Capitolo 4

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Tara

«Signore e signori grazie di aver viaggiato con noi e benvenuti a Milano. La temperatura fuori è di 15 gradi...» la voce gracchiante dall'alto parlante mi dà il benvenuto alla mia nuova vita.

Guardo un'ultima volta dall'oblò la pista grigia appena illuminata dal sole, che mi sembra più spento rispetto ai raggi caldi a cui sono abituata. L'odore dello smog entra dal portellone aperto e mi fa arricciare il naso, ma nonostante non sia paragonabile all'odore del mare riesce comunque a farmi stare bene, perché significa che sto per affrontare la mia rivincita.

«Signorina, deve recuperare il bagaglio?» Un biondissimo Stuart mi sorride gentile, batto le ciglia per risvegliarmi dal mio sogno ad occhi aperti e dedicargli la giusta attenzione.

«In realtà sì, grazie.» Annuisco e mi avvicino al corridoio notando solo ora che il passeggero che fino a poco fa occupava il posto accanto al mio è sparito.

Con fare esperto il bagaglio è già sulla mia spalla, sorrido riconoscente al mio aiutante e mi avvio nel piccolo spazio fra i sedili.

Seguo le persone sperando mi portino al ritiro bagagli, sono un po' confusa mentre cerco di decifrare le indicazioni e solo quando vedo il carrello nero davanti a me tiro un sospiro di sollievo.

Mi posiziono pronta ad afferrare la valigia anche se ancora il meccanismo non è in azione, mi guardo attorno e siamo solo una ventina persone. Mi ricordo del telefono solo quando vedo una signora, con i capelli grigi che brillano alla luce dei neon, parlare animatamente con qualcuno proprio al cellulare.

Compongo velocemente il numero di mia madre ed è sempre a telefono con lei che alla fine mi ritrovo per strada in cerca di un taxi che mi porti nell'appartamento che ho affittato.

«Mamma, ti prego devo chiudere. Devo andare a casa.» Cerco di sistemare lo zaino sulle spalle.

«Tesoro...» Mia madre non riesce a finire l'ennesima raccomandazione.

«Mamma, chiudi! Tara non può fare niente se continui a tenerla al telefono.» La voce di mia sorella mi giunge forte e chiara, come lo sbuffo di mia madre che obbligata dalla prima figlia saluta frettolosamente dopo avermi fatto promettere l'ennesima chiamata, questa sarà appena giunta a casa.

Le prometto di farlo come prima cosa e finalmente posso deporre il telefono nella tasca interna del parka verde militare che indosso e alzare la mano avvicinandi alla strada. Attendo pochi secondi e con soddisfazione vede un auto fermarsi proprio davanti ai miei piedi.

«Buongiorno signirina, dove la porto?» L'autista con uno strano accento straniero mi osserva dallo specchietto.

In fretta gli dico l'indirizzo che ho imparato forzatamente a memoria e con piacere lo vedo partire. Mi appoggio allo schienale e lascio la mia vista vagare mentre l'odore di qualche spezia, credo, indiana, mi giunge dal sacchettino di carta posato sul lato passeggero.

Cerco di non farmi nauseare da quel forte profumo di curcuma ma posso tornare a respirare solo quando lo vedo accostare davanti un palazzo in una strada molto trafficata.

«Signorina, siamo arrivati e laggiù, vede?»

Seguo con lo sguardo il suo dito indice e lo vedo: il numero 32.

«Grazie.» Pago la corsa e aspetto che l'uomo mi recuperi la valigia dal portabagagli. Ancora un piccolo cenno e infine mi giro verso il mio nuovo ingresso.

Guardo il portone a vetri solamente accostato e allora decido di entrare, così come mi aveva indicato il proprietario dell'appartamento che avrei presto condiviso con una ragazza che non conoscevo ancora.

Il portinaio stava leggendo il giornale e al mio tossicchiare alzò gli occhi verso di me.

«Salve, sono Tara Monterosa, la nuova inquilina del terzo piano.» L'uomo che si era nel frattempo alzato sembrò illuminarsi, per fortuna era stato informato.

«Ah, sì sì, l'aspettavo. Piacere io sono Nino.» Allungò la mano verso di me. Sembrava un tipo gentile, poteva avere una cinquantina di anni, capelli stempiati e fisico arrotondato. Mi arrivava appena alla spalla, ma questo era colpa del mio quasi metro e ottanta.

«Piacere mio.» Ricambiai la stretta di mano e lo ringrazia ancora quando mi porse il mio mazzo di chiavi per poi spiegarmi brevemente cosa aprissero ognuna.

Gentilmente mi accompagnò all'ascensore che con galanteria mi aprì prima di salutarmi con un gran sorriso giallo.

Istintivamente guardai verso l'alto, come se potessi vedere qualcos'altro che non fosse il tetto metallizzato dell'ascensore.

Ancora una volta presi il trolley nella mano e per non essere scortese bussai alla porta nonostante tenessi ancora in mano la chiave. Avrei dato tempo a Manuela di venire ad aprire per cinque minuti, poi avrei fatto da me. Sapevo solo il nome della mia nuova coinquilina, al momento. La porta bianca si aprì mostrandomi una graziosa ragazza con capelli a caschetto castani e due splendidi occhi nocciola.

«Tu devi essere Tara.» Si fece di lato consentendomi di entrare mentre mi osservava sorridente. Ricambia la sua espressione felice.

«Sì, e tu Manuela.»

Annuendo i suoi capelli ondeggiava intorno al suo viso.

«Sono contenta di non essere di turno oggi, ero curiosa di conoscerti. La vecchia coinquilina è andata via il mese scorso e quando ho saputo che saresti arrivata ne sono stata felice. Non mi piace vivere da sola, sono abituata a una famiglia numerosa.» La prima impressione era positiva, nonostante mi sembrasse una tipa molto chiacchierona, era anche disponibile e affettuosa.

«In realtà anche io.» Mi ritrovai a parlare di me e della mia famiglia, così come fece anche lei, nei pochi minuti che mi permisero di conoscere anche la mia nuova casa.

Ci fermammo una volta tornati al punto di partenza, nell'ampio soggiorno con un grande divano bianco e due poltrone verde petrolio ai lati, tutto rivolto verso la TV che solo ora notavo accesa anche se silenziata.

«Ti andrebbe un tè, mentre disfi le valige?» Accettai con piacere e silenziosamente tornai sui miei passi nel lungo corridoio con le porte sul lato sinistro.

La mia camera era la seconda stanza, la prima era il bagno con la doccia mentre nell'altro in fondo al corridoio c'era una splendida vasca. Io non avevo mai avuto il piacere di fare un bagno caldo. Lo avrei provato giusto quella sera.

Come promesso chiamai mia madre mentre che a fatica deponevo la valigia sulla sedia vicino al comò.

«Sei arrivata?»

Neanche si usava più il pronto.

«Sì.» Tirai fuori le prime cose sistemandole nel secondo cassetto. «Una mezz'ora fa, ma ti ho chiamata solo ora perché mi sono soffermata a parlare con Manuela, la nuova coinquilina.»

«E come ti sembra?» Apprensivo come sempre il tono di mia madre mi faceva il terzo grado.

«Mamma, metti il vivavoce.» Mia sorella credo non fosse più andata all'università quel giorno.

«Mi piace, è gentile e si è offerta anche di prepararmi un tè.» Speravo davvero in cuore mio che potessimo andare d'accordo, era importante trovare un'amica quando si era fuori casa.

«Oh, che carina.» Rimasi a parlare qualche altro minuto, poi mandai un messaggio a mio fratello per dire anche a lui che ero arrivata e infine mi ritrovai ad aver già disfatto la prima valigia.

«Ecco, tieni. Lo poso sul comò.»

La guardai posare il vassoio sul legno impiallacciato bianco e poi sedersi sul mio letto, con la sua tazza blu fra le mani.

«Posso restare a parlare un po' con te.» Con grazia accavalla le gambe prima di seguire con il viso i miei movimenti.

«Certo.» Annuisco, non affatto infastidita, anzi grata che fosse davvero piacevole la sua presenza. «Vedi quel pacchetto. Sì, quello. Sono dei biscotti che ha fatto mia madre, assaggia pure.»

Il rumore della carta stropicciata riempie la stanza facendoci sorridere e poi ecco il profumo di mia madre e di casa mia invadere l'ambiente.

Io vedo la tua Luce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora