Cap. 12 Lacrime

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Ero ancora stesa sul pavimento, il cuore mi faceva male e continuavo a urlare per il dolore. Bill teneva la testa abbassata, anche lui piangeva. Uno degli uomini mi strappò lo scotch da bocca e mi slegò le mani. Con Bill fecero la stessa cosa.

"Capo, li portiamo subito alla villa?" Chiese uno di loro cercando di mettermi in piedi. L'uomo si avvicinò a me, mise una mano dietro la mia testa afferrandomi i capelli. Mi squadrò il viso, io avevo gli occhi fissi su di lui. Gli altri due che mi reggevano, poi mi lasciarono, facendo fare al loro capo quello che voleva.

"Mi chiedo come Tom non riesca a proteggere una ragazza così bella. Lui è sempre stato un buono a nulla. Se fossi stato buono, avrei cercato di proteggerti in tutti i modi". Ero furiosa, soprattutto quando parlò di Tom. Gli diedi un pigno con tutta la forza che avevo, facendogli sanguinare leggermente il naso. Lui scosse la testa sorridendo. "Brutta puttana..." Si asciugò il sangue "...nessuno ti ha insegnato le buone maniere?" Gli avrei dato un altro pugno, ma Bill mi bloccò il braccio prima che potessi farlo.

"Prendi esempio dal tuo amichetto" Disse. Si voltò e fece segno agli altri di seguirlo. Camminavamo tutti verso la sua limousine nera. In macchina io mi sedetti vicino a Bill, mentre il resto delle persone erano sui sedili anteriori. Nel viaggio guardavo fuori dal finestrino, continuavo a piangere per la morte di Tom. Ogni tanto fissavo il peluche che mi aveva dato, ricordo che glielo chiesi al mio diciassettesimo compleanno, ma lui non riuscì a trovarlo. Ormai era passato un anno, tra poco ne avrei compiuti diciotto. Ogni anno aspettavo il ventuno marzo per festeggiare il compleanno insieme a Tom e alle persone che amavo, ma quest'anno non aveva senso. Notai un biglietto dietro il peluche, c'era scritto "per la persona che amo di più, da Tom", sorrisi leggermente, facendo uscire più lacrime di prima. Bill notò il mio sorriso.

"Cosa c'è?". Gli mostrai il biglietto, poi mi abbracciò.

"Già mi manca, Bill..." dissi a bassa voce. Lui mi baciò la fronte, poi parlò "Mi prenderò io cura di te, non gli permetterò di farti del male. Sì, siamo suoi schiavi, ma ti prometto che usciremo presto da questa situazione prima del tuo compleanno" Sorrisi, facendo uscire ancora qualche lacrima. Era il quindici marzo, entro 6 giorni saremmo dovuti uscire da quell'inferno per la seconda volta. Era impossibile, ma avevo fiducia in lui.

Arrivammo alla villa di quello psicopatico. Ci fecero scendere dall'auto e ci portarono a vedere la nostra camera. Avevamo una sola stanza per me e Bill. Guardai subito il mio guardaroba, era pieni di vestitini sexy o corti.

"Che cazzo è questa roba?". "Quello che devi metterti per la cena di stasera" Rispose 'l'assassino', come lo chiamavo io. Non volevo mettermi quella merda di vestiti, ma a quel punto ero curiosa per quelli di Bill. Guardai nel suo guardaroba, aveva dei vestiti bellissimi. Tirai fuori una tuta nera di pelle, con delle palle fatte di piume sulle spalle. Poi vidi anche dei pantaloni cargo, delle cinture e alcune maglie nere e bianche. L'armadio di Bill era come mi immaginavo il paradiso.

"Merda, Bill, hai delle robe fantastiche nel tuo armadio" Dissi ancora sorpresa per i vestiti. L'uomo ci controllava appoggiato alla porta. Scelsi l'abbigliamento di quella sera, presi l'unico vestito lungo. Era rosso fuoco, aveva uno spacco a lato della gamba, ciò lo rendeva sexy, ma bellissimo allo stesso tempo. Ci abbinai dei tacchi argento con una piccola borsetta luccicante, del colore simile alle scarpe.

Stavo quasi per spogliarmi, ma mi ricordai dell'uomo alla porta.

"Posso avere un po' di privacy?" Chiesi, lui chiuse la porta. Chiamai Bill, si stava asciugando i capelli. Entrai nel bagno, aveva un panno bianco attorcigliato intorno ai fianchi. Quella V si scoprì ancora di più, ma non del tutto. Mi imbambolai e continuai a fissarlo.

"Hai scelto i vestiti per stasera?" Chiese, così da farmi tornare nella realtà.

"Uhm, sì" Scossi la testa, le mie pupille si ingrandirono da quanto era sexy in quel momento. "Fortunata te, io ancora non so cosa mettere. Probabilmente in smoking ma non ne sono sicuro" Rispose. Mi persi nei suoi occhi, cazzo, dovevo smetterla.

"Ale, mi stai ascoltando?" "Sì..." Tornai nel mondo reale per la seconda volta. "Quindi? Tu che ne pensi?" In verità non avevo sentito una parola, poi però mi ricordai.

"Secondo me in smoking andresti bene." Strano, Bill Kaulitz che chiedeva consigli sulla moda a me. Ripeto, a me.

Uscii dal bagno, ancora con la testa tra le nuvole. Mi misi i vestiti e iniziai a truccarmi. Mi guardai allo specchio.

Sei bellissima

Immaginai Tom dire quella frase, mi rattristii un po'. Bill uscì dal bagno già vestito, si pietrificò quando vide il mio vestito rosso.

"Wow..." Era senza parole. Qualcuno aprì la porta, interrompendo i sogni di Bill. Era l'assassino che ci chiamava.

"Siete pronti?" Noi due rispondemmo di sì contemporaneamente, questo ci fece sorridere. Lo iniziammo a seguire. Bill gli diede un nuovo nome in codice: il 'grande puffo malefico', o anche solo 'grande puffo'. Lo prendevamo in giro sulla sua età, ne aveva quasi cinquanta.

Arrivammo a un lungo tavolo, sopra c'erano diversi bicchieri e posate. Io e Bill ci sedemmo vicino, purtroppo anche il grande puffo si sedette vicino a me. Passò qualche minuto, dei signori sconosciuti si accomodarono al nostro tavolo. Erano tutti anziani.

"Gonkuro! Sei cresciuto figlio mio."

Io e Bill ci guardammo con la stessa espressione, Era la madre?

"Chi è questa bella ragazza?" Chiese con tono dolce.

"E' la mia fidanzata, madre." Rispose. Lo guardai in modo strano.

"In verità...Ugh" L'assassino mi diede un calcio sotto il tavolo prima che riuscissi a completare la frase. La madre mi fece molte domande, io rispondevo con delle bugie dato che la maggior parte parlavano della 'relazione' tra me e il vecchio. Passò il cameriere, tutti ordinarono tranne io. Non avevo fame dopo quello che successe a Tom. Quando il cameriere se ne andò, tutti nel locale di lusso iniziarono ad applaudire per l'uomo che suonava al pianoforte una leggera musica rilassante. Mi venne in mente la canzone che Tom mi insegnò. Mi alzai dal posto e mi diressi verso il pianoforte. Dissi qualcosa con il microfono prima di iniziare a suonare. La gente era perplessa vedendo una ragazza di diciotto anni in quel ristorante, quindi tutti si zittirono.

"Uhm, buonasera. Sono qui per suonare una canzone al pianoforte. Questa canzone per me ha un significato molto importante e..." Mi fermai per trovare le parole "...per me da un senso di libertà. Me la insegnò il mio ragazzo, che ora non c'è più. Era una delle sue melodie preferite, adorava quando la suonavo insieme a lui...le sere d'inverno... davanti al camino con la legna ardente..." Gli occhi mi si riempirono di lacrime, ma non ne feci cadere neanche una. Anche se la voce iniziava a tremarmi, continuai "...Insomma, spero possa piacervi e trasmettere ciò che trasmette a me."

La gente era ancora in silenzio. L'assassino e la sua famiglia mi guardavano incuriositi. Mi sedetti sullo sgabello e iniziai a suonare "Nuvole Bianche - Einaudi" (Si consiglia di metterla su spotify mentre si legge questa parte della storia)

Mentre la suonavo, mi scese qualche lacrima. Iniziai a ripensare a tutti i momenti passati con lui, tutte le sere d'inverno passate a baciarci, abbracciarci e coccolarci. Le tazze di cioccolata calda con i marshmallow, i sorrisi che mi faceva appena finivo di suonare quella canzone. Mi ricordai di quando mi scottai un dito per essermi avvicinata troppo al camino. Dovette baciare il mio piccolo dito bruciacchiato per tutta la notte, solo perché continuava a farmi male. Ripensai ai momenti felici, quando giocavamo nella neve e Bill cadde, facendo rimanere la forma della sua faccia incisa nella neve. Io e Tom schiattammo dalle risate in quel momento. Ripensai a quando addobbammo l'albero di Natale e lui fece cadere la stella da mettere in cima, così da farla rompere in mille pezzi. Ne comprammo un altra e fece la sua stessa fine. Da quel giorno in poi la misi sempre io la stella. Ripensai a quando per Natale, Tom, mi regalò un gattino. Lo chiamammo Gumball in onore del nostro cartone animato preferito "Lo straordinario mondo di Gumball". Quel giorno piansi dalla gioia. Lo vedevo sorridere, solo perché ero felice io. Ricordai della madre di Tom e Bill, quando Tom fece salire Gumball sulla tavola. Alla fine si mangiò tutto il polpettone che aveva preparato per noi. Ricordai ogni momento passato con lui, sia felice che triste. In fondo, se ci pensiamo bene, l'unica cosa che ci rende felice è il sorriso della persona che amiamo...

All Was a Lie - Tom KaulitzDove le storie prendono vita. Scoprilo ora