15. Una lunga notte

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Riaprì gli occhi e nella nebbia offuscata della sua mente e di fronte a sé vide solo lievi bagliori creati dalle sfumature più calde e vivide che avesse mai visto in vita sua. Non percepì alcunché eccetto il ronzio assordante che sentiva provenire dall'orecchio destro, forte come se si fosse schiantato un forte tuono proprio lì accanto a lei.
Non capiva ancora cosa stava succedendo, ma ad ogni secondo che scandiva il tempo, iniziava a sentire lentamente più cose, come i battiti impazziti del suo cuore che sembrava volerle uscire dal petto, annaspando si allungò per sorreggersi sui palmi delle sue mani anche se ancora non riusciva a muoversi liberamente poiché i suoi muscoli erano intorpiditi e indolenziti come non accadeva da molto tempo, essi reclamavano una tregua come ogni parte di lei.

Provò a guardarsi intorno in cerca di qualcosa da mettere a fuoco, ci provò finché non ci riuscì, e il cuore finalmente le si mozzò in gola bloccandole completamente il respiro.

Degli scarponi scuri, alti poco sopra alle caviglie, simili ai suoi erano davanti a lei.
Seguì verso l'alto quel corpo slanciato, scorrendo sulle lunghe gambe muscolose e il busto coperto da una maglia nera aderente, infine vide gli occhi più scuri che avesse mai visto in vita sua, gli stessi che l'avevano condotta spesso in altri mondi con una facilità disarmante. Un respiro mozzato le fuoriuscì dalle labbra mentre sorpresa mugugnò «Saleem»
Gli era mancato, e non seppe se quello fu solo un pensiero oppure l'avesse appena rivelato ad alta voce perché non sentiva di avere una connessione diretta con il suo corpo.

Aveva sognato per settimane ogni centimetro di quel corpo, ed era dannatamente difficile mantenere la sua dignità e non scoppiare a piangere quando ce l'aveva proprio di fronte. Si protese verso di lui ma la schiena che doleva obiettò, cautamente e lentamente si distese prima su un lato, e poi provò a rimettersi seduta.

Avrebbe voluto toccarlo, assaporare il calore del suo corpo e parlargli di cosi tante cose che era impossibile capire qualcosa nella confusione che riecheggiava nella sua mente.
Ma lui era lì.
«Saleem» sussurrò ancora e questa volta seppe che non riusciva a contenere l'emozione che aveva nella voce. I suoi occhi cupi si spostarono di lato, e anche lei seguì quella stessa direzione, man mano che lo sfondo stava acquisendo nitidezza. Ogni cosa tornò al suo posto in breve tempo, e si ritrovò a guardare fumo denso e fiamme alte diversi metri che incombevano su terra e cielo.

Era balzata via per qualche metro di distanza per via delle esplosioni, giaceva su un mucchio di detriti, accanto a lei vi era cemento spoglio, intonaco, travi, legno e qualcosa di indefinito che continuava ad ardere crepitando.
La tenuta era invasa dalle fiamme, almeno la parte che si reggeva in piedi, perché un grosso lato era crollato completamente.
Era viva.
I suoi occhi guizzarono ancora di lato e fra quelle macerie scorse un corpo disteso e chiazzato da polvere e fuliggine. Era Maicol e non era troppo lontano da lei, disteso a pancia in giù sotto ad un blocco rendeva impossibile capirne le condizioni, si augurò ugualmente che fosse morto.

«L'ho fatto per te» spiegò con voce lieve emettendo un singhiozzo. Saleem non si rivoltò a guardarla mentre sbiadiva e si dissipava in una nebbia densa, finché ciò che rimaneva di lui venne risucchiato dalla luce accesa del fuoco che ruggiva ancora contro al vento.
No, no, no.
Sentì il panico trasformare in ghiaccio il calore nel suo sangue mentre si rendeva conto che Saleem non era mai stato lì con lei. Era sola.
Cosa aveva fatto
Riuscì a percepire più chiaramente tutto ciò che aveva intorno e quasi sperò di risentire quel ronzio all'orecchio destro piuttosto che le urla disperate che la circondavano.

Si alzò, barcollò, ricadde, e si rialzò. Sorreggendosi su un pezzo di tettoia mentre le tegole cadevano e si infrangevano contro alle lastre crepate. I suoi occhi terrorizzati studiavano quelle mani protese verso il cielo, i lamenti dei feriti, di chi era rimasto bloccato sotto ai blocchi di mura e travi e stava morendo.
Per colpa sua.
Girò su se stessa lentamente, ipnotica ovunque guardasse c'era distruzione. A fare quello però non era stata l'ira di Icaro, da lui se l'aspettava. Guardò le sue mani sporche, piene di minuscoli tagli e bruciature, sarebbero state macchiate per sempre perché era stata lei e lei soltanto ad aver portato quella scia di morte e distruzione.
Respinse il panico. Lo ricacciò indietro in una parte tempra di lei con tutta la forza che le rimaneva in corpo, costrinse le sue gambe a camminare prima che potesse formulare un pensiero del tutto logico e si augurò vivamente che fra quei resti non c'erano anche Ginevra, Ronald e Pierre.
Il suo corpo continuò a camminare ignorando il dolore al bacino, circondò la tenuta divorata dal fuoco e andando verso quello che rimaneva dei giardini completamente bruciati; le fiamme procedevano veloci, propagandosi ovunque potevano.

RESILIENCEDove le storie prendono vita. Scoprilo ora