207. Due stupidi

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Luglio del 1858, Plombières

<È ormai da ritener certo che gli accordi sono stati presi, non?> domanda Francis, eternamente sorridente, estendendo una mano.

Roberto la fissa per un attimo e le vesti ufficiali sono come fasce di una camicia di forza che vorrebbero trattenerlo e insieme lo bloccano in quella stanza, senza via di fuga.

Faticosamente alza il braccio e ricambia la stretta, un abbozzo di sorriso gli arriccia le labbra.
<È da ritenersi corretto, sì.>

Francis lo tira a sé repentinamente e, un po' per dispetto, un po' per vizio, un po' perché si diverte a prenderlo di sorpresa, gli lascia un casto bacio sulla guancia e sussurra: <È sempre un piacere averti dalla mia parte.>

E lo lascia andare altrettanto celere, mani dietro la schiena e un sorrisetto sornione mentre si allontana.

Roberto vorrebbe sperare per il meglio, dovrebbe sperare per il meglio, ma qualcosa pizzica sotto la pelle. Conosce Francis, conosce le alleanze. Sembra una tragedia già vista.

Luglio del 1859, Torino

È una tragedia già vista.
Non sa neanche perché ne è ferito.
Rita è in un'altra stanza.
Aveva davvero sperato di poter incontrare Nord Italia. Anche solo per insultarlo, per averli lasciati a loro stessi senza mai palesarsi. Tutti ci avevano sperato.

Eppure...

Lombardia si schiarisce la voce e Roberto si ridesta dai suoi pensieri.
<Ormai l'armistizio è stata firmato. Inoltre il tuo re l'ha ratificato.> nota il lombardo (Carlo, giusto?) <Perché adirarsi?>

<È anche il tuo re.> é la risposta secca di Roberto, che arretra. Poi si volta e sparisce.

Torna relativamente in fretta, osserva Carlo con fascino, tenendo d'occhio il suo orologio da taschino.

Il sabaudo torna con il fiato grosso, le guance arrossate e uno sguardo... che poco comprendere. Arrabbiato? Triste?

Roberto si ferma ed è come vedere un'anima uscire dal corpo. Si svuota di qualsiasi emozione e rimane solo un guscio a fissare, per qualche lungo istante, Carlo.

Poi si rianima, il sabaudo si ricompone e borbotta: <Mi scuso per la mia indecenza.>
Carlo scuote la testa e replica: <Infondo, le tue reazioni hanno un fondamento. Volevi realizzare un piano. Avevi un patto. Sei stato tradito.>

<Grazie.> sussurra, quasi sconcertato, Roberto.
Carlo non risponde. Come fa quello ad essere suo pari? Non è possibile. È così... debole. Vulnerabile. Speranzoso.
Come è possibile non sia stato distrutto?

Ultimi giorni dell'inverno del 1861, Torino

L'Italia è fatta. Mancano gli italiani.
Nord e Sud sono riuniti. Che manchino Roma e il Triveneto nessuno osa parlarne.
Colui che dovrebbe essere il suo capo sembra solo entusiasta di essere in mezzo ai suoi territori, senza quello con cui è sempre stato. Sembra ignorare l'odio, il risentimento, la confusione. Accetta i sorrisi di facciata.

È tutto così assurdo. È una commedia di cattivo gusto.

Eppure Carlo non riesce a non notare lo sguardo preoccupato di Roberto, rivolto verso il nuovo re d'Italia, un re che non ha cambiato nome. È chiara la direzione che il nuovo regno seguirà.
Roberto dovrebbe esserne entusiasta. È tutto a suo favore. Eppure non lo è. Sfiora la coccarda rossa sul petto, come terrorizzato che scompaia, senza mai smettere di guardare Vittorio Emanuele II.

Nei pochi anni in cui l'ha conosciuto, qualcosa gli è chiaro. È sempre in agitazione e sembra provare un genuino interesse per gli altri (inconcepibile, nella loro realtà non c'è spazio per la bontà). E anche se rasenta il ridicolo nel seguire gli ordini dei Savoia, perché è così interessato e devoto, insieme sembra sempre due passi avanti a tutti.
Sa benissimo cosa verrà e vorrebbe non avere tale dono. È un moderno Sibilla, ma non condannato a non essere creduto, bensì a non riuscire a parlarne.

Casa Vargas 2 - Le regioni d'ItaliaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora