Capitolo trentadueesimo

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𝓟𝗮𝗿𝘁𝗲 𝗫𝗫𝗫𝗜𝗜: «𝗖𝗿𝗲𝗽𝗮𝗰𝘂𝗼𝗿𝗲

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𝓟𝗮𝗿𝘁𝗲 𝗫𝗫𝗫𝗜𝗜: «𝗖𝗿𝗲𝗽𝗮𝗰𝘂𝗼𝗿𝗲.»
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Controllai l'orario sul mio orologio di cuoio per la millionesima volta, guardando fuori dal finestrino del treno e pestando un piede a terra nervosamente.

«Due minuti, solo due minuti» mi dissi. Edith mi guardò alzando gli occhi al cielo.

«Puoi smetterla di fare la fidanzata nervosa di rivedere l'amore della sua vita e goderti il viaggio, per una volta?» disse.

«Edith, tu non capisci. Stiamo finalmente tornando da Maddalena e tu mi dici di godermi il viaggio?»

«Non ti interessa nemmeno un pò del fatto che stai tornando a casa?»

«É lei la mia casa.» dissi, guardando mia nonna dritta negli occhi, che si sciolse in un sorriso.

Per fortuna eravamo riuscite a saldare tutti i debiti che la scommessa con quel tizio ci aveva lasciato e a riprenderci la nostra casa, e in quel momento ero così ansiosa di rivedere Maddalena che tutto il mio corpo tremava.

Ah, Maddalena, sì. In tre anni mi aveva scritto sì o no tre lettere, tutte risalenti a due anni fa. E avevo la costante paura che si fosse dimenticata di me o, peggio, che non mi amasse più. Ma, anche se fosse stato così, ero decisa di farla innamorare di nuovo di me, a tutti i  costi.

Entrai nel mio palazzo mentale per la decima volta in tutto il viaggio e quasi non mi accorsi che il treno si era fermato. Sgranai gli occhi e scattai come una molla all'inpiedi, prendendo tutte le nostre cose e facendo passare avanti Edith, che portava solo una borsa piccola - non volevo farla stancare - e il cestino del pranzo.

Quando scendemmo dal treno, riconobbi subito delle faccie conosciute: ad aspettarci tutti sorridenti c'erano il Signor Scott, la Signorina Smith, la Signora Brown - che era rimasta vedova da circa un mese - Betty e Jack. L'unica che mancava all'appello era Maddalena. Riuscivo quasi a vedere il posto mancante riservato a lei.

Mi fiondai subito tra le braccia di Betty, con cui avevo parlato attraverso le lettere per tutti i tre anni e con cui avevo instaurato un' amicizia molto bella. Lei mi aveva consolato nei miei momenti no  e, anche se lontana, mi aveva espresso tutta la sua vicinanza sulla questione di Maddy, e sì, le avevo raccontato della nostra relazione.

«Bettyyyy!!!» urlai, stringendola. Lei scoppiò a ridere ricambiando subito l'abbraccio, e ci staccammo entrambe con le lacrime agli occhi. Puoi guardai Jack, che si era triplicato in altezza e aveva sviluppato un bel viso da adolescente prossimo a diventare un uomo.

«E tu? Dio, mi sento vecchia» dissi, abbracciando anche lui, che mi abbracciò a sua volta.

Passai ad abbracciare anche tutti gli altri, e il Signor Scott si commosse: era stato il primo a cui avevo confidato la mia inclinazione verso le donne, e lui mi aveva subito appoggiato dato che a sua volte era incline agli uomini. Sarebbe sempre restato nel mio cuore.

Dopo i diversi saluti e le diverse lacrime, ci incamminammo tutti insieme per tornare a Dalbeattie, che distava pochi metri dalla stazione. Nella mia mente, un pensiero fisso: Maddalena.

Quando entrammo a Dalbeattie, quasi mi venne da piangere. Quel tipico odore di fragole e castagne non aveva mai lasciato il mio paese. Ad aspettarci c'era tutta Dalbeattie che ci salutò calorosamente, ma di Maddalena nemmeno l'ombra.

Io ed Edith tornammo a casa sfinite per posare le valigie, ma io non mi diedi per vinta. Presi le mie cose dall'attaccapanni, che erano rimaste identiche, e aprii la porta.

«Dove stai andando?» mi chiese Edith, sedendosi sulla sua sedia a dondolo.

«Se entro oggi non la vedo nemmeno una volta, credo morirò.» fu la mia spiegazione. Uscii e mi diressi verso la casa della Signora Brown, dove Maddalena aveva vissuto dopo la morte di Daisy. Bussai alla porta e venne ad aprire Josephine, che annuì e mi lasciò entrare come se sapesse già cosa volessi fare.

«Vai al piano di sopra, nella camera di Maddalena c'é un baule. Aprilo» disse, lo sguardo comprensivo. La ringraziai e salii le scale, cercando la camera della corvina.

Quando la trovai, entrai e la prima cosa che vidi fu un baule davanti al letto. Mi inginocchiai sul pavimento e lo aprii, trovandomi davanti una miriade di lettere mai spedite, con tutto il francobollo diretto in Francia. Sgranai gli occhi.

Presi in mano la prima lettera che mi trovai davanti agli occhi. Risaliva a tre anni fa, prima della morte di Daisy Campbell.


23 maggio 1871.

Oh, mia cara Margaret,
quando la primavera finirà e tu andrai via da questa città, quando Mr. Colin avrà i suoi bei frutti, le rondini torneranno e zia Daisy mi lascerà uscire dopo il tramonto, tu mi amerai ancora?


Posai la lettera e, con una velocità disumana, scesi le scale e uscii dalla casa correndo, diretta in un posto, l'unico in cui poteva essersi nascosta.

Salii la collinetta correndo, le mie gambe tremavano dallo sforzo, e quando arrivai in destinazione una testa corvina mi stava già guardando.

Dio, quanto sei bella.

Restai a guardarla per dei secondi che parvero infiniti, scorgendo particolari che erano spuntati nel suo corpo durante questi tre anni: un neo sulla guancia e uno sulla coscia e il seno più formoso. Era diventata una donna.

Senza pensarci un secondo, mi fiondai sulle sue labbra. Quella morbidezza divina mi fece tremare da testa a piedi, e il contatto tra i nostri corpi mi fece impazzire. Volevo possederla ora.

Mi staccai e afferrai il suo polso.

«Parliamo dopo, in questo momento ho solo voglia di sentirti urlare.»

«C-cosa?»









































































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𝒪𝗵 𝗺𝘆 𝗱𝗲𝗮𝗿 𝗠𝗮𝗿𝗴𝗮𝗿𝗲𝘁 | ᵍⁱʳˡᵍⁱʳˡDove le storie prendono vita. Scoprilo ora