9. La lacrima

69 1 0
                                    


Anna decise di aspettarmi direttamente alla stazione della periferia ovest dove doveva trovarsi l'indirizzo lasciatomi da Philos, mi disse che era fiduciosa nella mia riuscita e che nel caso entro 3 ore non fossi arrivata avrebbe capito e sarebbe tornata a casa.

Ci salutammo lì a quella stazione, con lo schermo con la mia foto da fuggitiva che ci faceva da sfondo mentre ci stringevamo la mano in segno di rispetto.
Ma per me non era solo quello.

Quella stretta di mano per me era gratitudine, riconoscimento, fiducia, lealtà.

Era un patto.

Un patto tra due persone diverse ma sbagliate per quel mondo.

Dopo essere scesa dal voltreno, mi avviai, cercando di concentrarmi sulla mia missione, evitando di pensare agli altri mille pensieri nella mia testa che richiedevano attenzione.
Il che mi risultava abbastanza difficile.

I miei passi sembravano pesanti sull'asfalto ormai asciutto delle strade del centro, il vento leggero fluiva indisturbato, il sole dritto sopra di me mi accompagnava verso il riflettente palazzo dove ero cresciuta.

Anna mi aveva prestato una felpa con un cappuccio in mondo da nascondere il mio volto il più possibile.
Non era il massimo dato il caldo ma... meglio che essere beccata.

Non feci la solita strada che dalla fermata "Onor" mi permetteva di andare dritta per qualche metro e trovarmi dritta nel mio palazzo, ma mi insinuai per le piccole vie che lo aggiravano in modo da passare inosservata.
O almeno speravo.

L'ansia che piano piano saliva con il caldo mi faceva tremare le mani e annebbiare la vista, ma provai a focalizzarmi su quello che dovevo fare, un passo dopo l'altro.

Passo numero uno: come entrare in casa se l' ascensore apriva direttamente sul salone.

Ci avevo pensato a lungo e l'opzione migliore che avevo trovato era mandare su qualcuno prima di me in modo da darmi via libera, ma Anna si era rifiutata...forse giustamente.

Conclusione: Avrei dovuto farlo da sola e rischiare.

Era ora di pranzo, se tutto andava come sempre i miei dovevano trovarsi in ufficio.

Chissà se erano andati a lavorare anche se io ero scappata qualche ora prima, da una parte speravo di sì dall'altra.. mi rattristava abbastanza.

Passo numero 2: entrare dalla porta grigia di servizio al pianoterra e dirigersi dritta nell'ascensore.

Passo numero 3: farsi lasciare dall'ascensore con 25 secondi esatti all'ingresso della propria casa.

Passo numero 4:Appena le porte si aprono, fermarsi un attimo in quell'ascensore di cristallo a fissare la stanza che si staglia davanti a me.

Passo numero 5: Chiudere gli occhi.

Passo numero 6: Cercare di concentrarsi su qualsiasi suono, respiro, movimento come era successo a casa di Anna immersa nella più totale oscurità.

Passo numero 7: Lasciare che il buio mi prenda la mano e sprigioni il potere di tutti i miei altri sensi.

Ma niente.

Nemmeno l'aria si muoveva.

Passo numero 8: Riaprire gli occhi e correre nell'altro piccolo ascensore verso la mia camera.

Passo numero 9 e primo traguardo: Recuperare il libro che era esattamente dove lo avevo lasciato a differenza del resto della camera che era sottosopra, sembrava esserci appena passata una tempesta.

Le coperte grigie erano a terra in un groviglio, i due cuscini con cui dormivo si trovavano a due angoli della stanza, i cassetti erano aperti e con i vestiti spiegati.
Lo sportello dell'armadio era aperto lasciando intravedere lo scompiglio che all'interno era creato da pantaloni e giacchetti con tasche rigirate all'infuori.
La scrivania era messa peggio del resto. Il cassetto alla base era stato sfilato dai cardini e migliaia di fogli erano caduti a terra da tutte le parti.

