You Can't Escape

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Una mano mi scosse dolcemente.
« Ylenia, svegliati. » aprii lentamente gli occhi, ero nella mia stanza ed Evelyn mi guardava in modo inquietante.
« Che c'è? » affondai la testa contro il cuscino con un lamento.
« C'è un tuo amico in cucina che ti aspetta, non mi avevi detto di averne uno così figo. » confusa aggrottai le sopracciglia.
« Non ce l'ho, infatti. » mi tirai su a sedere. Chi diavolo poteva essere?
« Vado a scambiarci qualche altra parola mentre ti dai una sistemata. »

Mi trascinai davanti allo specchio. Avevo ancora la coda da cavallo di ieri sera, anche abbastanza spettinata ed un pigiama che non era nulla di così speciale. Una larga maglia lunga fino a metà coscia di Tupac.

Sospirai e con una mano nelle tempie entrai in cucina. Mi paralizzai all'istante, non poteva essere.

Tom Kaulitz era seduto al tavolo della mia cucina e stava sorseggiando un caffè ridendo con la mia coinquilina.

Se quello era un incubo pregavo che qualcuno mi svegliasse.
« Eccoti. » disse la mia amica con un sorriso.
« Che ci fai qui? » chiesi nervosa.
« È così che saluti un vecchio amico? » il suo tono era divertito così come il suo sguardo, mi stava prendendo in giro.

Tom Kaulitz mi stava prendendo in giro nel mio fottuto loft.

Digrignai i denti.
« Vuoi qualcosa Yle? » scossi la testa, lo stomaco mi si stava contorcendo da cima a fondo. « Beh è stato un piacere conoscerti Tom ma devo scappare in università. » la mora afferrò la sua borsa. « Oh non ti preoccupare, è stato un piacere pure per me. » ghignò quando chiuse la porta di casa, lasciandoci soli. « Brutta mossa lasciare che ti accompagnassi sotto casa l'altra sera, non puoi scapparmi. » Ero in una stanza col diavolo. « La situazione è questa, o finisci in carcere non rispettando il contratto o paghi una multa da due milioni di dollari. » sgranai gli occhi.
« Due milioni di dollari? Ma sei impazzito? » si accese una sigaretta.
« È quanto ha detto il mio avvocato, ma pensandoci forse sono pure pochi. » disse afferrando il cellulare. La mano mi formicolava, la voglia di colpire quel suo viso fastidiosamente perfetto iniziava a crescere in me.

Mi presi la testa tra le mani e il suo sguardo si posò sulle mie cosce nude.
« Quei soldi mi servono per altro. »
Andrew, l'università.. non avrei rinunciato a nulla di tutto quello per lo stupido capriccio di un idiota. Ma nemmeno potevo finire in carcere, avevo troppi progetti per il mio futuro.
« Allora è semplice, rispettalo senza fare storie e in sei mesi ne sei fuori. » il suo tono tremendamente calmo al contrario del mio carico di rabbia mi dava la nausea.
« Mi rifiuto di lavarti le mutande o di pulire per te. » il mio tono adesso era minaccioso.
« Oh no stai tranquilla per quello ci pensa già la mia domestica. »
« È un peccato che ti ostini a coprire quelle belle gambe con dei jeans. » lo guardai spalancando la bocca.
« Sei disgustoso. » si leccò le labbra senza staccarmi gli occhi di dosso.
« Hai mezz'ora per renderti presentabile. » inarcai un sopracciglio.
« E dove dovrei andare scusami? » sospirò rumorosamente, seccato.
« Devi venire con me, adesso muoviti e non fare altre domande se non vuoi che mi innervosisca. » alzai gli occhi al cielo e borbottai un "vaffanculo" sotto voce andando in camera mia.

Afferrai un jeans blue a vita bassa e un maglioncino bianco che arrivava poco sotto l'ombelico.

Tra un imprecazione e l'altra mi lavai per voi vestirmi, sciolsi i capelli spazzolandoli e li acconciai in una coda pulita e ordinata. Infilai un paio di sneakers bianche e tornai in cucina.

