17. Il filo del destino

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La donna stava tessendo il filo.
Uno dei tanti che ogni giorno si divertiva a intrecciare di morte, amori perduti, dolore.
Quando si accorse che uno dei fili che conservava lungo la parete della sua capanna iniziava a districarsi.

Impossibile.

Una volta che un nodo era fatto era impossibile scioglierlo.
Si alzò dal suo sgabello in legno lasciando quell'anima, di cui la vita era intenta a tessere,appesa nel limbo del tempo per andare a vedere cosa stesse succedendo.
Quando quel filo ribelle iniziò a brillare e ad allungarsi, fluttuando attraverso lo spazio per collegarsi a un altro che si trovava su un' altra parete molto più lontana, molto più antica.
Rimase con un espressione a dir poco pietrificata mentre guardava accadere l'impossibile, mentre guardava il destino ribellarsi alle mani della sua stessa artefice.

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ARIA

LEGAM era lì davanti ai miei occhi.
E non riuscivo a smettere di guardarla in preda alla meraviglia.
L'avevo sognata per anni ma nessuna raffigurazione che la mia mente era in grado di creare poteva sostituire la realtà di quello che avevo davanti agli occhi.

Ero immobile con gli stivaletti neri nell'erba soffice sulla cima di una collina a fissare la vista mozzafiato davanti a me quando mi cadde l'occhio su Narciso di cui per un secondo, ma solo per un secondo, aveva dimenticato la presenza.
Era davanti a me, con le spalle rivolte alla città a guardarmi a braccia incrociate e con il suo abituale sorriso ed era...,odiavo ammetterlo, bellissimo.
Dalla mia visuale poteva essere benissimo un ritratto di un principe fiero e felice con alle spalle la sua sorridente e magnifica città.

"Il principe delle cose incredibili", è così che avrei raccontato la sua storia, di un ragazzo cieco di fronte alla rovina che imperversa nella sua vita e che continua a ignorare ogni presa di responsabilità con il suo smagliante sorriso rinchiuso tra le mura del suo castello di cristallo.

"Se ti meravigli così per ogni cosa ci impiegheremo un anno solo ad attraversare la via principale" disse mentre continuava a osservare le varie espressioni che passavano sul mio volto.

Ma io, in quel tono sarcastico e sbeffeggiante colsi una goccia di non so...felicità? gioia? comprensione?

"Non mi interessa" gli risposi io continuando a fissare le antiche mura a valle e la città colorata che si stagliava all'interno.

Non mi importava più niente, dei soldi, le conoscenze, un riparo, del suo fastidioso sorriso, della vita che avevo lasciato e di quella che si prospettava di fronte a me.
Niente aveva più importanza.
Sarei potuta restare lì, vivere in cima a quella collina senza mangiare e bere mai più semplicemente nutrendomi dello spettacolo che avevo davanti ai miei occhi.
Avrei potuto seppellire il milione di domande nella mia testa e godermi semplicemente il fatto di essere riuscita ad arrivare lì così facilmente, in un battito di ciglia, senza prove o ostacoli sul mio cammino, senza un lungo viaggio che avrebbe concesso alla mia testarda testolina di accettare che mi meritavo di esserci arrivata, che mi meritavo di ricominciare da zero.

Avrei potuto farlo.
Se non ci fosse stata quella vocina nella mia testa a dirmi che era tutto così terribilmente sbagliato.

Ero lì davanti alla capitale del mondo e una vocina nel vento continuava a sussurrare
"Riportami indietro".

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ANNA

Anna era sicura che la fine sarebbe arrivata prima o poi, non sapeva come o precisamente quando ma sapeva che sarebbe arrivata.
Sperava che non fosse quello il giorno.
Aveva appena iniziato a scoprire il mondo, aveva trovato il coraggio, seppellito la sua paura, affrontato se stessa eppure...
Sembrava che il destino avesse altri piani per lei.

Era in piedi nel mezzo dell'oceano circondata da creature mitiche e assassine e in quell'istante inziò a contemplare l'idea della sua imminente morte.
Non aveva paura.
Dopotutto cos'era la fine?
La immaginava come un immenso buio.
Il nulla più totale.
Lei non credeva agli dei o a vaghe superstizioni, anche volendo non avrebbe potuto.
Nella sua piccola e insignificante vita non aveva mai avuto traccia dell'esistenza di un bene superiore o qualunque cosa fosse credere in qualcosa di immateriale.
E pensava che per quelli come lei a cui mai nessun dio era venuto in aiuto, l'unico ostacolo da accettare prima della fine fosse l'idea che non ci sia nulla.
Ma per lei era più facile pensò.
Lei non aveva mai avuto altro che il nulla, era abituata all'oscurità e alla solitudine che le avevano tenuto la mano per tutta la sua vita.
Magari per lei la morte sarebbe stata più una benedizione che una condanna.

Allora in quegli ultimi attimi decise di affrontarla a testa alta.
Non per il suo ego, non per qualche puro istinto di conservazione, ma perché era la cosa più giusta.
In quell'ultimo istante di dolore non voleva chinare la testa.
La sofferenza era sua amica, l'unica cosa che distingueva il suo essere viva dal suo essere morta.
Allora rimase ferma e alzò il volto che aveva tenuto chinato fino ad allora.
Mostrò all'essere davanti a lei ciò che era e ciò che provava, lasciando che i battiti del suo cuore accelerassero...per un'ultima volta.

Ma poi avvenne qualcosa.

La mano che le afferrava la gola si ritirò.
Il canto si fermò.
Un solo battito d'ali era rimasto.
Lì davanti a lei.

"Sorella e nemica
immersa in acque più buie delle nostre
il tuo spirito sussurra di cose peggiori della morte
forse portarti via con noi sarebbe più un regalo che una punizione"

Un attimo dopo e anche quell'ultimo battito era sparito in un tuffo tra le onde.

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