10. L'ombra

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Anna mi aspettava al capolinea del voltreno.

Quando scesi alzò subito il capo, prima piegato verso il basso, come in segno che mi aveva riconosciuto.

Il mio vagone si era lentamente svuotato fermata dopo fermata finché non ero rimasta solo io e il silenzio.

Il che mi aveva resa inquieta sul posto dove stavo andando.

Anna era seduta su una panchina in legno rovinato sotto al cartello, anch'esso rovinato della fermata, con le mani in grembo e le gambe accavallate sotto il solito vestito grigio.

"Ci sei riuscita?" mi chiese con il volto serio.

"Si"

"Molto bene...andiamo?" disse alzandosi in piedi e lisciandosi il vestito.

"Si" dissi e iniziai a camminare al suo fianco.

Eravamo in una delle peggiori periferie della città, non ci ero mai stata, ma genitori e conoscenti mi avevano sempre raccomandato di starne alla larga.
La periferia ovest.
Mi sembrava ingiusto però che dovessi avere paura di camminare per le strade di quel posto che effettivamente era abbastanza tetro ma che alla fine era parte della città in cui ero nata...e per quale motivo?
Man mano che camminavamo cominciai a darmi una riposta.

Lì il tempo era stranamente diverso dal centro, il cielo era nuvolo e grigio e scuro e tenebroso, come i palazzi sparsi qui e lì , di colori ormai sbiaditi e le strade piene di buche e sporcizia.

Deglutii.
Era tutto così triste...semplicemente triste.
Non c'erano persone per strada, non c'erano rumori, solo una nebbia oscura che ricopriva tutto e tutti.
Era strano...molto strano.

"Questo posto ha un'aria strana" disse Anna che doveva evidentemente aver percepito quel senso di angoscia che trasmetteva il luogo.

"Questo posto è strano" le confermai io mentre continuavamo a camminare lungo una strada piccola e dritta.

Mi sentivo veramente tanto strana.
Troppo.
In maniera inspiegabile.
Cercai di distrarmi da quel senso che non saprei nemmeno come definirlo...come se...quel posto non dovesse esistere, per focalizzarmi sul motivo per cui ci trovavamo lì.

"Allora come troviamo la strada?" mi chiese Anna,  il cui volto trasmetteva un non so che di inadeguatezza, come se non fosse a suo agio ma sempre in allerta.

"Non lo so..." le risposi in presa allo sconforto per una situazione che non sapevo come risolvere.
Sentivo solo il bisogno di sbrigarmi e andarmene da lì.

"Sul biglietto c'è solo la via?"

"Si" le dissi ricontrollando il foglietto spiegazzato che avevo nella tasca dei pantaloni, sui cui era scritto solo un indirizzo con una calligrafia indecente.

"Impiegheremmo più di una giornata a visitare tutta la periferia" mi rispose lei abbattuta quanto me di fronte all'enorme grigiore che avremmo dovuto esplorare.

"Proviamo a cercare un negozio?" le proposi io "o proviamo a bussare a qualche porta?"

"Secondo me non aprirà nessuno" mi disse lei sul cui volto leggevo una certa ansia.

"Perché dici così?"

"Perché le persone hanno paura" mi rispose continuando a guardare di fronte a se e con le mani nelle tasche del suo vestito grigio che non avevo notato fino a quel momento.

"Di cosa hanno paura?" le chiesi girandomi a guardarla.

" Di quelli come te, c'è un motivo se non ci sono persone per strada, se è tutto così inquieto, questo posto ha vissuto qualcosa di brutto"

GLI ASSENTI  (Soulless chronicles)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora