Il rumore di una moto mi fece trasalire, alzai lo sguardo temendo fosse Dante, ma era solo uno sconosciuto che transitava lungo la strada. Non sapevo cosa pensare dell'ultimo incontro con Jacopo e il suo amico, non si era disturbato a nascondere che il suo intervenire fosse stato un gesto di impulso, ma non verso una sconosciuta. Se lui e mio fratello fossero stati in rapporti diversi, avrei detto che si era sentito in dovere di fare qualcosa.E non sapere se le mie capacità avessero avuto effetto o meno su di lui era irritante.
Scacciai Jacopo dalla mia mente, ma più me lo trovavo tra i piedi e più diventava difficile. Era una sfortuna che oltre a essere un coglione fosse anche figo.
Salii le scale del condominio e quando aprii la porta trovai mia madre ad attendermi. Solo in quel momento realizzai che era mercoledì. Dovevo aspettarmelo che proprio il giorno in cui cercavo di parlare il meno possibile con chi mi stava intorno fosse anche quello in cui ne avrei incontrate di più. Lei se ne stava in piedi con la scatola del mio pranzo in mano, appoggiai lo zaino a terra con un sospiro e la salutai.
Mi guardò con più attenzione. «Tutto bene a scuola?»
Repressi un'imprecazione e presi la scatola dalle sue mani. Avevo appena fatto scattare il suo istinto indagatore, se non fossi stata attenta sarebbe passata all'interrogatorio di terzo grado per essere sicura che fosse tutto a posto. «Sì, tutto bene. Sono solo stanca.» dissi fissandola negli occhi. «Non ho tanta voglia di venire dalla nonna oggi.»
Sentii il mal di testa aggredirmi le tempie prima ancora di udire la sua risposta: «Stavo pensando che potrei andare da sola questa volta a trovare la nonna.»
La scatola mi sfuggì di mano e si aprì spargendo tutto il suo contenuto sul pavimento mentre io scivolavo a terra tenendomi la testa tra le mani. Sentivo mia madre parlare, ma non capivo cosa dicesse. La sentivo toccarmi, ma il mal di testa inghiottiva ogni stimolo. Era più forte di quello che mi aveva colpito prima del compito di matematica, mi sentivo come se mi si stesse per spaccare la testa dal dolore. Chiusi gli occhi. Non c'era posto per altro nemmeno per la paura. Nemmeno quando mi sentii sollevare e trasportare.
Era tutto ovattato intorno a me. Non sapevo quanto tempo fosse passato da quando il dolore era iniziato a quando finalmente aveva iniziato a scemare. Voci concitate e tranquille e altri rumori si erano susseguiti intorno a me, ero stata spostata più volte, anche se ne ero stata a malapena consapevole. Ora mi sembrava di essere distesa a occhi chiusi su qualcosa di morbido ma non troppo comodo.
Le note di una chitarra classica arrivarono fino a me come se fossero un rumore lontano, mi concentrai su di esse perché sapevo di conoscerle, anche se in quel momento a malapena le sentivo. Mi portarono a una voce maschile che cantava a bassa voce, quando riuscii a nominare la canzone riuscii anche ad aprire gli occhi.
Distinsi un ambiente intorno a me che sapeva tanto di ospedaliero. Non mi stupì che mia madre avesse chiamato l'ambulanza, dopo quello che era successo. Non vedevo né lei né mio padre nelle vicinanze. Sapevo già che non era nessuno di loro due a suonare la chitarra che era penetrata nel mio subconscio. Mi concessi di ascoltare ancora qualche parola di Come as you are dei Nirvana, prima di fargli sapere che ero sveglia. Teneva la testa abbassata, i capelli dorati gli erano scivolati sul viso e potevo guardarlo senza essere vista. Mi sembrò di essere catapultata indietro nel tempo a quando ancora cantava, per me e per i Nevermind. Avevo pensato che forse per me lo avrebbe fatto ancora, se glielo avessi chiesto, ma non avevo osato domandarglielo perché non sapevo cosa lo avesse fatto smettere di essere un musicista e un cantante per diventare il vice degli Skull and Roses. Una parte di me aveva temuto che questa nuova seconda natura con cui sembrava trovarsi a suo agio avesse prevalso sulla prima scacciandola. La risposta stava davanti ai miei occhi. Non lo vedevo con in mano uno strumento musicale da troppo tempo, ma era come se non avesse mai smesso.
«Pensavo non cantassi più.» La mia voce era roca come se non la usassi da anni.
Dante sollevò lo sguardo dalla chitarra e si fermò. Stava seduto su una di quelle scomode sedie che si trovavano in ospedale. Era vestito di nero come al solito, immaginai che fosse al Red Rose quando mamma lo aveva chiamato. Doveva essersi precipitato qui e in un qualche momento successivo essersi allontanato per recuperare la chitarra, quel dettaglio mi disse che dovevo essere stata incosciente per alcune ore. Si era tolto la giacca degli Skull and Roses che indossava sempre, restando con un'anonima maglia nera a maniche lunghe, la vedevo appoggiata senza molta grazia sulla custodia dello strumento ai suoi piedi. Avrei detto che la sua vecchia chitarra acustica avrebbe fatto a pugni con gli abiti che indossava da quasi due anni, invece gli davano quel tocco da artista dannato che non aveva mai avuto con i Nevermind. Dante mi guardava come se non fosse sicuro che mi fossi svegliata davvero, c'era un'emozione che mi inquietava nelle sue iridi che erano diventate più scure, quasi del colore del caramello fuso come se la preoccupazione le annerisse.
«Da quanto sono qui?» chiesi perché lui non sembrava intenzionato a parlare.
«Da un po'.»
Sorrisi a quella risposta vaga. «Mamma e papà?»
«Sono andati a mangiare qualcosa.»
Immaginai che si fossero fatti promettere che li avrebbe avvisati subito se ci fosse stato qualche cambiamento, ma lui non tirò fuori lo smartphone per chiamarli o mandare loro un messaggio. Si limitò a posare la chitarra a terra e continuò a guardarmi. Quando cercai di mettermi a sedere, si mosse per aiutarmi. Mi raggiunse accostandosi a quella che mi resi conto essere una barella e io mi aggrappai a lui.
«Mamma ha detto che ti sei sentita male, appena tornata da scuola.» Appoggiò il mento sopra la mia testa.
Annuii contro il suo torace. «Mal di testa.»
Sentii dei passi avvicinarsi e capii che non saremmo più stati soli. Quando Dante iniziò a tirarsi indietro immaginai che non fossero solo i nostri genitori. Lo lasciai andare per prestare attenzione al gruppetto che ci aveva raggiunto.
La mamma fu la prima ad accostarsi a me poi arrivò mio padre. Mi lasciai avvolgere dal loro abbraccio poi alzai lo sguardo sui medici in attesa.
«Cos'ho che non va?» chiesi.
«Gli esami non hanno evidenziato nulla di anormale. È probabile che si sia trattato solo di un episodio di forte emicrania.»
Mi sentii meglio e al tempo stesso peggio a quella risposta. Meglio perché non c'era nessun problema fisico, ma al tempo stesso continuavo a non avere alcuna spiegazione per quello che sembrava potessi fare.
Vidi Dante dietro di loro riporre la chitarra nella custodia e recuperare la giacca degli Skull and Roses che si posò di traverso su un braccio mentre si metteva in spalla la custodia con lo strumento. Stava per voltarmi le spalle e iniziare ad allontanarsi, adesso che era evidente che stessi meglio. Mi divincolai in parte dall'abbraccio dei miei e allungai una mano verso di lui.
«Resta.» esclamai prima che mi desse la schiena. I nostri occhi si incrociarono e lo vidi accadere. Quasi avevo sperato che questo mal di testa avesse resettato qualunque cosa avesse cambiato in me il primo, ma non era così.
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Don't kiss the Villain
Storie d'amoreSara ha una vita fatta di quasi: una quasi camera, una vista quasi cielo, una quasi sorella e un fratello quasi perfetto. È cresciuta in uno dei quartieri di Milano che la stampa definirebbe difficile ma per lei è solo casa, cercando di tenersi alla...