Capitolo 28

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Erano due giorni che me ne stavo chiusa in camera fingendo di essere malata. Odiavo sfruttare le mie capacità per ottenere qualcosa visto quello che avevo fatto, ma dopo il giro al pronto soccorso era l'unico modo per evitare che i miei genitori si preoccupassero di nuovo. Mi avevano già assicurato che dal punto di vista fisico non avevo nulla che non andava e l'ultima cosa che volevo era essere spedita da uno strizzacervelli.

Lanciai un'occhiataccia allo smartphone quando trillò, evitavo di collegarmi a internet più del necessario, nessuno si sarebbe preoccupato per questo, dato che la batteria del mio telefono durava a malapena tutto l'orario di scuola. Se lo avessi tenuto sempre connesso come faceva la maggior parte dei miei coetanei, mi avrebbe abbandonato dopo un quarto d'ora. Il trillo era il suono della ricezione di un messaggio e avevo un'idea piuttosto precisa di chi fosse il mittente. Lo ignorai, il mio piano era rimanere chiusa fra queste quattro mura fino alla fine dell'eternità.

Dopo qualche minuto, iniziò a suonare e vibrare, controllai chi mi stesse chiamando. Ancora Giulia. Lasciai che suonasse a vuoto, dovevo solo aspettare che si stancasse di cercarmi. Una volta che fossi riuscita ad allontanarla da me, sarebbe stata al sicuro. Almeno lei.

Con Dante sarebbe stato più difficile. Avevo paura di scoprire quanto si ricordava di avermi detto, speravo che avrebbe imputato quella strana confessione al whiskey che aveva bevuto. Sarebbe stato chiedere troppo sperare che non se lo ricordasse proprio.

Quando mi ero azzardata a rientrare nell'appartamento, se n'era già andato. Non mi aveva mandato messaggi, ma non era indice che ci fosse qualcosa di più strano del solito. Controllavo a cadenza regolare che si collegasse a WhatsApp, ma non avevo il coraggio di scrivergli.

Aspettavo che il tempo passasse cercando di pensare a cosa avrei potuto fare dopo. Non potevo restare in camera a nascondermi in eterno. Avrei dovuto continuare a convincere i miei genitori che non stavo abbastanza bene da uscire ma neanche abbastanza male perché dovessero preoccuparsi. E, anche se fossi riuscita ad accettare di farlo per più giorni di seguito, ci sarebbe sempre stato Dante. Per restare chiusa in casa, sarei stata costretta a convincere anche lui. Di nuovo.

Provavo già un senso di nausea verso me stessa ogni volta che ripensavo a quello che avevo fatto senza averne intenzione, usare volutamente le mie capacità su di lui era impensabile.

Mi alzai per andare a prendermi un bicchiere d'acqua in cucina e sentii il rumore del campanello. Sia i miei genitori sia Dante avevano le chiavi, non avrebbero perso tempo a suonare. Guardai lo schermo del telefono e seppi che non era qualcuno che voleva vendere qualcosa a porta a porta. L'orario di scuola era finito e, se avevo bisogno di altri indizi, il messaggio che mi aveva mandato Giulia, prima di tentare di chiamarmi, era abbastanza chiaro: Sara, giuro che se non mi rispondi al telefono, vengo a casa tua e butto giù la porta. Cazzo!

Il suono del campanello si ripeté e si aggiunse un bussare deciso. «Sara! Apri. So che sei lì. Dante ha detto che sei a casa malata.»

Imprecai, avrei dovuto aspettarmelo che al secondo giorno che la ignoravo lei avrebbe cercato mie notizie da mio fratello. Probabilmente Dante si era fatto promettere di essere informato su come andava il suo tentativo.

Sospirai e mi decisi ad aprire la porta. «Siamo diventate molto fini, vedo.» non riuscii a non prenderla in giro.

Lei mi fissò con occhio critico. «Non mi sembra tu stia così male.» commentò. «Non mi fai entrare?»

Mi scostai e lasciai che superasse la soglia. «Ciao anche a te, comunque.»

«"Ciao" te l'avrei detto stamattina, se fossi uscita di casa. O ieri.» mi rispose mentre chiudevo la porta. «Perché mi eviti?»

«Non ti sto evitando.» mentii.

Lei mi fissò scettica. «E come lo chiami ignorarmi quando ti propongo di vedere un film insieme?» domandò.

«Non ho visto il messaggio perché non ho guardato il cellulare.»

«Per tutto il giorno?»

«Quindi hai parlato con mio fratello.» cercai di distrarla, prima che mi facesse notare che non avevo accettato di andare vedere un film insieme a casa sua due volte in tutta la mia vita e solo perché non avevo potuto evitarlo. Il padre di Giulia amava seguire le partite di calcio, era il suo unico vizio e a differenza del mio non si accontentava di guardarle quando le passavano in chiaro, ma aveva scelto un servizio on demand che offriva anche film e serie tv. Dallo scorso compleanno in cui mio fratello mi aveva regalato un portatile di fascia media ci chiudevano nella privacy della camera di Giulia per guardare qualcosa lasciando libera la televisione in soggiorno per i suoi genitori.

Avrei voluto chiedere come le era sembrato Dante, anche se sapevo che sarebbe stata una domanda strana.

«È meno difficile da incrociare di te. Al momento.» ribatté non senza una punta di sarcasmo.

«Sta bene?» non riuscii a impedirmi dal domandare. Me ne pentii appena vidi svanire ogni accenno di ironia dal suo viso. «Fa finta che non te l'abbia chiesto.» mi affrettai ad aggiungere.

Mi prese sottobraccio e condusse entrambe fino al divano. «Cos'è successo?»

«Non lo so. Ho perso il controllo» mi interruppi rendendomi conto che si stava facendo idee strane. «L'ho fatto parlare di cose che non era pronto a rivelarmi.» riassunsi in fretta. «Del Beccaria. Appena me ne sono resa conto sono scappata via, ma»

«Non l'hai fatto apposta.»

«Che differenza fa? Come ti sentiresti, se qualcuno ti obbligasse a parlare di qualcosa che vuoi tenere per te? Sono un mostro.» dissi e quasi mi uscì una risata isterica, dato che era il nomignolo affettuoso con cui chiamavo lui.

«No, sei solo diversa.»

«Io cerco di fare la cosa giusta e poi succede questo»

«Hai mai pensato che forse il problema è proprio questo?» La fissai, sembrava più matura di me in questo momento. «Cosa dici sempre a me? Che devo trovare il coraggio di parlare ai miei genitori di come mi sento perché solo così posso accettarmi. Forse è per questo che non riesci a controllarlo, non vuoi accettare quello che sei in grado di fare. Quello che hai ricevuto è un dono, se fosse toccato a me, lo userei. I limiti sono per le persone comuni, tu non lo sei, non più.»

Mi abbracciò. «Ti voglio bene, Sara.» disse, poi si alzò e uscì dall'appartamento senza attendere la mia risposta.

Don't kiss the VillainDove le storie prendono vita. Scoprilo ora