Capitolo 22

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Era mezzogiorno e nel dannato ospedale in cui vivevo da circa 13 ore, a quell'ora si mangiava, insomma mangiare per me ha un altro significato, ma si può dire che si masticava qualcosa, ecco. Jade era ancora lì con me, stravaccata sulla seggiola traballante e vicino alla scrivania. L'infermiera entrò nella nostra stanza con un sorriso stampato sulle labbra, camminando a passo lento con due vassoi in mano: uno mio e uno di Ali.

"Ragazze ecco il pranzo!" esclamò allegra.

"Pranzo.." sussurrai a bassa voce. In quel postaccio chiamavano veramente quell'ammasso di ingredienti "pranzo?"

"Grazie!" dissi rivolgendomi all'infermiera, cercando di nascondere il malumore del momento.

Ali ringraziò e impugnò in fretta la bustina con le posate e il tovagliolo di carta.

"Buon appetito!" esclamò l'infermiera sempre sorridente.

Impugnai la busta con all'interno posate e tovagliolo, un po' titubante. Poi impugnai la forchetta e la infilzai nella carne. Assaggiai un primo boccone e dovetti ammettere che non era poi così male. Continuai a mangiare in silenzio assaggiando a piccoli bocconi anche le verdure di contorno.

"Ali com'è?" domandai non vedendola, visto che i nostri due letti erano divisi da una tenda.

"Niente male, ormai c'ho fatto l'abitudine". mi rispose lei un po' sconsolata. Io continuai a mangiare, fino a finire il pasto. Poi passai alla mela rossa servita sul vassoio e infine al panino integrale. Finalmente avevo colmato quel buco nello stomaco che mi aveva procurato la fame. Jade masticando una gomma mi disse che dopo mi sarebbero venuti a trovare anche Sarah e Jack e io non potei essere più felice. Ormai per me, loro erano come dei genitori, e per loro era evidente che fossi oramai una seconda figlia. Io annuii contenta e mi stravaccai sul lettino. Un'immagine, però, in quel momento mi passò davanti agli occhi: Dylan che mi guardava preoccupato e cercava di accertarsi delle mie condizioni nel bagno di casa di Jacob. Lo odiavo, lo odiavo con tutta me stessa, ero uno stronzo, un insensibile, un bullo, un provocatore e uno che sicuramente ci provava con tutte le ragazze, e poi le prendeva per il culo. Io gli stavo sul cazzo, era evidente, ma allora perché la sera precedente si era mostrato così interessato, così preoccupato e così premuroso per.. me? La ragazza che non piaceva a nessuno, quella che allontanava tutti e quella brusca e stronza che odiava tutti. Avanna, quella strana, quella odiata dai genitori e quella picchiata e maltrattata dall'ex. Perché quella sera mi aveva trattata in quel modo così premuroso, e perché proprio a me? Tornai alla realtà solo quando Ali mi domandò se avessi gradito il pasto. Io senza aggiungere nulla risposi di sì. Presi il telefono dal comodino, lo sbloccai e iniziai a gironzolare sui social. Tutto era tranquillo fino a che tik tok non decise di consigliarmi una persona che potrei conoscere: Dylan. Ma cazzo, era davvero un tormento! Cliccai il profilo e mi resi conto che aveva migliaia di follower, non mostrava il suo viso ma soltanto le sue mani tempestate di anelli che sfrevavano le corde della sua chitarra elettrica. Finii per guardare tutti i video senza volume, rimanendo ipnotizzata dal movimento delle sue mani sulle corde della chitarra. I commenti in ogni singolo post erano innumerevoli complimenti. La descrizione del profilo era minima: Dylan, 19 Y, american/spanish, guitarist. Non sapevo fosse spagnolo, ma i lineamenti mi davano quell'impressione. Uscii dal profilo in fretta, facendo finta di niente. Spensi il telefono e lo rimisi sul comodino producendo un forte tonfo. Jade si voltò di scatto e poi si rigirò dando una rapida occhiata al display del telefono.

"Oddio sono le 13:30, devo correre a casa" poi mi scoccò un bacio sulla fronte, afferrò la borsa e uscì dalla stanza, dirigendosi nel corridoio che portava all'uscita dell'ospedale. L'infermiera che c'aveva portato il pasto precedentemente tornò a portarci via i vassoi.

"Era tutto molto buono, grazie!" rivolsi un sorriso all'infermiera, che quest'ultima ricambiò, prima di ritirarmi il vassoio. Io e Ali rimanemmo da sole.
"Io ti ho raccontato la mia storia, ora tocca a te raccontarmi la tua!" mi disse Ali. In effetti era vero, ma io avevo il terrore che raccontando quello che mi era successo, un'altra visione mi colpisse.

"Non credo sia una buona idea.." le confidai

"Ava, dai, vedrai che non succederà nulla". mi rassicurò lei. Allora io mi convinsi.

"Circa 2 anni fa conobbi un ragazzo, si chiamava William, ma tutti lo chiamavano Billy, perciò anche io iniziai a chiamarlo così. Aveva i capelli abbastanza lunghi e biondi molto scuri e gli occhi color nocciola, degli occhi che ti rapivano, davvero. Pieno di tatuaggi e di una bellezza sovrannaturale: sembrava una divinità. Diventammo subito amici, uscivamo spesso insieme: scherzavamo, ci divertivamo, come due normali ragazzi di 16 e 18 anni. Dopo un po' di tempo, però, ci rendemmo conto che quella non era una semplice amicizia, perciò io caddi fra le sue braccia come un'idiota!" le raccontai tirando un sonoro pugno sul comodino. La mano mi era già stata fasciata qualche ora prima, e io mi feci nuovamente male.

"Tranquilla Ava, io sono qui e ti ascolto!" mi disse con tono cauto Ali. Perciò decisi di procedere con il mio devastante racconto: "Perciò i primi mesi procedettero a gonfie vele: uscivamo spesso insieme, lui era dolcissimo, mi riempiva di regali ed eravamo super innamorati. Io andavo spesso a casa sua, un piccolo appartamento in cui viveva con suo fratello maggiore. Sembravamo fatti l'uno per l'altro. Tutto iniziò a cambiare quando io, a volte, esprimevo la volontà di uscire con le mie amiche anziché con lui: di certo non lo trascuravo, ma oltre a lui, volevo dedicare del tempo oltre che a me stessa, anche alle mie amiche". mi fermai, per riprendere fiato e far calmare i battiti del mio cuore, che sembrava vittima di tachicardia. Ali restò in silenzio, probabilmente in attesa che ricominciassi. E così feci:
"Perciò lui iniziò a controllarmi il telefono, pensando che avessi un altro ragazzo, e iniziò a costringermi a uscire con lui. Io non me ne stavo, ma da una parte pensavo anche che avesse ragione. Le sue parole, mi arrivavano come pugnali al cuore, che a mano a mano facevano sempre più male. Iniziai a sviluppare una specie di Sindrome di Stoccolma: lui mi faceva del male, ma io non riuscivo a staccarmi da lui, e trovavo sempre del bene anche negli atteggiamenti in cui non c'era nulla di positivo. Quando io iniziai a ribellarmi fu troppo tardi : iniziarono i pugni, le sberle, le minacce e le accuse. Ero entrata in un calvario che sembrava non avere un termine".

𝑺𝑷𝑨𝒁𝑰𝑶 𝑨𝑼𝑻𝑹𝑰𝑪𝑬🙇🏻‍♀️
𝑪𝑰𝑨𝑶𝑶! 𝑰𝒏 𝒒𝒖𝒆𝒔𝒕𝒐 𝒄𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝑨𝒗𝒂 𝒂𝒇𝒇𝒓𝒐𝒏𝒕𝒂 𝒊 𝒅𝒆𝒎𝒐𝒏𝒊 𝒅𝒆𝒍 𝒔𝒖𝒐 𝒑𝒂𝒔𝒔𝒂𝒕𝒐 𝒓𝒂𝒄𝒄𝒐𝒏𝒕𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒍𝒂 𝒔𝒖𝒂 𝒔𝒕𝒐𝒓𝒊𝒂 𝒂𝒅 𝑨𝒍𝒊. 𝑺𝒑𝒆𝒓𝒐 𝒗𝒊 𝒔𝒊𝒂 𝒑𝒊𝒂𝒄𝒊𝒖𝒕𝒐, 𝒗𝒊 𝒂𝒕𝒕𝒆𝒏𝒅𝒐 𝒂𝒍 𝒄𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 23. 𝑪𝒊𝒂𝒐𝒐!
𝒎𝒂𝒓𝒊𝒊 <3

𝓐𝓻𝓻𝓱𝔂𝓽𝓱𝓶𝓲𝓪: 𝒉𝒆𝒂𝒓𝒕𝒃𝒆𝒂𝒕𝒔 ♥︎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora