Capitolo 2

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«Dov'è Dante?» chiesi, prima di sedermi al tavolo apparecchiato per la cena, notando la sua sedia vuota davanti a me per l'ennesima volta.

Colsi il fugace scambio di sguardi che mio padre e mia madre si scambiarono, prima che lei rispondesse alla mia domanda.

«Ha avuto problemi al club, mi ha mandato un messaggio prima per dirmi che per stasera si accontenterà di un panino al volo e io che gli avevo preparato il pollo arrosto e le crocchette di patate che gli piacciono tanto» Mia mamma alzò le spalle, «ne metterò un po' da parte per quando rincaserà, peccato che siano più buone bollenti.»

La guardai sconcertata, ancora una volta non riuscivo a capire se lei proprio non si rendesse conto che il Club a cui alludeva non era certo quello dei lettori oppure se lo sapesse benissimo e si nascondesse dietro un filo d'erba.

«Mamma, si mangia anche un sasso, freddo o caldo che sia, quando torna dalle sue scorribande. Non ti preoccupare.» Avrei voluto aggiungere dell'altro, ma l'occhiataccia che mi aveva rivolto papà alla parola "scorribande" mi aveva fatto desistere.

«Hai risolto per l'espressione di algebra?» mi chiese lui mettendosi in bocca una crocchetta di patate intera.

Se ci fosse stato anche mio fratello, avrebbero fatto a gara per chi riusciva a infilarsene in bocca di più. Non so proprio come facessero, visto che erano bollenti.

La domanda di mio padre mi fece ripartire l'ansia, sbirciai di sottecchi lo smartphone. Da parte di Giulia ancora silenzio.

«No, non ancora.» mormorai afflitta.

«Beh, se tuo fratello torna presto puoi fatti aiutare da lui. Sai che era un asso in matematica alle superiori!» esclamò mia mamma. Aveva messo un quarto di pollo, la parte della coscia perché a Dante piaceva di più, e una porzione spropositata di crocchette di patate su un piatto piano che ora stava coprendo con la carta stagnola. Mi aspettavo quasi che la conformasse a forma di cigno come aveva visto che si faceva nei film americani quando ti confezionavano gli avanzi da portare a casa.

«Certo.» replicai per niente convinta, ce lo vedevo proprio, Dante a darmi una mano con la scuola.

Spostai una crocchetta di qua e di là del piatto, prima di decidermi ad infilzarla con la forchetta e portarla alle labbra.

«Ti vedo nervosa, Sara, sei sicura che sei preoccupata solo per l'algebra?» Papà mi stava scrutando più preoccupato di me. «Non è che devi dirci qualcosa?»

«No, papi. Tranquillo, non ho niente di brutto da dirvi. Nessun problema che non si possa risolvere veloce. Anzi, non c'è proprio niente.» lo rassicurai subito. Sorrisi. L'ultima volta che aveva posto quella domanda a mio fratello subito dopo lui era stato arrestato ed era finito in riformatorio.

Mangiai pensosa e in silenzio per qualche altro minuto, le crocchette erano dannatamente buone e mamma aveva infilato nel centro un pezzettino di emmental che, una volta cotte, le rendeva irresistibili. Non sapevo cosa fare. Anzi, se fosse stato per me, sarei volata ad attaccarmi al campanello dell'appartamento di Giulia per avere sue notizie, ma non sapevo se quello sarebbe stato un bene per lei.

«Sara, vuoi ancora pollo?» mi chiese mia madre alzando con la forchetta da portata un pezzettino minuscolo che era rimasto sul piatto dopo che lei aveva messo via quello per Dante. «Ne è rimasto ancora un pezzo.»

Risi. «Mamma, quello non è un pezzo!» esclamai. «É una briciola.»

«Se non lo vuoi, basta dirlo, eh. È così buono.» affermò mio padre allungando una mano ad afferrare la posata per poi ficcarsela in bocca.

Guardai i miei genitori che ridevano prendendosi in giro e ridendo a mia volta, erano meravigliosi, ma come avrebbero reagito se avessi detto loro ciò che Giulia stava confessando alla sua famiglia? Quello che nessuno sapeva sul serio, oltre me, ma che la maggior parte delle persone che ci stava intorno, insegnanti, coetanei intuiva a parte la sua famiglia, anche se Giulia aveva cercato più volte di inviare dei messaggi anche se pur sottili.

La vibrazione dell'arrivo di un messaggio sullo smartphone che tenevo sotto il tavolo dentro la tasca dei pantaloni mi fece sobbalzare spegnendo la mia risata.

Ecco, ci siamo, pensai con il cuore in gola. La mia quasi sorella si stava facendo viva. Pregai con tutto il cuore che fosse andato tutto bene.

Sfilai il telefono dalla tasca e mi spostai indietro con la seggiola per riuscire a vedere meglio il messaggio.

Posso chiamarti?

Nessuna faccina.

Dammi due secondi. Digitai veloce. Dovevo spostarmi da lì e raggiungere la privacy della mia camera per poter parlare in tutta libertà

«Tutto bene?» chiese mia madre che aveva notato i miei movimenti.

«Certo. Mi ha risposto chi avevo cercato prima per algebra.» Mi alzai da tavola. «Scusatemi, ma vado in camera mia, dove ho il quaderno e il libro, per accettare la chiamata.» mentii.

Non riuscii nemmeno a varcare la porta della mia camera che lo smartphone incominciò a squillare.

«Eccomi.» risposi alla mia migliore amica.

Don't kiss the VillainDove le storie prendono vita. Scoprilo ora