CAPITOLO 22

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JIMIN

Lentamente mi voltai e vidi che i suoi occhi si scurirono mentre la sua mascella era serrata. Rimasi in silenzio, ma la tensione stava crescendo nell'aria e non riuscivo a resistere.

"Mi dispiace, io non volevo - " Iniziai, ma fui interrotto.

"Va tutto bene. Avrei dovuto dirtelo prima o poi." La sua voce era rauca come se stesse cercando di ricomporsi.

Jungkook sospirò e si accasciò sul letto, appoggiando la schiena contro il poggiatesta.

Mi passai una mano tra i capelli, che erano leggermente annodati a causa del vento. "Davvero Jungkook, non devi per forza dirmelo ora. Va bene." Gli sorrisi in modo rassicurante e mi sedetti sul bordo del letto al suo fianco. Nascose il viso tra le mani ed espirò per l'ennesima volta. La curiosità mi stava mangiando vivo, purtroppo però per lui doveva essere qualcosa di veramente serio, triste e difficile.

La mia mano timidamente raggiunse la sua e liberò il suo viso sotto il mio tocco che lo portò a rilassarsi un po'. Mi avvicinai di più e gli accarezzai le nocche con il pollice. I suoi occhi si rifiutavano di incontrare i miei.

Improvvisamente le sue dita si intrecciarono con le mie, mi sorrise e dopo un altro lungo sospiro, parlò. "Questo è mio padre." Indicò con il mento la foto che avevo visto in precedenza. Anche se il suo volto era privo di emozioni, la sua voce lo tradì. I suoi occhi non erano inondati di lacrime o altro, erano solo freddi. Avevo paura di sentire quello che fosse successo a suo padre. Era morto? Aveva lasciato la famiglia? Tutte quelle possibili azioni correvano nella mia mente come un turbine.

Annuii e gli strinsi la mano, invogliandolo a continuare l'argomento, ovviamente solo se lo voleva.

"Lui..." Si schiari la gola, rendendo la sua voce meno cupa. Aspettai pazientemente che continuasse la frase, non volevo che si sentisse sottopressione. "Non lo vedo da quasi un anno." Si voltò a guardarmi e cercai di non ansimare. I suoi occhi si alleggerirono e così afferrai anche l'altra sua mano.

"Perché?" Chiesi con calma, evitando il suo sguardo.

Sentii il suono della sua lingua schioccare sulle labbra. "Lui... Lui è nell'esercito,in Palestina, proprio ora."

Ecco che tutto ebbe senso: suo padre non era a casa da tanto tempo, la dog-tag che indossava, quando parlavamo di suo padre diventava sempre triste...

"Oh." Fu tutto ciò che riuscii a dire. "M-mi dispiace." Aggiunsi, non sapendo che altro dire.

Con mia grande sorpresa, una piccola risatina sfuggì dalla sua bocca. "Perché dovrebbe dispiacerti?"

Mi strinsi nelle spalle goffamente, guardandolo. Il suo volto si ammorbidì, non sembrava nemmeno più sconvolto. Forse era stato come liberarsi da un peso sullo stomaco? "Non lo so, mi sento male per te."

"Non ho bisogno della pietà di nessuno." Fece una smorfia e lasciò cadere le mani, incrociando le braccia al petto.

Le mie sopracciglia spararono verso l'alto, colte alla sprovvista dalla sua improvvisa durezza. Credo che mi sentirei allo stesso modo se fossi al suo posto così ignorai il suo sfogo e decisi di chiedergli qualcosa, invece di impazzire. "La dog-tag che indossi è sua?"

Mi diede una breve occhiata e poco dopo guardò verso il petto, dove aveva la collana appesa sulla sua maglietta blu. "Già." Borbottò e prese una delle mie mani ancora una volta, come per scusarsi del comportamento che aveva avuto qualche momento prima. Si alzò su di esso e fece cenno di sedermi vicino a lui. Mi sfilai le scarpe, lo raggiunsi e mi appoggiai al poggiatesta accanto a lui così che le nostre gambe si toccassero, mentre le nostre mani erano intrecciate.

B.R.O.N.X (Jikook)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora