14. Furia e distruzione

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Andava avanti e indietro per la camera da diverse ore, attendendo l'orario in cui sarebbe dovuta andare a cena con uno degli esseri peggiori che avesse mai incontrato nella sua vita. Si appoggiò al davanzale con tutto il corpo, osservando la cintura dove aveva incastrato accuratamente gli ordigni, essa l'attendeva sulla poltrona e la luce fioca del tramonto risplendeva sulle due mine.

Nessuno era venuto a reclamarle, né sembrava si fossero accorti della loro assenza. Sospirò, chiudendo gli occhi e riafferrando le uniche foto che aveva ottenuto della sua squadra per calmarsi.

Forse quella sarebbe stata anche la sua ultima cena e il suo unico desiderio era ti vedere per l'ultima volta Saleem, gli sarebbe bastato anche solo uno scatto, ma immaginò di non poterlo ottenere più.

Strinse i denti e alzò la gonna cosi voluminosa che fece difficoltà ad incastrarla ai lati delle sue braccia, afferrò il cuoio liscio della cintura e lo fece passare lentamente intorno al suo bacino da un fianco all'altro, il contatto con l'acciaio freddo la fece sussultare un po', si assicurò che le levette fossero ben posizionate e lontane dagli spessi strati di stoffa sperando non si azionassero da sole ed infine lasciò cadere la gonna a terra. Dall'immagine riflessa nello specchio era impossibile notare ciò che nascondeva. Dopo il corpino aderente che si fermava poco sopra l'ombelico, la gonna si estendeva ampia ai lati, nascondendole tutte le forme. Proprio ciò che le serviva. Aveva scelto quel vestito verde anche per la scollatura a cuore, avrebbe giocato di astuzia se sarebbe servito, tutto pur di portare al termine il suo nuovo compito.

Aveva passato tutta la notte a spiegare il suo piano a Ginevra, aveva visto passare sul suo viso una serie di emozioni diverse e contrastanti fra loro, paura, timore, sorpresa, speranza e di nuovo paura. Nonostante tutto però non l'aveva rimproverata, né le aveva chiesto di non procedere. Si era accertata piuttosto che ci fossero danni minimi alla tenuta, in cambio le aveva promesso di acciuffare quante più persone possibili per metterle in salvo. Ogni volta che Skye le ripeteva il piano, Ginevra la guardava di sbieco, sospettosa che lei riuscisse effettivamente ad uscirne illesa.

«Ce l'hai addosso ora?» chiese con voce bassa, annuì. «Misericordia, sta per succedere davvero» emise in un gemito, riprendendo a percorrere la stanza agitata. «Una parte di me ha sperato che ieri sera era stato tutto un incubo» era troppo ansiosa e chiunque guardando la avrebbe potuto capire che ci fosse qualcosa che non andava. Per questo Skye si avvicinò, ma lei fece retromarcia «Tranquilla, non scoppieranno» la rassicurò, avvicinandosi. «Cosa temi?» domandò spostandole una ciocca di capelli dietro l'orecchio ed intercettando i suoi occhi spaventati nei suoi. «Se tutta la tenuta crollerà?» quella era una possibilità, ma non aveva il lusso di poterle dare delle garanzie in merito. «Può succedere. E in quel caso dovrete essere pronti a scappare fuori nei giardini, o nelle stalle, ovunque lontani da qui insomma» fece un lungo respiro, che Ginevra imitò. «E se Maicol se ne rendesse conto prima che tu ne azioni una?» erano dubbi validi quelli, quindi attinse a tutto il suo autocontrollo per sembrare quanto meno calma e sicura di sé. Questo lo doveva sicuramente a tutti gli insegnamenti ricevuti dal Villaggio.

«Non impiegherò molto per estrarre le leve di sicurezza, ci vogliono pochi secondi e...Maicol non avrà vie di fuga» precisò, alzandosi la veste per lasciarle vedere meglio la struttura delle due mine. «Capisco» mormorò, abbassandosi per guardarle meglio. «Vedi, qui, ecco queste sono le levette, ci vuole molta pressione per toglierle e solo cosi si azionano. Quindi devi stare tranquilla» indicò con l'indice l'asticella rigida e poi la spia spenta. «Si colorerà questo, che lampeggerà pochi secondi prima che scoppino» la ragazza issò il capo mentre lei lasciò ricadere la gonna «Andrà tutto bene, per quanto potrà andar bene» promise. «Cercherò di massimizzare i danni più possibile»
«E che ne sarà di lei?» mentre parlavano di un piano così folle pensò fossero solo degli inutili convenevoli i modi educati in cui si esprimeva. Le prese le mani racchiudendole fra le sue. «Chiamami Skye» provò a sorriderle rassicurante. «Skye» ripeté il suo nome, come per abituarsi a pronunciarlo anche se l'aveva già chiamata così. «Proverò a scappare nei restanti secondi che anticiperanno lo scoppio. Ma sono pronta a qualsiasi eventualità. Lo sono sempre stata» qualcuno bussò alla porta, e sbucò da essa Pierre, che salutò educatamente entrambe. Il momento dunque era arrivato.

RESILIENCEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora