227. Non è la sua vita

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All'inizio Franco non ci fa caso.
È altresì vero che fai fatica a fare caso a qualcosa che non è presente.
Ma è altrettanto vero che è assurdo non ci abbia fatto caso, per quanto per anni avesse pregato affinché succedesse qualcosa del genere.

E ora che è successo, non sa neanche da -quanto- stia succedendo.
Tirando a indovinare, senza neanche troppo effettivamente ipotizzare, perché è abbastanza ovvio quale possa essere stato il fattore scatenante, pensa siano svariati mesi che semplicemente Michele sia svanito.

Non che non sia in casa, anzi, si sente forte e chiaro. Ma non interagisce con Franco, né per deriderlo né per scusarsi né per qualsiasi cosa passi per quella testa bacata, e, se costretto dalle circostanze, ha lo stesso tono di circostanza che con un estraneo.

Ci sono dei rari casi a parte, in cui sembra più il solito Michele, ilare e che usa il cervello solo quando gli torna comodo. Eppure, ad un certo punto, ogni volta, è come se scattasse un interruttore dentro il pugliese e o devia la conversazione con qualcun altro, oppure si libera dalla situazione in frrtta.

Quando Franco lo realizza, la prima cosa che sente è sollievo. Finalmente ha quello che ha voluto per tanto tempo: non essere deriso o ignorato per portare avanti lo stupido motto "il Molise non esiste".

Purtroppo, e maledice la sua stessa testa, in fretta quella gioia diventa fastidio. Quasi rabbia.
Oppure oscilla continuamente tra mero fastidio quando ci pensa fino alla rabbia quando accade. Perché preferisce venir ignorato per rimarcare che non esistesse, piuttosto di essere ignorato in questo modo.

Non ha mica la peste!

Purtroppo non sa bene come muoversi, perché sarebbe ipocrita lamentarsi di come Michele lo lasci in pace per tutte le volte che se ne è lamentato con Marie o Rita o chi altro.
Ma non sa in ogni caso come approcciare la cosa, in quanto con gli altri si comporta come al solito, e potrebbe semplicemente apparire lamentoso o paranoico (e forse è entrambi e forse se lo merita perché vuole qualcosa che non sa più neanche cosa sia).

E anche se prova a ragionare con la sua testa che tra le due situazioni vissute, questa sia l'opzione migliore, non riesce a scollarsi questa altalenante ira-irritazione.
Perché non può semplicemente avere rapporti distesi? Perché anche nell'ignorarlo ci deve una tensione pruriginante se, non a tratti, addirittura soffocante?

Quindi giunge all'unica conclusione logica. O comunque la via che gli permetterà di essere più in pace con la propria testa (si spera, nella loro vita non si può -mai- sapere. Ed è molto difficile vivano in pace).

Quindi diventa imperativo discutere con Michele in un momento in cui sono soli, lontani dagli altri, e possa costringerlo a vuotare il sacco.
Un sacco intravisto l'ultima volta in cui avessero parlato, in cui l'aveva etichettato uno stronzo sadico che ora che non ha più il suo giocattolo non sa cosa e come fare.
E forse non ha neanche torto, ma a questo punto non c'è solo quello.

L'occasione si presenta abbastanza facilmente, Michele che deve andare a prendere dal vaso un po' di rosmarino. E i vasi sono vicini al loro orticello in cui Franco, soletto, sta controllando come stanno crescendo le zucchine.

Quando sente dietro di sé un respiro fischiato, inspirato bruscamente, si alza e gira di scatto, trovandosi davanti Michele, a debita distanza. E che sta puntando i vasi.

Allora, prima che scappi, il molisano si para davanti al mucchietto di vasi, fissando l'altro dritto negli occhi.
<Dobbiamo parlare.> dichiara.

Michele spalanca gli occhi, apre la bocca e poi la richiude senza dire niente.
E ciò fa impazzire Franco.

<Parlami!> impone il molisano, battendo un piede per terra.
Sta facendo il bambino? Sì.
Gliene importa? Non in quel momento.
Vuole mettersi l'anima in pace? Certo.
Vuole sapere la verità? Ha paura di scoprirlo.

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