Prologo

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STORMY

Io non dovevo nemmeno nascere. Nessuno mi aveva mai voluta veramente, nemmeno i miei genitori, i quali mi avevano abbandonata e quasi uccisa.

I farmaci non aiutavano, ma in qualche modo proiettavano la mia mente su un luogo più felice, in qualcosa che mi distraesse da quella che era la realtà. E poi, erano una prescrizione medica, ciò voleva dire che mi aiutavano a tenere dentro la belva che era in me.

A tutti capita, almeno una volta, di toccare il fondo, di raggiungere il momento in cui non ce la fai più a respirare, a riemergere. Allora sprofondi nell'abisso più totale fino a non vedere più la luce del sole e capisci di essere sola.

Sola.

Una piccola parte di te può essere delusa dal fatto che nessuno se ne sia accorto, ma l'altra ne è soddisfatta, in quanto non hai bisogno di dare spiegazioni.

La sera del venti novembre, a soli quattordici anni, tentai di porre fine a tutto.

Il mare, il mio giù grande nemico, mi arrivava fino alla vita, le lacrime salate dei miei occhi si erano fuse con l'acqua agitata per via della tempesta che la muoveva. I passi che facevo, diventarono sempre più incerti.

Ero davvero stanca di soffrire.

Presi un respiro profondo e battei i denti per il freddo, mentre un'onda piccola mi venne addosso, facendomi quasi perdere l'equilibrio.

«Ehi!»

Sobbalzai e mi voltai.

Nell'oscurità del cielo, vidi un ragazzo illuminato da un lampione dalla luce fioca. Le sue mani erano attorno alla bocca.

«Cosa diavolo stai facendo?» urlò ancora. «Torna indietro!»

Cosa ci faceva un ragazzo su una spiaggia nel bel mezzo di una tempesta? Erano le nove di sera. Doveva essere matto.

I miei occhi si fecero lucidi, fino a riempirsi di lacrime. Scossi la testa, ma fui sicura che non vide il mio movimento, per cui gli diedi le spalle.

La vocina della mia testa continuava a sussurrarmi di buttarmi e farla finita. Avevo voglia di urlare, ero stanca, distrutta.

«Mi senti? Torna indietro per favore!»

Mi irrigidii e, tempo di rivoltarmi verso il ragazzo, che un'onda si alzò e mi travolse. Ingoiai litri di acqua e mi mossi per cercare la superficie, ma qua sotto la corrente era troppo forte ed io non avevo la forza di combattere.

Non più.

Chiusi gli occhi e pensai che fosse finita, che alla fine ce l'avevo fatta e che non avrei più sofferto, ma secondi dopo che li riaprii, mi ritrovai sdraiata sulla sabbia. Le labbra di qualcuno erano premute sulle mie e le sue mani si trovavano sul mio petto.

Stava cercando di fare una respirazione bocca a bocca perché appena mi mossi, lo sconosciuto si staccò da me ed io vomitai l'acqua ingerita.

Sopra di me, a cavalcioni, c'era il ragazzo di prima. Era illuminato dal lampione e sembrava avere due o tre anni in più di me. Aveva i capelli corvini e scompigliati, bagnati dalla pioggia, gli occhi dello stesso colore e le labbra piene e rosee. La sua pelle era candida e le sue spalle larghe.

Mi aveva appena salvata?
Oppure ero all'inferno?

«Cazzo, mi hai fatto prendere un colpo...come ti è saltato in mente?» mi domandò, aiutandomi a mettermi a sedere ed esaminando il mio viso pallido.

«Mi hai salvata...» riuscii a pronunciare, ancora sconvolta. «Hai rischiato di morire.» Per me.

«Non potevo vedere una ragazza suicidarsi senza fare niente.»

Qualcosa si accese dentro di me.

«Se volevo suicidarmi era per non farmi salvare.»

La mia voce era intrisa di dolore e rabbia.

«Il suicidio non è la soluzione a niente, invece.»

Una folata di aria fredda mi fece stringere su me stessa, i capelli mi finirono davanti al volto e immersi la testa fra le mie gambe.

«Aspetta, tieni questa.»

Mi voltai a guardarlo e il ragazzo mi porse la sua felpa nera, con sopra la stampa dei Nirvana. Trattenni un sorriso perché anche a me piaceva quella band.

«E tu? Avrai anche tu freddo.»

«Non sono io che sono quasi morto di annegamento e ipotermia, posso sopportarlo» mi dedicò un piccolo sorriso che mi fece arrossire.

«Grazie» mormorai infilandomela e sistemandomi i capelli fuori dal cappuccio.

Lui, però, me lo tirò su, per evitare che mi venisse una cervicale.

«Come ti chiami?»

«Stormy.»

Il ragazzo sorrise.
«Stormy» assaporò il mio nome, «mi piace.»

Io non risposi, ma il mio cuore iniziò a battere più veloce. Il modo in cui pronunciava il mio nome era caldo e piacevole.

«Ti accompagno a casa, i tuoi saranno molto preoccuparti, piccolo tuono

«P-piccolo tuono?» chiesi incerta.

Il ragazzo ridacchiò e annuì, appoggiando il suo braccio sulle mie spalle per darmi ancora più calore. Le mie guance si infiammarono.

«So che il nome Stormy vuol dire tempesta, ma...mi piace immaginare che tu possa essere quel tuono che si fa spazio nel cielo e rimbomba. Un qualcosa di rumoroso, ma invisibile. Mi dai l'idea di una ragazzina che parla poco, ma quando hai qualcosa da dire...tiri fuori il mondo.»

Il cuore iniziò a battermi fortissimo dopo quelle parole.

Trattenni un piccolissimo sorriso e annuii. Mi piaceva essere il suo piccolo tuono, mi piaceva appartenere a qualcuno. Nonostante non lo conoscessi e con il fatto che non l'avrei mai più rivisto dopo oggi.

E così, il il bambino che mi salvò la vita, mi accompagnò a casa. I miei genitori adottivi mi accolsero tra le loro braccia, preoccupati e piangenti. Ringraziarono il ragazzo e abbracciarono pure lui.

Stavo per ridargli la felpa, ma lui mi disse di tenerla e di pensare a lui ogni qualvolta mi venisse l'idea di ritornare a ciò che stavo per fare stasera.

Da lì non lo rividi più, ma una parte del mio cuore rimase per sempre legata a lui.


Da lì non lo rividi più, ma una parte del mio cuore rimase per sempre legata a lui

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Autrice✍🏻:

Okay finalmente, dopo anni, sono riuscita a pubblicare😭😭. Spero che questa volta non mi colpisca ancora il blocco dello scrittore🥹

Comunque spero che via sia piaciuto come inizio e che vi venga voglia di continuare la storia⭐️🌊

Ci vedremo presto con il primo capitolo🌊

-B🦋

STORMY - Al di là del mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora