Capitolo 43

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Chris

Il viaggio di ritorno è silenzioso. Non riesco a parlare. Penso. Penso a lei con lui. Penso a quello che lui ha potuto farle e penso a me che avrei dovuto intuire che ci fosse qualcosa di sbagliato nella loro storia.

Tara sta al mio fianco altrettanto silenziosa che osserva fuori dal finestrino.

Le braccia si sfiorano appena.

I capelli scuri costretti nella solita coda alta, qualche ciuffo le accarezza il mento. Le labbra appena socchiuse e lo sguardo perso chissà dove. Quando la osservo non noto niente dei suoi malumori, pensieri, sembra sempre tranquilla, come se la sua vita stesse andando proprio dove lei desidera. Non riesco a capire come riesca a celare così bene le sue emozioni.

Resto incantato dalla sua bellezza come la prima sera o meglio come ogni sera e poi improvvisamente riesco a notare alcuni dettagli. Mi concentro su di lei e come quando si osserva la Monnalisa ogni particolare cambia di significato. Più la guardi e più il sorriso sulle labbra perfette non ti sembra felice, ma forzato, lo sguardo sereno quasi ilare diviene malinconico, perso in pensieri a te celati. Ecco, proprio come nel famoso quadro ora in lei noto le stesse piccole differenze e ciò che sembrava una ragazza rilassata a prima vista diviene una donna insicura, irraggiungibile.

Resto sbalordito dalla mia scoperta, quante sere sono stata a guardarla, a parlare con lei e mai avevo notato cosa lei nascondesse.

Mi sento stupido. Mi agito nel sedile dell'autobus e mi colpevolizzo per ciò che avrei potuto fare per lei in queste settimane se solo non mi fossi fermato alla superficie, alla sua bellezza.

E forse, come me, molti non sono andati a fondo e improvvisamente mi è tristemente chiaro come lei nonostante sia amata da molti sia in realtà sola.

Le spalle esili restano dritte e inflessibili. Cosa pretendi da te stessa Tara?

Le dita strette intorno alla borsa mi mostrare appena come sia preoccupata e credo che il motivo sia quello che sarà una volta giunti a casa mia.

Riusciremo a sopportare la verità?

Bisognoso di un contatto allungo il braccio fino a posare la mia mano sulla sua. La pelle gelida rabbrividisce al mio contatto caldo, ma non si ritrae, resta ferma nel mio palmo e la sensazione di sollievo mi fa stringere gli occhi.

Li riapro e vedo il suo viso piegarsi in avanti a guardare le nostre dita unite, poi un semplice sospiro e le sue dita che si stringono intrecciate alle mie. Torna a guardare le persone sul marciapiede affrettarsi verso qualche luogo. Stringo la presa e permetto a entrambi di godere del piacere di quella vicinanza fra noi.

Quando finalmente possiamo scendere sono costretto a lasciarla. Mi alzo per prenotare la fermata e le faccio cenno di seguirmi.

La strada fino a casa è breve. Mi segue guardandosi attorno, ma continuiamo a non parlare.

«Vuoi farti una doccia?» Chiudo la porta dietro di me e poso le chiavi e il resto nel vuota tasche all'ingresso.

«Si, grazie.» È ferma al centro del mio salotto, illuminata dai raggi del sole che entrano dalla persiana aperta. Le mani giunte davanti e l'imbarazzo della prima volta a casa mia.
Finalmente è qui, ma non riesco a gioirne a pieno, non è così che volevo che accadesse, non con il peso della sua prossima confessione.

«Seguimi.» Le faccio strada verso la mia stanza per poi indicarle il bagno proprio di fronte. «Puoi usare i teli che trovi nell'armadietto.»

«Va bene, grazie.»

Le poso il borsone sul letto.

«Ti aspetto in cucina.» Passo le mani sui pantaloni e mi avvio in cucina.

«Okay.» Annuisce prima di accennare un sorriso. Il lieve calore di quel gesto mi riscalda più dei riscaldamenti accesi.

«Vado.» La lascio sola e mi dirigo in cucina senza avere ben chiaro cosa fare. Mi fermo appoggiando la schiena al ripiano, porto le mani al volto e cerco di alleggerire la tensione che sento alla nuca.

Come potrò sopportare ciò che mi confesserà.

La rabbia per quel viscido essere sbatte con il mio palmo sul marmo della cucina. Un intenso dolore si propaga dalla mano al braccio per quanta forza io ci abbia messo in quel gesto.

Con uno sbuffo mi accarezzo il palmo dolorante e butto l'occhio all'ora sul forno, è appena passato mezzogiorno, mi guardo in giro indeciso su cosa fare e alla fine decido di iniziare a preparare.

Prendo dal frigo le verdure che avevo comprato questa mattina, le sciacquo e le poggio sul tagliere. L'idea di preparare una pasta piccante non mi dispiace e allora afferro il coltello e inizio a tagliare il peperone rosso vivo per primo.

Capisco di non essere più solo quando ho terminato di tagliare tutto, senza guardarla prendo il bollitore per scaldare l'acqua.

«Ti va di aiutarmi?»

«Ti ricordi vero, che non so cucinare.» Si avvicina lentamente.

«Ti farò solo girare il condimento con il cucchiaio come si fa con i bambini.» La prendo in giro e mi giro a guardarla porgendole il mestolo.

«Okay.» Si stringe il labbro fra i denti preeoccupata e io la desidero perdutamente.

Trattengo il mio impulso che vorrebbe baciarla e mi rimetto a lavoro prendendo dallo sportello in basso a destra la padella e che poso subito sul fuoco.

Le porgo l'olio e la invito a versarlo, indicandole la quantità. Tara in silenzio esegue ogni mio ordine e quando il profumo delle verdure rosolate riempie la cucina lei mi regala il suo primo sorriso.

«Hai fame?»

«Sì, molta.» Posa il mestolo sul piatto vicino.

«Ci siamo quasi.» Scolo la pasta e la butto in padella ripassandola con un ultima manciata di basilico. «Pronta. Prendi i piatti?»

«Sì, certo.»

In poco tempo siamo seduti a tavola uno di fronte all'altra.

«Ti andrebbe un po' di vino?»

«Solo un bicchiere.»

Mi alzo e dal frigo scelgo un bianco abbastanza corposo che verso in due bicchieri, ritorno al tavolo e gliene porgo uno.

«Grazie.» Lei resta in attesa che io mi rimetta seduto e appena lo faccio scontra il suo bicchiere con il mio.

«A cosa vuoi brindare?» Le pongo quella domanda perché desidero sapere cosa le passa per la testa.

I suoi occhi sono ancora più scuri.

«Alla notte appena passata e a quella che verrà.» Il bicchiere si avvicina alle sue labbra che si bagnano di liquido brillando invitanti.

«Alla notte!» Bevo anche io a quel momento della giornata che in fondo ci è sempre stato amico.

«È davvero squisita.» Assaggia la pasta e i suoi occhi si illuminano. «Sei davvero bravo.» Felice continua a mangiare e ci ritroviamo a parlare della mia famiglia e di Roma dove lei non è mai stata e che le piacerebbe visitare.

«Potresi venire con me a Natale.» Mi azzardo a dire e la sua forchetta resta per un attimo a metà tra la sua bocca e il piatto.

«Mi piacerebbe molto, ma ho già il biglietto per la Sicilia, mia madre morirebbe se non mi avesse a casa per le feste.»

Ora è lei a parlare di lei e delle persone per lei più care e io vi leggo così tanto amore che non capisco cosa sia andato male nella sua vita. Sicuramente la morte di suo padre, di cui mi ha parlato subito, è un motivo valido per i suoi comportamenti un po' lesionisti.

Però come potrei non restare: incantato.

Io vedo la tua Luce Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora