20. Il comandante

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Lei era nata per volare.
Non per stare a terra.
E a ogni lezione con Caio e i suoi ragazzi, gli stratiotes, si rendeva sempre di più conto di quanto fosse importante per loro stare dannatamente attaccati con i piedi al terreno, e traevano forza da questo.
Lei non ci riusciva e questo la rendeva debole.
I suoi piedi restavano sospesi, non erano mai abbastanza fermi, abbastanza stabili.
Non aveva equilibrio e ogni caduta le ricordava che doveva rimanere con quei cavoli di piedi attaccati a terra.
Non aveva più visto Aspera ma non faceva che rimembrare la sensazione di volare, di sentirsi libera.
Lei era destinata per quello.
Lo sentiva nel suo cuore che era un po' più leggero al solo pensiero.
Ma il fatto che amasse qualcosa o che sentisse che in qualche modo gli apparteneva non vuol dire che fosse ciò che doveva fare.
Volere e dovere non erano due cose che si corrispondevano.
E per quanto complicato doveva imparare ad accettare che adesso il suo posto era a terra.
E per cosa?
Perché se avesse imparato a stare a terra allora poi avrebbe potuto avere la libertà di volare.

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"Il tuo riflesso allo specchio è il tuo più grande nemico" disse Caio in posizione di guardia con quell'equilibrio perfetto che lei non riusciva ad imitare davanti alla superficie riflettente della sala specchio .
Una sala completamente circondata da specchi all'interno dell'edificio della Pedana, nella quale ogni mattina si ritrovava a fissare se stessa, con i suoi difetti, il riflesso dei suoi fallimenti.
"Se riesci a vederti, il tuo nemico ti vede.
Se il tuo nemico ti vede, può colpirti.
Se può colpirti è meglio che tu sappia combattere meglio di lui" mi disse con voce roca mentre con un movimento fluido e veloce quasi meno di un istante, dava un pugno al riflesso del suo volto.

Veloce, preciso, determinato.

Io lo imitavo, guardando il mio volto nello specchio e sembravo tutto tranne che veloce, al di sotto di ogni livello di decenza e con eccessiva mancanza di determinazione.
Lui mi guardava attento mettendomi in soggezione più di quanto non mi ci sentissi già da sola e ripeteva il movimento ancora e ancora e io con lui ma... mancava qualcosa.
Eppure imitare qualcuno non doveva essere così difficile.
Ci provavo e riprovavo e non ci riuscivo.
Erano giorni che tentavo a simulare un colpo alla mia dannata faccia riflessa con un minimo di credibilità, ma usciva sempre come qualcosa di goffo; non coprivo il volto, non usavo la forza del resto del mio fragile corpo, non riuscivo ad essere abbastanza veloce, abbastanza fluida, abbastanza perfetta e tutto questo mi faceva arrabbiare terribilmente finché alla fine Caio mi guardava, inespressivo e impassibile e se ne andava segno che ci saremmo rivisti la mattina seguente.
Andammo avanti così per una settimana.
Mi alzavo presto, andavo a piedi fino alla città con Antara che tutte le mattine si recava chissà dove a fare chissà che cosa, tornavo nel pomeriggio tardi e la casa era silenziosa.
Prom non si era più fatto vedere risparmiandomi così l'imbarazzo di quello che era accaduto nella stanza del loto blu.
Narciso invece era presente ma era come se non lo fosse.
Quando andavo a cena lui era puntualmente già lì a mangiare e si alzava dopo cinque minuti dal mio arrivo lasciandomi da sola.
Magari pensava di farmi un favore, e nonostante vi fossi abituata anche nella mia vecchia casa dove una me del passato viveva un' antica vita, era comunque triste finire una giornata da soli nel silenzio.
Ma non mi lamentavo, dopotutto avevo un tetto sulla testa, ospitalità incondizionata e un impegno da portare avanti ogni giorno.
Una vita monotona e ordinata per cui chiunque sarebbe stato grato, io compresa, ma sentivo che c'era qualcosa di dannatamente sbagliato come se mi aspettassi qualcosa di diverso, qualcosa di grandioso che prendevo consapevolezza giorno dopo giorno esisteva solo nella mia testa.
Quello era il mondo reale, la vita reale.
E quella consapevolezza mi abbatteva più di quanto non fossi già ogni volta che girando per i corridoi della casa mi chiedevo se quel labirinto di fuoco non fosse altro che una gabbia in cui mi ero rinchiusa da sola.
A volte la mia mente viaggiava talmente tanto che quasi mi pentivo di essere scappata.
Ma mi fermavo subito prima che non ci fosse più modo di riparare il danno che si sarebbe creato nella mia mente se avessi accettato il mio pentimento.
Non c'era ritorno, non c'erano ripensamenti.
C'era solo il presente e le innumerevoli vie inesplorate che mi ero espressamente vietata di immaginare; e avrei trovato la mia, un passo dopo l'altro.
Potevo solo andare avanti e lo avrei fatto.
Ma a quale prezzo?

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⏰ Ultimo aggiornamento: Nov 21 ⏰

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