Scacciai Jacopo dalla mia mente e mi alzai dal letto per vestirmi. Non bastava che avesse deciso di farsi vedere sempre più spesso, doveva anche appropriarsi del poco tempo che riuscivo a passare con mio fratello. Non avevo dubbi che lui c'entrasse con il fatto che il "ci vediamo stasera", che mi aveva detto Dante quando mi aveva lasciato davanti casa dopo lo scontro con Jacopo di fronte al supermercato, si fosse trasformato in un messaggio di scuse che mi era arrivato via chat. Non si era dilungato nello spiegare perché non riusciva a passare per casa come mi aveva promesso, ma non avevo dubbi di chi fosse la colpa.
Mi diressi in cucina e mi bloccai sulla soglia a fissare incerta il tavolo dove si trovavano due tazze di caffelatte già pronte e fumanti. «Mamma, sei tu?» chiesi cercando indizi del fatto che mia madre non era ancora uscita per andare al lavoro.
Non c'era nulla di suo in cucina e nemmeno di mio padre, ma mi avvicinai a un sacchetto posizionato tra le due tazze. C'era il logo di una pasticceria dove mamma mi aveva portato qualche volta. Lo aprii e annusai il profumo che non era quello delle solite merendine confezionate, ma sapeva di burro in un modo che mi faceva subito venire in mente Parigi.
Mi girai quando sentii la porta del bagno aprirsi, ma non era mia madre quello che stava uscendo vestito di nero e sfregandosi i capelli dorati con un asciugamano.
«Ho percepito del rimprovero nel tuo "non importa" ieri sera. Aveva un che di "vaffanculo".» mi disse Dante finendo di asciugarsi prima di mettere l'asciugamano nella cesta della roba sporca e raggiungermi spostandosi i capelli dagli occhi con le dita.
«È perché hai la coscienza sporca, mostro.» commentai imperturbabile. Faticai a non sorridere comprendendo che aveva avuto cura di fare la sua solita corsa nelle vicinanze di casa, dopo essere passato in pasticceria, invece che vicino alla base degli Skull and Roses, in attesa che mi alzassi per andare a scuola.
«E c'era anche quando mi hai fatto notare che l'ultima volta che sono passato a casa non ti ho salutato.»
«Quindi compri il mio perdono?»
«Funziona?» chiese di rimando.
«Per questa volta.» concessi. Ignorai la colazione e lo abbracciai.
«Forse dovresti fare una corsetta fino a scuola per smaltirla.»
Mi tirai indietro per rifilargli una gomitata e Dante rise.
«Sai che io corro solo se c'è un motivo valido. Tipo un'apocalisse zombie. La corsetta matutina la lascio tutta a te.» dissi, mi sedetti al tavolo e aspettai che lo facesse anche lui. «Mi dirai mai cosa c'è fra te e Jacopo?» Appena posi quella domanda, me ne pentii perché nominare il vice dei Kobra lo fece incupire.
«A parte la rivalità pura e semplice tra Skull and Roses e Kobra?» chiese di rimando.
«Da come parlava ieri sembrava personale.» commentai ruotando il cucchiaino nella tazza per mescolare lo zucchero.
«Gira intorno a te, è di sicuro personale, piccola.» mi fece notare.
Annuii e lasciai perdere. Non era la prima volta che provavo a sondare il terreno in questi due mesi, ma Dante voleva parlare di Jacopo ancora meno di quanto voleva parlarmi degli Skull and Roses e di cosa volesse dire esserne il vice. A malapena si era lasciato sfuggire che il suo capo si chiamava Paul ed era un uomo di colore che era arrivato in Italia qualche decennio prima. Sapevo dov'era il locale che ospitava la sede della sua gang perché lo avevo cercato su Internet dopo aver visto il nome sul suo telefono che aveva lasciato incustodito per qualche minuto sul tavolino del quasi soggiorno mentre parlava con nostra madre.
Intravidi un tatuaggio sull'interno del suo avanbraccio destro. Colsi quello che poteva sembrare il numero romano due, due rose rosse e indovinai più che vedere la presenza di un teschio, ma rinunciai a porre la domanda che avevo sulla punta della lingua quando Dante notò cosa stessi guardando e tirò giù la manica per coprirlo. Era già una risposta di per sé, voleva dire che c'entrava con gli Skull and Roses altrimenti sapevo che non avrebbe avuto problemi a lasciarmelo vedere e a parlarmene. Consideravo già un colpo di fortuna essere riuscita a vedere quello sulla sua schiena che indicava l'appartenenza alla gang. Avrei potuto fargli notare che, anche se me lo avesse lasciato vedere, era probabile che non avrei capito cosa significasse, ma non volevo rovinare il piacere di averlo trovato a casa quando mi ero già rassegnata a non vederlo per questa settimana. Non ricordavo nemmeno quando era stata l'ultima volta che avevamo fatto colazione insieme.
Quando uscimmo di casa insieme, lo vidi guardarsi intorno, sapevo che stava cercando Giulia con cui facevo sempre la strada. «Questa mattina doveva essere a scuola prima.» risposi alla sua muta domanda.
Si diresse alla moto che aveva parcheggiato vicino all'ingresso e mi offrì il secondo casco. Feci per prenderlo poi esitai. «Sicuro che hai tempo?» chiesi.
«La tua scuola è di strada, piccola.»
A giudicare dall'app di navigazione che avevo consultato avrei detto che la mia scuola non si trovava sul percorso più breve per raggiungere il locale degli Skull and Roses, ma non mi lamentai e salii dietro di lui sulla moto. Lo vedevo talmente poco che ogni secondo in più che potevo passare con Dante era ben accetto.
Quando si fermò davanti alla mia scuola, mi costrinsi a scendere e a restituirgli il casco. Evitai la mano con cui voleva scompigliarmi i capelli e mi girai verso Margherita che si era fermata ad aspettarmi. La mia compagna di banco guardava Dante con lo stesso interesse che aveva dimostrato per Jacopo pochi giorni prima, dato che nessuno dei due era suo fratello un motociclista valeva l'altro. Quando ancora condividevamo la stanza, quasi tutte le mie compagne di classe facevano a gara per venire a studiare da me nella speranza di incrociarlo e quando succedeva io passavo da essere la loro migliore amica a invisibile. Il loro interesse non si era dissolto quando era stato arrestato, ma da quel momento erano stati i loro genitori a non volere che venissero da me. Solo i genitori di Giulia non avevano fatto parte della schiera di famiglie che avevano preso le distanze da noi.
Raggiunsi Margherita ed entrambe ci dirigemmo in classe dove sapevo che avrei soffocato uno sbadiglio dopo l'altro fino a quando avrei potuto tornarmene a casa insieme a Giulia.
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Don't kiss the Villain
RomanceSara ha una vita fatta di quasi: una quasi camera, una vista quasi cielo, una quasi sorella e un fratello quasi perfetto. È cresciuta in uno dei quartieri di Milano che la stampa definirebbe difficile ma per lei è solo casa, cercando di tenersi alla...