Capitolo 1

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Alex, 17 anni e mezzo e una vita d'inferno.

Ho passato almeno quattro anni della mia esistenza seduta su una sedia verde cinque ore al giorno (tranne la domenica che non c'è scuola). Già, l'emarginata sociale della classe, come nei film americani: ragazza sfigata, anni d'inferno, poi arriva il superfigo della scuola e la nota...

Film più irrealistici di questi non ce ne sono.

Mi levo gli occhiali tondi alla Harry Potter (specifico che sono più grandi) e li appoggio sul banco che mi ritrovo di fronte. Mi stropiccio la faccia come se mi fossi appena svegliata da un sogno, mi rimetto gli occhiali e prendo la cartella prima di uscire da scuola.

È già deserta, bastano venti minuti e sono tutti fuori.

Io aspetto tempo prima di uscire:

1) perché mi piace fare con calma

2) perché odio le masse e gli spintoni per uscire

3) perché odio le persone.

In più, oggi è finita la scuola e tutti si sono fiondati giù per le scale con la felicità più immensa che ci sia. Manco fossimo nel film High School Musical.

Già al tempo della prima liceo ero abbastanza chiusa in me stessa, poi da quando se ne sono andate le amiche a cui volevo più bene, sono diventata un riccio più riccio di anno in anno.

Non so neanche se le persone conoscano la mia voce.

Scendo giù per le scale.

Davanti alla porta di vetro che mi divide dall'esterno c'è un ragazzo sulla sedia a rotelle che tenta di aprire la porta.

Mi giro a destra e a sinistra senza vedere traccia di bidelli o altre persone.

Mi chiedo come sia possibile che manco n'anima in vita abbia pensato di aiutarlo.

Gli apro la porta e come risposta ricevo un grazie. Gli sorrido.

Ha gli occhi di un verde-azzurro che manco il cielo è di una tale bellezza.

Inizia a spingere le ruote con le mani, ma sembra talmente affaticato che... Alex, fai spazio al tuo coraggio e butta nel cestino la tua timidezza per una volta!

«Aspetta! Ti do una mano!»

Si blocca di colpo e mi rivolge lo sguardo.

Sotto il sole i suoi occhi sembrano essere...

Alex! Smettila!

Mi avvicino e inizio a spingere la sedia a rotelle.

«Grazie...»

A questo punto fare amicizia è praticamente inevitabile. Cerco di lasciare da parte la mia timidezza.

Devo dire che questo ragazzo, Hades, è come se fosse come me... Non lo so... Ha qualcosa di così profondamente familiare...

Dopo aver accompagnato Hades a casa, vado verso il parco.

Seduta su un prato è la prima volta dopo quattro anni che mi sento così viva...

A casa, mi butto sul letto e guardo verso l'orologio vintage appeso al muro.

Sono le 12.

Il mio acchiappasogni è appeso ancora accanto al mio letto. È una delle cose a cui sono più attaccata nella mia stanza (oltre ai miei disegni appesi al muro).

Mi sento ben una cretina ma mi sento che devo dire una cosa a quel ragazzo...

«Ciao. Senti, ho bisogno di dirti grazie per oggi... So che magari sembra strano ed è difficile capirne il significato, ma ho bisogno di dirti grazie. Grazie perché oggi non mi sono sentita più un'emarginata.» gli scrivo (ci siamo scambiati i numeri di telefono).

«Ehi. Forse posso capire più di quanto tu pensi... Ho passato anni della mia vita con persone che ridevano della mia situazione e oggi è l'unica volta che mi sono sentito bene, con una persona che (almeno credo) non giudica...» mi scrive.

Mi pervade la sensazione di averlo già conosciuto o di conoscerlo da una vita...

Il mio δαίμωνDove le storie prendono vita. Scoprilo ora