«Ehi, piccola, com'è andata la scuola?» mi chiese lui allegro venendoci incontro.Percepii l'aria passare tra i denti di Giulia e poi il respiro trattenuto. Non potevo darle torto.
«È andata.» Feci spallucce senza aggiungere altro.
«Le è andata di merda, Dante, il suo professore di matematica le ha fatto una verifica di algebra a sorpresa e per giunta all'ultima ora, quando sa benissimo che noi siamo tutti cotti a puntino.» spiattellò con innocenza Giulia, ignorando beatamente sia le mie occhiatacce che la mia mano che le stava stritolando l'avambraccio.
Gli occhi dorati si incupirono e si puntarono nei miei.
«Chi? Esposito? È uno stronzo quello, lo faceva anche con noi.» Un sorriso maligno cominciò a serpeggiare sulla bocca di mio fratello. «Vuoi che lo aspetti fuori dalla scuola e gli faccia passare un bruttissimo quarto d'ora?»
Ci mancava solo questo. Dante sarebbe stato capacissimo di farlo. Già me li vedevo, i titoloni dei giornali, e non solo di quelli locali, Professore di matematica picchiato da ex alunno.
«Ma no, non è andata poi così male. Anzi, sai che ti dico, sono quasi sicura di aver azzeccato il procedimento giusto di ben due espressioni.» mentii regalandogli il più falso dei miei sorrisi.
Mi sorrise a sua volta. «Bugiarda.» mi sussurrò. Non sarei mai riuscita a imbrogliarlo, mi conosceva troppo bene. «Comunque», continuò e il suo sorriso si fece più caldo, «ti ho portato una cosina, diciamo per consolarti, l'ho appoggiata sul tuo letto.»
Lo guardai incuriosita, Dante non era il tipo da regali senza motivo. «Perché? E cos'è?» non potei fare a meno di chiedergli.
«Oh, quanto sei curiosa. Ci vediamo stasera. Ciao.»
E con questo inforcò la sua luccicante motocicletta e se ne andò.
«Posso venire a vedere cosa ti ha regalato?» mi chiese Giulia speranzosa.
La guardai per un attimo e no, non volevo che salisse con me. Qualunque cosa mi avesse appoggiato sul letto mio fratello era mia e solo mia. Non volevo dividere la sorpresa, l'emozione con nessuno, nemmeno con la mia migliore amica, ma non trovavo nessuno motivo per dirle di no.
Il suo telefono si mise a squillare proprio in quel momento, non avendo più paura degli SMS che non erano più arrivati, mandati forse da Jacopo, aveva riattivato la suoneria.
«Scusami, è mia mamma.»
Incrociai le dita dietro la schiena.
Chiuse la telefonata e si rivolse di nuovo a me. «Mi dispiace, Sara, ma non posso venire ora a vedere la sorpresa di tuo fratello. Mia mamma vuole che torni subito a casa. Mi mandi la foto?»
Dio esisteva allora.
«Certo che te la mando, vai tranquilla. Ci sentiamo dopo.» la salutai, non vedevo l'ora di salire in camera mia.
Entrai nell'antro del portone e sbuffai, l'ascensore come il solito era rotto. La mattina, presa com'ero "dall'emergenza Giulia" non me ne ero nemmeno accorta. Tirai un calcio alla porta con il cartello di fuori servizio e imboccai le scale. Al primo piano arrivai facendo gli scalini a due a due, tanta era l'impazienza di raggiungere casa mia, ma al pianerottolo dovetti desistere il cuore mi scoppiava in petto e l'aria che inalavo dalla bocca aperta per lo sforzo non sapeva bene come raggiungere i polmoni. Mi sentivo sempre più come Diego che non riusciva a raggiungere l'antilope nell'Era glaciale.
Dalla mattina successiva avrei detto di sì a mio fratello quando mi avrebbe proposto la corsetta corroborante, mi ripromisi mentre affrontavo la seconda rampa di scale in maniera lenta, ma molto lenta cercando di tirare il fiato per ossigenare i polmoni e non vedere tutte quelle lucette rosse in campo nero che mi danzavano davanti agli occhi.
Come Dio volle raggiunsi il mio pianerottolo e stavo cercando le chiavi di casa nel mio disordinato zaino di scuola, quando il portoncino d'ingresso magicamente si aprì.
Alzai lo sguardo su quello di mia madre.
«Ciao, come mai sei a casa?» le chiesi, ero quasi stizzita. Non ero più abituata alla sua presenza quando ritornavo da scuola dall'ultimo anno delle elementari. Lei e papà di solito erano ancora al lavoro quando io rincasavo. Mi lasciavano il piatto di pasta o quello che c'era da riscaldare al microonde.
«Non sei contenta?» mi chiese sorridendo.
"No, non lo sono! Vorrei solo andare dritta in camera mia per vedere cosa Dante mi ha lasciato sul letto. Punto.", pensai infastidita.
Non mi lasciò nemmeno entrare, mi prese lo zaino dalle mani e lo appoggiò appena dietro la porta.
«Andiamo.» mi disse chiudendo il portoncino davanti alla mia faccia allibita.
«Dove?» le chiesi, non mi ricordavo nessun impegno. Il mio stomaco brontolò. «Ma io ho fame mamma.»
Lei mi scosse davanti al viso la borsetta termica gialla portapranzo. Che avevo sì notato quando aveva aperto la porta, ma pensavo fosse per lei. Che si fosse dimenticata a casa il pranzo e fosse passata a prenderlo
«Andiamo dai. È tardi, mangerai in macchina.»
«Ma devo fare pipì.» provai ad impietosirla con il mio faccino da cucciolo. Se riuscivo a convincerla a lasciarmi entrare, avrei potuto dare una sbirciatina in camera mia.
«Non è vero. La fai sempre prima di uscire da scuola. Muoviti che siamo in ritardissimo.» mi esortò lei spingendomi verso le scale.
Sbuffai. «Ma per cosa?»
La sentii irrigidirsi e fermarsi dietro le mie spalle. «Sara, è mercoledì!» esclamò, come se informarmi del giorno della settimana in cui ci trovavamo fosse bastato a spiegarmi ogni cosa.
Ero tentata di sbottare con un "e allora?" ma mi trattenni.
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Don't kiss the Villain
RomantizmSara ha una vita fatta di quasi: una quasi camera, una vista quasi cielo, una quasi sorella e un fratello quasi perfetto. È cresciuta in uno dei quartieri di Milano che la stampa definirebbe difficile ma per lei è solo casa, cercando di tenersi alla...