Il giorno seguente, dopo una mattinata ovattata in cui non ho smesso di pensare alla nostra conversazione, mi lancio a letto dopo pranzo e appena mi addormento
ritorno là e non mi serve cercarla, perché mi sta aspettando poco lontano, seduta in aria a gambe incrociate. Sta dipingendo nel cielo con il dito e usando quelle che sembrano piccole strisce di nuvole. È un ritratto di noi due nel prato, il giorno prima.
«È bellissimo», dico avvicinandomi, e lei si gira e sorride ed è così bella quando lo fa in modo così rilassato e spontaneo: le guance si alzano e si arrotondano, incantevoli, e tutti i suoi lineamenti, compresi gli occhi, sono pura gioia. Scuote la testa e d'improvviso cancella il disegno di nuvola con un colpo di mano.
«Hey! E se avessi voluto incorniciarlo?» dico, indignata.
«A cosa mi serve una riproduzione quando ti ho qui? Sei bellissima», dice arrossendo un pochino ,diversamente da me, che mi sento il viso incendiato.
«No, tu», dico, avvicinandomi. Lei scuote la testa, divertita:
«No, tu», scioglie le gambe incrociate e si fa vicina anche lei.
«No, tu», e la prendo per i fianchi soffici e la tiro a me. Lei mi passa una mano dietro al collo e mi bacia come se non stesse aspettando altro, come se fosse l'unica cosa che può tenerla in vita in questo momento. La capisco, perché è così anche per me. La stringo: i nostri corpi si incastrano in modo perfetto l'uno contro l'altro, come se fossimo state create per stare assieme, e il mio respiro accelera e si inasprisce quando sento la sua mano incontrare la pelle del mio ventre, sotto la maglietta.
«Mi fermo?» Chiede in un bisbiglio senza fiato.
Scuoto la testa e la bacio, più ardentemente di prima. Lei è ora all'altezza delle mie costole. Mi sposto sulla parte bassa della sua schiena. Sento il bisogno viscerale di toccarla sotto la stoffa ma indossa un vestito, e non vorrei— lei sembra aver intuito i miei pensieri, perché mi prende la mano e la guida sotto alla gonna leggera su, fino a metà schiena. La sua mano intanto sale lenta. Sospiro. La sua pelle è seta: seguo l'incurvatura della schiena con le dita e le afferro i fianchi; lei mi accarezza la lieve rotondità del seno e io raggiungo presto il suo e sfioro e stringo e dio, è panna montata e nuvola e zucchero filato e ogni cosa dolce e deliziosa e passo il resto del sogno a incidermi nella mente la topografia di ogni suo centimetro di pelle che passa sotto alle mie dita.
Quando mi sveglio le mani mi formicolano, come se l'improvvisa mancanza di lei sotto ai polpastrelli mi avesse destabilizzata. Resto un po' seduta sul letto, le gambe piegate e vicine al petto a ripercorrere le strade che ho disegnato sul suo corpo; il vero problema dei sogni lucidi è che tutto sembra reale, più vero del vero quando sono là, ma appena mi sveglio tendono a svanire gradualmente, come colori di un vivido dipinto che perdono la loro freschezza nel tempo e si ossidano in una struggente nostalgia per ciò che sono stati. Non voglio che Lavinia resti un languido ricordo destinato a sbiadirsi, voglio stare al suo fianco e lasciarmi travolgere dalla sua luminosità anche nella vita reale.
Sospiro e controllo l'ora sul mio Swatch (sono le 15), poi mi infilo gli occhiali che avevo riposto sul comodino, pronta a scendere. Ho bisogno di pensare ad altro e distrarmi dall'inevitabile decadimento del sogno, e restare qui in camera non aiuterà.
La nonna non è in soggiorno, né in cucina, stranamente. La trovo sul dondolo, all'ombra del magnifico glicine. Sta facendo qualcosa a uncinetto e si spinge ogni tanto col piede, per farsi cullare dal movimento regolare. Il profumo di gelsomino dai cespugli lì attorno è prepotente nell'afa del pomeriggio.
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Come uscita da un sogno
Teen FictionÈ l'estate del 1999, Francesca ha 16 anni ed è costretta a trasferirsi da sua nonna per un mese in uno sperduto paesino della campagna in provincia di Verona. Quello che si preannuncia l'agosto più noioso di sempre si rivelerà invece per lei, grazie...