Chissà cosa pensavano di trovare...un biglietto con scritto "Torno a cena" infilato da qualche parte?

Eppure mi era sembrato abbastanza chiaro il messaggio inviato dopo che ero scappata dalla scelta.

Non ci sarei più stata al loro gioco, mai più.

E disertare il giorno della scelta era abbastanza disonorevole che pensavo non mi avrebbero nemmeno cercata...e invece avevano solo sparso la mia foto per tutta la città.

E per fare cosa?

Sgridarmi e chiudermi in casa?

O costringermi a scegliere?

Passo numero 10: Prendere tutti i soldi che trovi dietro al quadro e anche dei vestiti e altre cose che possano tornare utili, mettere tutto in uno zaino e ridirigersi a grandi e fulminei passi verso l'ascensore principale.

Passo 11: scendere...

Quando sentii una voce.

Una voce familiare ma in un modo che non avevo mai sentito prima.

Con un piede già dentro l'ascensore mi girai a guardare gli occhi lucidi di mia madre in piedi in mezzo al salone.

Non disse nulla.

Restò lì a guardarmi.

Io la guardavo a mia volta con lo zaino in spalla consapevole che se me ne fossi andata non sarei mai potuta tornare.

Nei suoi occhi spenti ma allo stesso tempo umidi lessi la paura.

Ma non titubai, li ferma con un piede nella mia vecchia vita e uno in quella nuova decisi di spegnare il flusso di sentimenti che alla vista di quel volto stavano per travolgermi.
Il mio volto si tramutò in un illeggibile maschera di freddezza.
Una maschera che avevo imparato a portare senza rimpianti e che ormai era sempre lì pronta a proteggermi.
Come in quel momento.

Con gli occhi freddi e vuoti diedi le spalle a mia madre, la donna che mi aveva dato la vita e cresciuto, che mi aveva chiuso in una gabbia e reso la vita a malapena sopportabile, e me ne andai.

Passo numero 11:Lì nell'ascensore con le spalle verso la mia casa premere il pulsante per andare al piano terra.

Chiusi per un momento gli occhi e lasciai cadere la maschera.
Le mie emozioni contrastanti iniziarono a fluire più forti di quanto mi aspettassi, pensai a quanto tutto quello fosse sbagliato e a quanto fossi arrabbiata, e una sola piccola lacrima cadde dai miei occhi.

Una lacrima che racchiudeva in se venti anni della mia vita, scivolò lungo la mia guancia e cadde sul pavimento nero dell'ascensore, dove sarebbe rimasta, così come tutti i miei ricordi e i miei rimpianti.

Ma quando l'ascensore si aprì lasciandomi al piano terra, quei 25 secondi esatti di rancore e ira sparirono, lasciando spazio a un emozione molto più grande, il senso di libertà.

Passo numero 11: Scappare, solo scappare da quel palazzo di cristallo colma di aria nei polmoni e di energie nei muscoli, semplicemente pronta a qualunque cosa mi sarei trovata davanti, senza nemmeno girarmi a guardarlo per un'ultima volta.

Passo numero 12: Arrivare fino alla stazione del voltreno.

Stavolta però non mi sprecai a passare per le vie secondarie come si addiceva alla fuggitiva ricercata che ero.

Ma sfilai lungo la strada principale con la schiena dritta e il mento alto.
Un perfetto ritratto di fierezza.

E per la prima vera volta in tutta la mia vita, scoperta e vulnerabile ma coraggiosa, mi sentii invincibile.

Dopo pochi minuti di attesa, arrivò il voltreno.
Mi sedetti in un vagone abbastanza vuoto, su un sedile blu scuro morbido e freddo, appoggiai la testa al finestrino e guardai per l'ultima volta la prigione di cristallo a cui non appartenevo più...
diretta alla periferia ovest.

Missione compiuta.

GLI ASSENTI  (Soulless chronicles)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora