastica uguale al mio che le aderisce al collo, il braccialetto con lo ying al suo polso. Mi manca tutto, ma soprattutto la bolla in cui ci chiudiamo quando parliamo di musica e di niente.

Come uscita da un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora