«La devi lasciare stare, hai capito? Lei non ti ha fatto niente!» avrei voluto urlare, ma glielo dissi a voce così bassa che poteva sentirlo solo lui. Eravamo attorniati da decine di persone che ci stavano guardando incuriosite. Comprese Margherita e Kumiko che si erano fermate a qualche metro da noi, dopo che io le avevo sorpassate e avevo ignorato la stretta della mia amica di origine cinese che mi consigliava di fermarmi.«Lo devi lasciare stare e lui non ti ha fatto niente.» mi fece il verso Jacopo, marcando con crudeltà sul pronome personale di genere maschile.
«Smettila! Perché sei così crudele? Cosa ci ricavi a tormentarla?» Ora ero sul serio arrabbiata e ancora una volta avrei voluto prenderlo a ceffoni. Non mi ritenevo una persona irascibile o violenta, ma Jacopo riusciva, non solo con le parole ma anche con il suo atteggiamento strafottente, a tirare fuori il peggio di me.
«Io personalmente? Niente. Ma qualcuno gli deve pure aprire gli occhi. È nero e già questo basterebbe, che poi se ne vada in giro credendosi una ragazza» Jacopo alzò un po' le mani aprendo le braccia con una espressione che voleva tanto dire "vedi tu".
«E questo qualcuno vorresti essere tu?» gli chiesi guardandolo fisso negli occhi. Il suo sguardo era magnetico, quando ti fissava non riuscivi più a togliere il tuo. Feci uno sforzo di volontà per cercare di guardare oltre la sua testa, ma fu inutile. Il mio sguardo rimaneva incatenato al suo.
«Ma, il tuo Giulio, pardon Giulia, si rende conto in che quartiere abita? Non può tenere quell'atteggiamento e uscirne indenne.»
«È merito anche tuo e dei Kobra se questo quartiere è così!» sibilai virgolettando la parola merito.
«E anche di tuo fratello e della sua banda, non te lo scordare, amore mio. Cosa vuoi, sei circondata da lupi cattivi.»
«Non sono il tuo amore!» gli ringhiai contro, poi mi voltai e mi diressi a passo sostenuto verso Giulia che non si era mossa.
La risata di Jacopo mi arrivò alle orecchie giusto quando mi fermai davanti a lei.
«Cosa voleva?» mi chiese impaurita.
«Niente, voleva solo fare lo stronzo.» Alzai le spalle liquidando la questione come cosa di poca importanza.
Presi a braccetto Giulia e mi diressi verso il retro della scuola, c'era un altro cancello da cui potevamo uscire. Era quello usato da chi veniva in bicicletta e dava su una strada chiusa a uso pedonale, c'era sempre un nonno vigile e non l'avrebbe lasciato passare.
«Era lui che mi mandava gli SMS?» mi chiese Giulia.
Se era una cosa che mi era passata di mente, era proprio la storia dei messaggi.
«Nessuno ti ha risposto a quello che ho scritto io?» le chiesi speranzosa che la questione si fosse chiarita.
Giulia fece cenno di no con la testa.
Sospirai. «Me ne sono completamente dimenticata. Scusa.»
«Fa niente. Tanto non ne ho ricevuto più.» mi sorrise lei.
Amavo Giulia anche per questo, cercava di farsi scivolare addosso le cose quando poteva, ma il più delle volte la sua condizione la faceva sprofondare nel buio della tristezza.
Ci incamminammo verso casa in silenzio, ognuna persa nei propri pensieri. La mia mente continuava ad oscillare tra la verifica di matematica, Jacopo e mio fratello Dante. Per quanto riguardava il compito di algebra, più ci pensavo e più ero sicura di aver almeno azzeccato un paio di procedimenti delle espressioni, certo il risultato era sbagliato, ma il professore poteva almeno tenere conto del mio impegno, no? Scossi la testa, non il Sorcio, lui sembrava quasi godesse quando non riuscivamo ad arrivare alla sufficienza. Mi ricordavo che mia nonna diceva che alcune persone si comportavano così perché a loro volta erano state trattate male, quindi era una specie di rivalsa. Qualche professore, magari di matematica, l'aveva preso di punta quindi Esposito si rifaceva con noi e con me in particolare.
E poi c'era Jacopo.
«Sara? Mi ascolti?» La voce di Giulia si insinuò nei miei pensieri.
«Scusami, ero distratta. Stavo pensando al compito di matematica.» O forse a Jacopo.
«Non mi avevi detto che avevi una verifica oggi.»
«Non lo sapevo nemmeno io, a dire la verità. Me l'ha comunicato Margherita non appena ho messo piede in classe.»
«Com'è andata? Avevi studiato?» mi chiese lei, era sempre ansiosa nei miei confronti, se qualcosa non andava per il verso giusto per me.
«Cosa mi hai detto prima che non ho sentito?» le chiesi per cambiare discorso.
«Niente. Ti avevo solo chiesto se Dante ha la ragazza.»
Mi fermai di botto e mi posi di fronte a lei nel tentativo di capire se fosse una domanda perché le incuriosiva lo stato sentimentale di mio fratello per interessi personali oppure se era perché lo aveva visto, o aveva sentito voci di lui insieme a qualcuna.
«Perché lo vuoi sapere?» indagai, guardandola negli occhi, lei abbassò lo sguardo.
«Così, era tanto per sapere.» mi disse alzando le spalle a significare che non era niente di importante.
Eravamo praticamente arrivate davanti ai nostri palazzi e Dante, come se lo avessimo evocato, fece la sua comparsa dal portone del mio.
Vidi Giulia irrigidirsi per un secondo e poi sfoderare il più meraviglioso dei sorrisi.
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Don't kiss the Villain
RomanceSara ha una vita fatta di quasi: una quasi camera, una vista quasi cielo, una quasi sorella e un fratello quasi perfetto. È cresciuta in uno dei quartieri di Milano che la stampa definirebbe difficile ma per lei è solo casa, cercando di tenersi alla...