Capitolo 4
Come tuo padre
Zero
Non so dove sto trovando il coraggio per andare a casa a dire tutto a mia zia, la donna che mi ha accettato e cresciuto, ma in ogni caso sono qui, di fronte alla porta di casa mia, con le mani in mano e Hanako che mi osserva, mi scruta dentro. Probabilmente, pensa che io sia un codardo.
Quando entriamo troviamo mia zia sul divano; sta cucendo un mio paio di calzini che ormai sono molto vecchi, ma lei ci è molto affezionata, perché me li ha regalati una sera, sul tardi, dopo essere tornata dal lavoro.
Non posso credere che sto per darle una delusione del genere. Me ne vergogno.
Karilin, questo è il suo nome, è sempre stata una donna semplice. E' davvero molto simile a me, tranne per gli occhi, che sono grandi e color nocciola, e i capelli, che lei ha di colore chiaro, certo, ma mai come i miei. E' un tipo forte, tosto insomma: non si fa mettere i piedi in testa da nessuno.
Tranne che da mio padre, forse, che è suo fratello.
Quest'argomento cerco sempre di evitarlo. Ad eccezione di Kaito, quasi nessuno sa che mio padre ha abbandonato la mia famiglia quando io avevo a malapena dieci anni. Quasi nessuno sa che mia zia ha dovuto cavarsela da sola, sfamarmi e accontentarmi come poteva con uno stipendio medio-basso e una parcella che gli arrivava dalle tasche di mio padre, che intanto viveva a San Diego, magari con un'altra donna, in una casa grande.
Ma sta proprio qui la forza di questa donna. Lei si è rimboccata le maniche e non mi ha mai fatto mancare nulla, e adesso sono un ragazzo agiato e fortunato. E' diventata dirigente di una grande azienda e prende un sacco di soldi, anche se purtroppo non è quasi mai a casa.
Ed è anche per questi motivi che non vorrei mai deluderla. Lei non ha mai sbagliato niente, mai, ha solo incassato brutti colpi da uomini infedeli e ricevuto migliaia di delusioni da un nipote - ormai figlio - incapace.
Non mi perdonerà mai per quello che sto per dirle, lo so.
-Hanako cara, siediti, vuoi qualcosa da bere? - saluta mia zia cordialmente, con un bellissimo sorriso stampato in volto. -Ho appena preparato un tè. Certo, ne avrei fatto di più se Zero mi avesse detto che aspettavamo ospiti...
-No, signora, la ringrazio. - si scusa Hana. -Ecco, vorrei solo parlare con lei. E' una cosa importante.
-Una cosa importante?
-Molto, signora. - ammette Hana con voce flebile. Il suo volto è imperscrutabile e al contempo incredibilmente serio.
-Oddio, piccola mia, così mi spaventi...
-Siediti, zia. - intervengo io. Ormai ho il cuore in gola, ho assolutamente bisogno di liberarmi da questo peso.
Lei si siede, prendo un bel respiro, e le racconto tutto dall'inizio.
Mi dispiace. Giuro che mi dispiace.Yuuki
Traccio una linea sull'ennesimo nome sul pezzetto di carta che ho in mano, forse, di conseguenza, anche l'ultima possibilità di lavoro che mi rimane.
Sono consapevole che San Diego è una piccola città, ma non ero assolutamente pronta a tutti questi rifiuti da parte dei negozi che cercavano dipendenti. Insomma, che cos'ho, la lebbra?
"Per adesso non assumiamo nessuno, semmai ti richiameremo."
Oh, beh, questa ipotesi era la migliore. Le peggio erano le frasi fatte dei dirigenti con la puzza sotto il naso, che mi dicevano chiaramente di andarmene, senza nemmeno un po' di ritegno.
"Diciotto anni? E perché non hai mai lavorato, cara?"
Oppure: "Mi 'spiace davvero, ma ho bisogno di personale più qualificato, che abbia più esperienza, insomma".
Insomma.
Insomma!
Possibile che non riesca a trovare un fottuto lavoro? Ci sono ragazzi della mia età che non ne vogliono proprio sapere, di lavorare, ma magari trovano l'occasione di farlo e cominciano svogliatamente. Io invece mi voglio impegnare, ma non trovo uno straccio di lavoro.
-Non ti arrabbiare, tesoro! - mi dice Yori, seduta a fianco a me, su una panchina del centro. Anche oggi c'è il sole, e ho addirittura la gonna corta senza calze. C'è aria d'estate, ed è una sensazione tutta nuova per me.
-Vorrei non arrabbiarmi, Yori. Giuro. Ma è due mesi che cerco un lavoro...è possibile? Sono andata persino in quel paese così distante da qui, com'è che si chiamava...
-Usotsuku - rispone titubante Yori. -O qualcosa del genere.
-Ecco, quello lì. Ma niente. O sono troppo piccola per lavorare, o dovevo cominciare prima perché sono troppo grande, adesso, per cominciare un lavoro. Dimmi, Yori, sono troppo grande o troppo piccola?
Yori comincia a ridere; è adorabile quando fa così, quando ride alle mie battute come se fossero effettivamente tali. Lei ha sempre il sorriso stampato sulle labbra, è sempre felice, candida, ed è per questo motivo che cerco sempre di aiutarla e di non farle pensare a Kevin, anche se mi riesce molto difficile.
Non sono delle battute, amica mia. Dico davvero, ma va bene così, se sei felice tu, lo sono anche io con te.
Abbiamo ricominciato a camminare, per cui suppongo che la risposta alla mia domanda non l'avrò mai. Ma mi va bene così, l'importante è che Yori sia serena, il lavoro può aspettare.
Anche se sono passati due mesi da quando mi ha giurato che Kevin avrebbe lasciato la sua attuale fidanzata, quel giorno, in biblioteca, non è cambiato nulla. Anzi, le cose peggiorano sempre di più perché Yori crede in lui ma lui non fa niente, ma proprio niente, per meritarselo. E io continuo a dirle: "Yori devi dimenticarlo" e la sua risposta, sempre quella tra le altre cose, è: "ma io lo amo. Mi spezza il cuore ma io lo amo".
Stiamo parlando di vestiti, di scarpe col tacco e di ragazze che non sono capaci di camminare decentemente con questi, quando mi colpisce una vetrina, sulla destra. E' piena di libri, e probabilmente è in restaurazione, perché nessuno di loro è al suo posto.
Mi avvicino alla porta di ingresso, dove su un cartello sta scritto, a caratteri cubitali: "cercasi personale". E quasi non piango dalla gioia.
-Yori, Yori, guarda! - quasi grido strattonandole il braccio, indicandole la vetrina.
-Oddio ma che c'è? Ah...quello.
-"Ah....quello" non è decisamente il tipo di reazione che mi aspettavo - ammetto guardandola di sbieco. Sbuffo sonoramente, quando vedo che Yori non sembra cambiare atteggiamento, e dico: -Ora vado dentro a propormi.
Yori mi ferma, neanche il tempo di fare un passo. -Tesoro, non dirmi che ti rintaneresti in una libreria...
Non ho né il tempo né la voglia di risponderle come si deve. Mi scanso da lei in modo da poter entrare nell'edificio. C'è un silenzio tombale e non ci sono clienti; ogni tanto sento dei rumori, però, così cerco di raggiungere il punto dal quale provengono.
-C'è nessuno?
Nessuna risposta.
Mi chiedo se magari sia uno scherzo, la storia del cartello. Magari questo è solo un magazzino abbandonato e io sono venuta qui per niente. Un altro buco nell'acqua, insomma.
Ma quando volto l'angolo vedo un ragazzo, e il mio cuore quasi non fa una capriola. Dio, forse ho una speranza!
-Ciao - dico col più bel sorriso che trovo.
Il ragazzo si volta, mi osserva attentamente e poi sorride. E' uno dei più bei ragazzi che abbia mai visto in vita mia: biondo, con gli occhi azzurri come il mare e un sorriso che contagia.
-Ciao. Sei qui per un libro?
-Ecco...
-Certo - dice scendendo dalla scala. E' più alto di me di almeno venti centimetri. -Secondo me sei una tipa da romanzi. Sono appena arrivati i nuovi libri di Susanne Collins, credo che facciano proprio al caso tuo...
-Ehm, no, non sono qui per i libri. Sono qui per l'annuncio, quello che c'è fuori.
Il ragazzo incrocia le braccia, alza un sopracciglio. E io sento che se nemmeno stavolta mi danno il lavoro vado di matto.
-Vuoi il lavoro?
-Assolutamente sì. - rispondo senza esitazione.
-Sei sicura? Non è il massimo della vita lavorare qui. I libri sono pieni di polvere, bisogna arrampicarsi con la scala di qua e di là...boh, non lo vedo per te, ecco.
Il mio cuore perde un battito. -Ne ho davvero bisogno. Ti prego, ti prego, dammi una possibilità.
Il ragazzo sorride, un sorriso enorme, bellissimo.
-Non sono io il capo della baracca. Se fosse per me ti assumerei anche, davvero. Dai, vieni con me.
Seguo il biondo per il corridoio, poi per una scala che porta al piano di sopra, dove, accanto ad una porticina che è l'entrata del bagno, su un'altra c'è scritto: "Vietato entrare".
Ecco, noi entriamo proprio lì.
Mi ritrovo in un appartamentino piccolo ma accogliente, che sa di chiuso e di dopobarba. Mi dà l'impressione che ci abiti un signore sulla mezza età, elegante, puntiglioso, ma anche un po' trasandato.
Il ragazzo bussa a una porta semi-aperta, aspetta, e dopo qualche istante una voce maschile gli risponde.
-Dimmi, Aidoh.
-Signore, c'è una ragazza che vuole offrirsi per il lavoro.
-Oh, per l'amor del cielo, falla entrare...forza!
Ed eccolo, un signore di mezza età, puntiglioso, elegante e impaziente, da quel che ho sentito dal tono di voce.
-Buongiorno - lo saluto io.
-Buongiorno, mia cara.
Il biondo entra con me, ma rimane sulla soglia lontano da noi, ad ascoltare.
L'uomo è seduto al di là di una scrivania; ha due occhiali da vista - decisamente troppo grandi per il suo volto - che coprono due piccoli occhi verdi. Ha un viso ancora bello, anche se segnato da alcune rughe, la bocca sottile, i capelli castano chiaro con qualche ciocca grigia che spunta da dietro alle orecchie raccolti in una piccola coda.
-Ecco, signor...- comincio titubante.
-Signor Kiryuu. - completa lui per me, accogliendomi con un sorriso rassicurante.
-Sì, s-s-signor Kiryuu...io vorrei lavorare per lei. Ho dei curriculum, qui con me...- Mi metto a cercare nella borsa, ma non trovo niente.
-Come ti chiami? - mi chiede, mentre io, sempre più agitata, sono alla ricerca di quei dannati fogli.
-Yuuki Kuran, signore.
-Sai, Yuuki, non è facile lavorare qui...
-Lo so, lo so, signore. - dico rinunciando a cercare nella borsa. -Ma vede, io voglio provarci, perché ne ho davvero bisogno. Ho girato per tutta la città ma o nessuno assume, oppure mi dicono che sono troppo piccola...mi capisce, signore? Ho bisogno di soldi, credo che tutti a quest'età...
-Ok, ok, Yuuki - mi ferma il signor Kiryuu. -Non ho mai visto nessuno così entusiasta come te al pensiero del lavoro. Mi piaci, per cui ti assumo.
Respiro profondamente, poi mi porto una mano alla fronte.
-Da-davvero?
-Certo, Yuuki. Ci vediamo lunedì alle quattordici in punto, va bene?
Non ci posso davvero credere. Vorrei davvero andargli incontro e stritolarlo in un mega-abbraccio, ma sicuramente mi prenderebbe per pazza.
-Grazie, grazie, grazie. Signor Kiryuu. Le assicuro che non se ne pentirà!
Noto la faccia di Aidoh, che mi guarda come se fossi matta.
-Cioè, ehm...la ringrazio, signor Kiryu. - dico in tono più normale e contenuto. Mi rendo conto che forse non dovrei mostrare così tanto entusiasmo, ma da un lato non lo faccio nemmeno apposta, perché è tutto così nuovo e poco familiare, per me. Con un sorriso timido, saluto il signore che mi ha dato questa bellissima opportunità.
-A lunedì.
-A lunedì, cara. - mormora lui di rimando, tornando poi a concentrarsi sulla pila di fogli a cui stava lavorando prima che entrassi.
Scendo le scale accompagnata dal ragazzo. Ancora non ci posso credere, ho un lavoro. Quasi esco dal negozio senza nemmeno salutare il biondo, che ancora, mi guarda sorridendo.
-Sei felice? - chiede a un certo punto.
-Non sai quanto.
Lui si limita a ridacchiare. -Comunque, collega...il mio nome è Hanabusa. Hanabusa Aidoh.
-Piacere, Hanabusa - dicco allungando una mano e afferrando la sua. -Io sono Yuuki.
Non smettiamo di sorriderci. Mi piace questo ragazzo, mi sa proprio di simpatico, ed è meglio così, visto che ci dovrò passare un bel po' di tempo insieme.
-Beh, il fatto che cominci a lavorare col sorriso è già una bella cosa. Vedrai che ti troverai bene, magari io faccio i lavori più difficili e tu servi i clienti...
-Va bene. Cioè, per me va bene qualsiasi cosa. Ci vediamo lunedì, ok?
-Ok, Yuuki. Non tardare, mi raccomando!
Quando esco penso che la mia espressione dica tutto alla mia migliore amica. La abbraccio, e la sento sorridere da sopra mia spalla.
-Così mi sei finita in una libreria. - sussurra lei al di sopra della mia spalla, poco convinta.
Io inizio a ridere. -Dai, almeno lavoro...
-Ma sì, tesoro, contenta tu...- conclude lei, stringendomi un pochino più forte, facendomi capire che, nonostante tutto, è dalla mia parte ed è felice per me.Zero
Non ho mai visto zia Karilin come la vedo ora.
Posso dire che ne sono spaventato, ma che allo stesso tempo desidererei stringerla forte e dirle che andrà tutto bene, che si sbaglia e che non ha un uomo in casa talmente senza cervello. Ma non ho le palle per fare una cosa del genere.
Così lei trema, mi guarda senza capire, guarda Hana, di nuovo, senza capire. Vorrebbe cambiare la realtà, proprio come lo desidero io, ma più la vuole cambiare, più questa diventa certa e fa male.
-Non volete nemmeno che venga riconosciuto? - domanda in un sussurro appena udibile.
-Zia...
-Ho fatto una domanda, Cristo! - grida, perdendo, per un momento fatale, il controllo di sé stessa.
-E' meglio sia per me che per lei che quel bambino sia di Kaito.
-Come puoi permettere una cosa del genere, Hanako? - chiese mia zia con occhi sgranati, stavolta riferendosi alla ragazza. -Insomma, è...illegale, giusto?
Hana prende tutto il tempo per rispondere, guarda me, guarda la zia, chiude gli occhi.
-Suo nipote non è pronto per un passo come questo, signora. Io non lo voglio obbligare a fare nulla, per cui è meglio così, mi creda...so che è orribile, e anche io ci sto male, ma...
-Ma cosa? Ma cosa, Hanako?
Karilin sta urlando, e di solito non lo fa mai. Si porta una mano alla bocca, si siede, anche lei chiude gli occhi e mi pare di aver visto una lacrima scivolare furtiva.
-E va bene. Ora vattene, Hanako, voglio parlare da sola con Zero.
Hana sgrana gli occhi, mi cerca con lo sguardo, ma anche io le chiedo di andare. Così prende la borsa, saluta cordialmente e scende le scale veloce.Mistake - Demi Lovato
-Sei proprio uguale a tuo padre.
Mia zia si alza e comincia a vagare per la casa. Sembra senza meta, ma in realtà ogni volta esce dalla mia stanza ed entra in cucina, poi riesce, viene in sala. In mano ha magliette, jeans e robe varie che mi appartengono.
Mi sta preparando la valigia.
-Ti prego zia, ascoltami. - comincio, alzandomi dal divano e cercando di fermarla.
-No, Zero. Ascoltami tu. Ho accettato tante cose, su di te, ma questo no. Questo non puoi chiedermelo. Un uomo normale che commette degli errori deve cercare di rimediare. E tu che cosa fai? Ti tiri indietro. Ma bravo, bravo Zero, sei proprio uguale a tuo padre!
Mio padre mi ha abbandonato quando ero solo al mondo. Avevo appena perduto la mamma. Non è vero che sono come lui. Non sono come lui.
Non sono come lui, Cristo.
-Non ho scelta, zia. - cerco di fermarla, di nuovo, mentre mette l'ennesimo paio di calze nella valigia. - Smettila, ti prego...
-No! - urla, andando via da me. Poi mi punta un dito contro.
-Tu non metterai più piede in questa casa, mi hai capito? Mai più. Va' a vivere dove vuoi. Va' da tuo padre e dagli la buona notizia, scommetto che vi troverete bene.
Si rigira e sigilla la valigia. E' proprio convinta a lasciarmi andare, lei, questa donna minuta che è capace di tanto amore, ma anche di tanta rabbia.
Non mi resta che prendere il bagaglio.
-Lo faccio per Kaito, zia. Non meritava di...
-Avresti dovuto pensarci prima di portarti a letto la sua ragazza, Zero. - si porta di nuovo una mano alla bocca. Mi indica la porta.
-Non puoi mandarmi via. - dico a denti stretti. -Non sei mia madre.
Il suo sguardo è un misto di disgusto e pena, pena nei miei confronti. -Sì, è vero. - sussurra, la voce flebile. -Ma credimi, Zero, lei avrebbe fatto ciò ora sto facendo io. Tu mi hai delusa, Zero. E sicuramente hai deluso anche lei.
Queste parole hanno lo stesso effetto di un fulmine a ciel sereno. Guardo lei, i suoi occhi, rossi di pianto. Poi per terra, e mi sembra quasi di svenire.
Forse me lo merito. Forse davvero nel corpo dell'uomo che dico di essere ogni sfumatura di umanità è volata via, si è sciolta come neve al sole. E la cosa che fa più male è che l'ho voluto io.
Mentre mi incammino verso la macchina, mi auguro che mia zia se ne sia già andata. Che sia andata a piangere in camera sua, o che sia andata a chiamare la sua amica Sue, o come si chiama, insomma. Invece, quando mi volto per l'ultima volta, lei è ancora lì, che mi guarda con gli occhi sbarrati, pieni di dolore, angoscia e delusione, dall'angolino della cosa dove c'è la finestra che da sul piccolo prato.
Non mi saluta nemmeno e io non saluto lei.
Salgo in macchina, accendo una sigaretta. Non arrivo alla fine, la butto via quasi subito.
Poi voglio fare lo stronzo, visto che è l'unica cosa che mi riesce bene. In un certo senso ferire le persone che ci circondano è rassicurante, perché è come ferire noi stessi. E' come punirci, perché allontanando coloro che ci amano ci assicuriamo semplicemente un futuro agonizzante, un futuro in cui saremo soli.
Chiamo mio padre. Il numero non l'ha mai cambiato, e ogni tanto mi manda un messaggio, quando si ricorda che esisto.
-Pronto? - la sua voce - calda, familiare quanto distante e segretamente detestata - è un vago sussurro.
-Pa'.
-Zero? - Ha la voce tranquilla. La voce di un uomo solo, di un uomo che nonostante tutto ha il coraggio di mancarmi. La voce del mio papà, Kaien Kiryuu. -Ehi, Zero, che...?
-Vengo a stare da te. - dico tutto d'un fiato. -Niente domande, ok?
-Ma Zero, cosa è...?
-Ho detto niente domande. - lo interrompo. Poi riattacco. Appoggio la testa al volante, mentre mi mordo il labbro, cercando di impedirmi come posso di non spezzarmi. Non posso permettermi di farlo, anche se, sinceramente, so benissimo che sarebbe la soluzione più semplice per tutti.
Che cazzo sto facendo della mia vita?
STAI LEGGENDO
Just believe (Zero X Yuki)
RomanceYuuki è una ragazza che ama la vita e che ha imparato ad apprezzarne ogni piccola cosa per quello che ha vissuto. Zero non crede nell'amore, non ha mai voluto bene davvero a nessuno. Possono, due persone così diverse, amarsi? Immaginate che non esis...