Per tutto il tempo dal bagno e dalla mia camera potevo sentire il fastidiosissimo tintinnare delle chiavi emesso dal ragazzo seduto in cucina il che fece aumentare notevolmente il mio nervosismo attuale.

« Sei stata rapida. » disse sollevando l'angolo della bocca in un sorrisetto compiaciuto. Afferrai le chiavi della mia macchina dal portaoggetti.
« Oh no no, andremo con la mi auto. Non scomodarti a prendere la tua. » osservai la sua figura vitrea che mi superava andando verso la porta.
« E io poi come torno a casa? Prendo le chiavi. »
« Ho detto di no, cazzo. Sei sorda? Poi ti arrangi o se ti comporti bene sarò così gentile da darti un passaggio. » lo fissai sbigottita, questo ragazzo aveva dei fottuti problemi.
« Sei folle, non rimarrò a piedi a causa tua. » feci per afferrarle ma una stretta calda mi bloccò saldamente il polso.
« Si fa come dico io, ricordi? » nella mia testa le parole "multa" e "prigione" martellarono furiosamente.

Mollai la presa sull'oggetto guardandolo con rabbia.

Chiusi a chiave l'appartamento mentre intanto lui chiamò l'ascensore.
Osservai i nostri riflessi allo specchio, sembravamo l'angelo e il diavolo.

Mi strinsi la coda sulla testa.
« Potresti anche tenerli sciolti, secondo me staresti davvero bene. » sussurrò con voce seducente al mio orecchio. Una scarica di brividi si propagò nel mio corpo ma la ignorai. Non potevo trovare attraente quell'essere che mi teneva sotto suo controllo con l'inganno.
« Allontanati subito. » dissi a denti stretti. Emise una risata, gelida.

Improvvisamente mi ritrovai sbattuta contro il muro dell'ascensore con Tom ad un soffio dal mio viso. Teneva un braccio steso contro di esso per reggersi mentre l'altro mi accarezzava il labbro inferiore con il pollice.
« Forse non hai capito che con te posso fare quello che voglio, dolcezza. » mi irrigidì e mandai giù il groppo che mi si era formato in gola.

Mi guardò con lussuria, con avidità.
Non gli avrei permesso di usarmi a scopi suoi, se lo poteva anche scordare. La sua figura sovrastò la mia, quando le porte dell'ascensore si aprirono si allontanò con nonchalant uscendo senza nemmeno aspettarmi.
« Bastardo.. » sussurrai sicura che non mi potesse sentire, è strano da dire ma non avevo paura di quell'uomo.

Non ancora.

Lo seguii in perfetto silenzio religioso ed entrammo nella sua macchina, il signor comodista aveva parcheggiato proprio di fronte al portone e in teoria non era permesso.
« Sai vero che non puoi posteggiare qui? A meno che tu non tenga alla tua macchina e vuoi che te la portino via. »
« Io posso fare tutto. » indossò gli occhiali da sole, allacciai la cintura di sicurezza. Era un incubo, un fottuto incubo.
« Certo si, immaginavo. » nascose un ghigno e decisi di non dire più una sola parola.

La sua presenza mi dava la nausea, la sua voce mi dava la nausea, il suo tocco mi dava la nausea. Lui mi dava la nausea. Sei mesi erano un tempo fottutamente lungo. Mi maledì per non aver letto quello schifosissimo contratto ma infondo chi era che leggeva davvero un contratto per intero prima di firmare?

Adagiai la schiena contro il sedile, quando avevo lui vicino sentivo di dover essere sempre rigida come un tronco.

Aspettai Aprile con ansia, il mese della mia scarcerazione. Detto così suonava veramente triste ma dovevo arrendermi a quel destino, però ciò non voleva dire che gli avrei reso le cose facili al ragazzo dalle treccine nere come l'inchiostro.
« Dove stiamo andando? » aspettò qualche minuto prima di rispondermi.
« Da mio fratello. »
« Tuo fratello? Hai un fratello? » annuì. « Cosa c'è di strano? » scossi la testa. « Niente. » speravo che non fosse simpatico come Tom.

Six Months - Tom Kaulitz Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora