Margherita, lunghe trecce bionde e viso perennemente imbronciato, la mia compagna di banco mi si avvicinò subito come varcai la porta della nostra classe. Dio, come le invidiavo quei capelli, riusciva ad averli anche più belli dei miei anche senza nessuna cura particolare e ci scommettevo tutta la merenda che spendesse la metà di quello che ci spendevo io per avere cura dei miei.
Ci conoscevamo ed eravamo in classe insieme fin dalle elementari, il primo giorno avevo scelto di avvicinarmi a lei perché era stato quasi come fissarsi allo specchio e immaginavo che per lei fosse stato lo stesso. La nostra amicizia non era profonda come quella che avevo con Giulia, ma Maggie aveva guadagnato parecchi punti, quando non aveva fatto una piega la prima volta che la mia quasi sorella si era unita a noi. Noi due eravamo bionde e dalla pelle chiara e potevamo vestirci come volevamo, cosa che a Giulia era proibito. Forse perché Margherita era così simile a me, non aveva tentennato a presentarsi con la versione femminile del suo nome, salvo desiderare sparire un secondo dopo. Se Maggie avesse riso e l'avesse presa in giro, avrei chiuso con lei in un secondo, invece non aveva fatto commenti su quella bambina dalla pelle scura più piccola di noi di due anni. Era una delle poche persone oltre a me che la chiamava Giulia in pubblico e non dimostrava alcun problema per il fatto che era una ragazza rinchiusa in un corpo maschile.
«Ciao, Sara, ti devo dare una brutta notizia.» esordì Maggie prendendomi a braccetto per arrivare assieme ai nostri banchi.
Cominciai a stilare una lista mentale di tutte le notizie orribili che avrebbe potuto darmi. Ero bravissima a contorcermi nelle previsioni di imminenti catastrofi, in modo particolare se riguardavano qualcuno della mia famiglia.
Mi sedetti, anzi mi buttai in modo sgraziato sulla mia seggiola tanto che a momenti mi rovesciavo all'indietro tirandomi anche il banco, dove avevo posato lo zaino in malo modo tenendo però una bretella tra le mani, addosso. Cosa mai poteva essere successo in classe in quella benedetta ora che ci divideva dalla campanella d'entrata? Ero mancata per sessanta minuti e alla prima ora avevamo una materia neutra. Biologia. A meno che gli esseri unicellulari non si fossero ribellati contro di noi, non poteva essere successo nulla di così grave.
Alzai lo sguardo verso di lei che era ancora in piedi davanti a me nonostante fosse già entrata la professoressa di letteratura italiana. «Dimmi.» le dissi.
«È passato Esposito alla prima ora.»
Michele Esposito era il professore di matematica. Chiamato da noi "Sorcio", perché aveva una faccia da topo e i capelli unti, radi e pettinati all'indietro.
«E?» chiesi io.
Margherita si prese tutto il tempo per sedersi facendo aumentare la mia curiosità mista a un pochino d'ansia. Matematica, algebra in particolare, non era certo la mia materia preferita. Per quanto io studiassi e mi impegnassi non riuscivo ad andare oltre il cinque e mezzo. Essendoci anche dei quattro, dubitavo di passarla liscia quest'anno. Matematica sarebbe stato il mio debito da recuperare quasi di sicuro.
«Hai intenzione di dirmela questa brutta notizia o vuoi farmi penare fino alla fine delle lezioni?» sbottai.
«Te la dico, te la dico.» Margherita fece però un'altra pausa a effetto, io alzai gli occhi al soffitto e sbuffai. La odiavo quando faceva la melodrammatica. «Il Sorcio è passato a dirci che alla sua ora, oggi, farà una verifica a sorpresa.»
«Che cazzo!» imprecai a voce un po' troppo alta attirandomi lo sguardo di rimprovero della professoressa. «Ma è alla sesta ora, saremmo cotti. E poi che sorpresa è, se ce l'è venuto a dire?» borbottai. Girai la testa prima a destra e poi a sinistra, ecco perché tutta la classe stava china sui libri di matematica, constatai.
«Perché tu hai studiato?» mi chiese Margherita.
«No.» replicai laconica. «Ma vedo che nessuno l'ha fatto.» le risposi indicando i nostri amici.
«Appunto. Quindi è a sorpresa.» sogghignò la mia compagna di banco.
«Lo fa apposta per incularci.» sentenziai convinta.
A dire la verità lui aveva detto, ancora due mesi fa, che voleva fare una verifica a sorpresa. Bastava iniziare a studiare allora, ma nessuno di noi, o quasi, l'aveva fatto.
«Questa volta prenderò un due e posso dire addio in modo definitivo alla promozione in matematica.» mormorai affranta. Mi sarei messa a piangere, se avevo qualche possibilità, ora era sfumata.
«Dai, penso che il compito verta sulle espressioni di algebra che ci ha fatto fare per tutta la settimana scorsa. Almeno lo spero, altrimenti sono fottuta anche io.» Margherita me lo sussurrò mentre faceva finta di indicarmi un pezzo di brano sul libro di letteratura italiana che avevamo messo in mezzo ai due banchi per poter stare più vicine e continuare a parlare, anche se la professoressa continuava a mandarci occhiatacce.
«Ecco, appunto. A me non ne è riuscita nemmeno una!» puntualizzai. «Tu tieni aperto il libro d'italiano che io ripasso matematica. Non servirà a niente, ma almeno ci ho provato.» sospirai.
Cercando di non farmi notare dalla professoressa, che ora si era messa a girare per i banchi nel tentativo di far chiudere libri e quaderni di matematica e riportare l'attenzione dell'intera classe sulla propria materia, tirai fuori il mio materiale per ripassare algebra.
Se fossi stata furba, avrei sul serio chiesto a mio fratello una mano per capire alcuni passaggi delle espressioni, ma non lo ero e ora mi sarei beccata un'insufficienza ben più grave che il cinque e mezzo.
Potevo far finta di sentirmi male e farmi venire a prendere prima della sesta ora, ma mamma e papà erano al lavoro e li avrei fatti preoccupare per niente. Mi sarebbe rimasto Dante, volendo, ma lui me l'avrebbe fatta pagare fino a che non avessi avuto l'età di Nonna Salice, una chioma argentea e nemmeno un dente in bocca. Scossi la testa e rabbrividii al pensiero, Dante a volte sapeva essere crudele nelle sue richieste. Meglio un due in algebra, molto meglio che essergli debitrice.
Ero china da un buon quarto d'ora sul mio quaderno a cercare di far risultare giusta un'espressione alquanto ostica di algebra che la tasca del mio pantalone sinistro vibrò per la ricezione di un messaggio. Chi mai poteva essere? Di tacito accordo io e Giulia non ci messaggiavamo mai durante le lezioni e Dante non era certo il tipo da mandarmi SMS durante l'orario di scuola, a meno che non fosse successo qualcosa. E per il mio stato d'ansia equivaleva solo al peggio.
Dovevo alzarmi e andare in bagno per leggere il messaggio. Non volevo certo far trapelare le mie emozioni e rendere partecipe tutta la classe mentre lo leggevo.
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Don't kiss the Villain
RomanceSara ha una vita fatta di quasi: una quasi camera, una vista quasi cielo, una quasi sorella e un fratello quasi perfetto. È cresciuta in uno dei quartieri di Milano che la stampa definirebbe difficile ma per lei è solo casa, cercando di tenersi alla...