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Quella sera leggo qualche pagina di Carmilla, che si sta rivelando molto più interessante del previsto, e mi addormento con il libro stretto al cuore


per ritrovarmi là dove l'erba mi abbraccia calorosa e il vento sembra ripetere il nome di colei che occupa il mio fantasticare da sveglia e i sogni quando dormo. La cerco ovunque, ma non c'è: non la trovo nella casetta o in volo sopra il prato brillante, né sulla sponda del lago, né sul limitare della foresta. C'è solo sulla mia bocca mentre chiamo il suo nome, e nei miei pensieri mentre cerco di immaginare dove potrebbe essere, e


la cerco quando mi riaddormento dopo pranzo il giorno seguente, e la sera, e i pomeriggi e le sere dei due giorni successivi, e la sua assenza è un buco che non riesco a colmare, non importa quante volte io entri ed esca dalla casetta cambiando ogni volta gli interni o voli in giro, non importa quanto io cerchi di distrarmi da sveglia con i compiti e Carmilla e le mie playlist: tutto sembra coperto da una patina grigia e opaca quando lei non c'è, i colori offuscati, la musica distorta come quando il nastro della cassetta si rovina perché l'hai lasciata al sole per troppo tempo.

Nonostante non ci sia, continuo a sognare e sempre più spesso chiedo alla casetta una sua fotografia per portarla con me mentre volo senza meta. Almeno così mi sembra di averla vicina, anche se manca da far male.

La quarta notte dall'ultima volta che l'ho vista e toccata, resto sveglia per molto tempo a leggere e ascoltare musica mentre l'aria che entra dalla finestra si raffredda piano e perfino il canto delle cicale, che riesco a sentire anche attraverso le cuffie, sembra più flebile del solito; ho paura di cercarla e restare ancora delusa, eppure quando la notte diventa profonda il sonno ha il sopravvento su di me e


sono di nuovo là dove posso fare qualsiasi cosa io desideri, ma non desidero nulla se lei non è al mio fianco. Mi alzo pigramente in volo e procedo verso la casetta, per almeno distrarmi con qualcosa fino al risveglio, e a sorpresa vengo intercettata da qualcosa che interrompe il mio volo e mi porta in basso. È lei, che si è aggrappata forte a me. La stringo sorridendo tra i suoi capelli mentre ne inspiro il profumo e precipitiamo in caduta libera.

Il terreno del prato ci accoglie ammortizzando la caduta come se fosse un enorme tappeto elastico. Rimbalziamo e ridiamo, ancora strette strette, finché gradualmente ci fermiamo. L'erba attorno a noi è così alta che anche ad alzare un braccio non arriverei alla punta degli steli, ma non lo farei comunque: Lavinia è morbida sotto la mia presa salda e non ho intenzione di lasciarla, non quando sono passati giorni dall'ultima volta che l'ho vista, e ogni ora senza di lei era un dito ficcato in una ferita aperta.

«Finalmente sei qui», le sussurro sul collo, e noto la pelle d'oca che si forma sull'epidermide liscia, come in risposta.

«Finalmente sono con te», dice lei, e alza le mani ad accarezzarmi il viso, mi toglie piano gli occhiali e mi bacia con tenerezza.

Quando ci stacchiamo dal bacio e da quell'abbraccio stretto restiamo a pancia in su, spalla contro spalla, a guardare le nuvole correre veloci in mezzo all'erba smeraldina.

«Ho cercato di tornare qui, in questi giorni», mi dice dopo un po', «ma non ce l'ho fatta.»

Le stringo la mano intrecciata alla mia.

«Non sei stata bene?»

Vedo con la coda dell'occhio la sua testa muoversi in un silenzioso diniego.

«Capita sempre così quando i miei litigano», spiega, e sospira. «Sono infestata dagli incubi per giorni quando succede. Questa volta, poi...è stata peggio delle altre.»

Come uscita da un sognoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora