Capitolo 13

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Il tempo era passato, a tratti mi sembrava inesorabilmente lento e a momenti anche troppo veloce... la settimana si era conclusa e un'altra ne era iniziata. Niente si era dipanato comunque. I messaggi della persona misteriosa miei e di Giulia avevano smesso di arrivare all'improvviso, così come erano cominciati senza che noi sapessimo di chi si trattasse. A dire la verità io non avevo nemmeno risposto ai miei, dopo la felpa che mi aveva regalato Dante avevo altro a cui pensare. Avevo cercato un confronto con lui, giusto per capire se quel regalo avesse qualche significato nascosto, ma lui in quei giorni era evanescente quanto un sogno interrotto dalla sveglia del mattino. Giulia non toccava neanche di striscio l'argomento "devo dirlo ai miei" e io non me la sentivo di parlarne. Jacopo non si era più fatto vedere, né fuori della scuola, né nelle vicinanze di casa nostra. Era evanescente quanto Dante, il che mi rendeva alquanto nervosa.

Sbadigliai, erano solo le quattro del pomeriggio ma una strana sonnolenza si era impadronita di me non appena ero tornata da scuola, a mia discolpa c'era da dire che fuori pioveva. Diluviava proprio. Occhieggiai con interesse il mio letto per poi posare lo sguardo su quello di Dante che oramai, incastrato tra la porta da un lato e accostato al muro dall'altro e sommerso di cuscini, era diventato un comodo divano che io usavo per leggere e ascoltare la musica in tutto relax. Tanto lui non c'era quasi mai a casa e quelle volte, così poche che si potevano contare sulle dita di un'unica mano, che si fermava per dormire si buttava sul minuscolo divano che avevamo in quello che i miei definivano soggiorno. Di notte perlopiù lui "lavorava" e di giorno schiacciava qualche pisolino nel covo, o club come si ostinava a chiamarlo mia madre, dei Skull and Roses, la banda di cui lui era il braccio destro del leader, Paul.

Ricordavo che ero scoppiata a ridere quando, passata la paura del primo impatto, mi ero resa conto con l'ingenuità dei miei quindici anni che, lui che cantava in una tribute band dei Nirvana, si era unito a una gang che aveva una sinistra assonanza con i Guns N' Roses. Le altre ragazze conoscevano tutti i dettagli delle boyband del momento, io grazie a Dante ero tarata su quelle che avevano avuto il loro momento di gloria prima degli anni '90 e soprattutto sulla rivalità tra Nirvana e Guns N' Roses. Giulia diceva sempre che i miei gusti in fatto di musica erano un po' datati o "classici" come preferivo definirli io.

Lui si era limitato a sorridere quella volta, ma non mi aveva mai detto perché avesse scelto di entrare proprio in quella gang. Solo dopo avevo visto su Jacopo i colori e l'emblema dei Kobra e mi ero chiesta se in un certo senso era stata una scelta obbligata.

Presi lo smartphone e mi buttai sul letto di Dante per ascoltare un po' di musica. Presi sonno e mi svegliò la voce di mia madre che mi chiamava per la cena, avevo dormito più di due ore piene, cosa parecchio insolita per me. Chiusi l'app, misi a caricare il telefono che si stava per spegnere e scesi a mangiare, mi sentivo rincoglionita.

«Stai bene?» mi chiese papà non appena mi vide. «Sei un po' pallida.»

«Sì, sto bene. Ho solo sonno.»

Mio padre non sembrò lasciarsi convincere dalla mia risposta e continuò a scrutarmi di sottecchi per tutta la durata della cena.

«Vedi il tempo, caro, penso che anche questo influenzi. Magari sarà un po' stressata. Sei stressata, Sara? Il compito di matematica come è andato alla fine?» chiese mia mamma mentre mi riempiva il piatto di minestrina con il formaggino, il suo rimedio per qualunque cosa. Avevi mal di pancia? Minestrina col formaggino. Mal di testa? Minestra col formaggino. Problemi di cuore? Avanti con la minestrina, come se il calore del brodo e il sapore dolce del formaggino avesse potuto rimarginare un cuore infranto. Nel periodo in cui Dante era stato "ospite" del riformatorio, o comunità minorile come preferivano chiamarla adesso, avevamo fatto il pieno di cene con la minestra al formaggino.

«Holy crap!» sacramentai in inglese, colpa delle serie tv che mi guardavo appena potevo, «cazzo, me ne ero proprio dimenticata!» rincarai in italiano.

«Ma insomma, tutte queste parolacce non si addicono a una bella signorina come te.» sogghignò mia mamma, che guardando con me la televisione in streaming, conosceva perfettamente da chi avevo preso la colorita espressione.

«Penso che Esposito me lo consegni domani. Incrociate le dita per me.» avevo finito di mangiare e mi alzai da tavola. «Ho proprio sonno oggi, vi dispiace se vi abbandono e me ne vado a nanna?» baciai entrambi i miei genitori e filai in bagno per prepararmi per la notte. Erano solo le venti e trenta, ma mi sentivo come se fossero le tre di mattino e avessi ballato per tutta la notte.

Mostro, torni a casa stasera? Perché ho tanto sonno e andrei a nanna. Inviai il messaggio via WhatsApp a mio fratello mentre mi lavavo i denti.

Hai bisogno che torni, piccola?

Sorrisi, se avessi risposto "sì", avrebbe mollato tutto quello che stava facendo e si sarebbe fiondato a casa. Amavo quel lato di lui che contrastava con il suo non essere mai a casa.

Piccola, è tutto a posto?

Gli inviai un'emoticon col pollice alzato, ma poi aggiunsi anche un messaggio. Sì, tranquillo, ho solo sonno.

Aggiunsi un'altra emoticon con un bacio e la scritta I love you per tranquillizzarlo del tutto e poi uscii da internet e dal bagno.

Non vedevo l'ora di mettermi sotto le coperte e farmi una lunga dormita.

Don't kiss the VillainDove le storie prendono vita. Scoprilo ora