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L'ora delle visite inizia alle sei. Non aspetto che qualcuno venga a trovarmi, perché dovrebbero? Quattro giorni fa, sono svenuto sull'ambulanza. Quattro giorni fa, ho fallito nell'uccidere me stesso. Il secondo giorno alla guardia e nessuno aveva chiamato per sapere di me. Nessuno era venuto a visitarmi dal pronto soccorso.

A qualcuno importa?

Non mi sono quasi sforzato di fare amicizia nel poco tempo che ho passato qui. Oltre che a Michael, non ho parlato direttamente con nessun altro paziente. Un'ora fa, durante un po' di tempo libero, ho provato a giocare a carte con Levi. Ma il suo OCD mi ha solo fatto stressate maggiormente, così non sono riuscito ad andare avanti e abbiamo dovuto smettere di giocare.

Sto guardando i cartoni quando Lacy, un membro dello staff, viene per informarmi che ho una visita. Guardo nella stanza, pensando di non aver capito bene. Chi vorrebbe farmi visita? Esco dalla stanza e la seguo nella caffetteria. Michael sta dormendo nella nostra stanza, perciò non posso incontrare nessuno lì, anche se vorrei poterlo fare. È stato rilasciato dall'isolamento poco fa e so è ritirato subito nella nostra camera. Non ha parlato con nessuno, nessun contato visivo. Non appena entro nella stanza, la vedo.

Mia madre.

Lacy mi fa segno di avvicinarmi, io esito. Posso rifiutarmi di vederla, ma lei mi ha già visto e mi sentirei male ad andarmene ora. Così, vado da lei. Lentamente, ma con sicurezza. Mi siedo davanti a lei, tenendo gli occhi fissi sul tavolo marrone.

"Luke..." comincia, cercando la mia mano.

Io la tolgo, gli occhi che si alzano per guardarla. Non toccarmi. Non sei autorizzata a toccarmi. Vorrei poter urlare, lasciare che tutte le mie emozioni represse escano, ma non posso. Perché ci sono altre persone nella stanza e mi sentirebbero. Loro saprebbero. E non posso lasciare che sappiano.

"Perché sei qui?" mormoro, i denti stretti, rimangiando ciò che voglio davvero dire.

Sospira, "Per vederti, Luke. Sei mio figlio."

Vorrei dirle che io non sono più suo figlio. Che suo figlio se n'è andato molto tempo fa, che sono diverso ora. È colpa sua, comunque. È stata lei a farmi questo.

"Io non capisco... Non capisco perché hai fatto questo a te stesso."

Certo che non lo sai! Mi sto concentrando così tanto per tenermelo dentro, per non crollare davanti a lei. Non piangere, non devi fottutamente osare piangere. La guardo, le mie mani che tremano.

"Se tu avessi prestato la minima attenzione a me, anche solo la più piccola, lo sapresti." Scelgo le mie parole con attenzione, la mascella così tesa da farmi male.

Si morde il labbro, un'abitudine che ho ereditato da lei, e mi studia. Vorrei che smettesse. Voglio che se ne vada e che non torni mai più.

"Tu non mi parli più."

Scuoto la testa, stupito dalle sue parole. Forse se tu avessi davvero provato ad ascoltarmi quando ci provavo, le cose non sarebbero così.

"Ci ho provato. Tu hai smetto di ascoltare, di importartene. Non puoi farlo!" Sto urlando adesso, i pugni stretti tra di loro. "Solo perché papà è morto non significa che io non esista!"

Ho il petto pesante, non riesco a prendere fiato. Non piangere. Non piangere. Non piangere. Lei mi guarda e vorrei poterla colpire. Toglierle quello sguardo interdetto dalla faccia. Lei lo sa! Non mi imbroglia. Realizza di avermi emotivamente trascurato, ma non lo ammetterà. La farebbe sembrare cattiva e Dio glielo aveva proibito. Louise è in piedi sulla soglia, supervisionandoci, ora. Sono sicuro che l'intero piano abbia sentito le mie urla, si staranno chiedendo tutti perché mi sto comportando così.

psych ❁ muke au (italian translation)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora