Capitolo 26

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Quella sera ero felicissima di uscire, per staccare la testa da tutto ciò che stava accadendo in quei giorni. Mi augurai che Avanna non avesse preso la mia uscita come un segno di egoismo, mi mancava come l'aria. Ero stravaccata sul letto, con la tuta-pigiama di Stitch con tanto di cappuccio sollevato sul capo, a cazzeggiare sui social. Feci pulizia del dispositivo, e poi lo abbandonai sul comodino con poca delicatezza. Mi alzai dal letto, e poi con passo pigro mi diressi verso il bagno. Entrai, e con un velo di tristezza, guardai tutti gli oggetti che in quella stanza appartenevano ad Ava, ed un senso di estrema malinconia mi invase il corpo. La mia espressione si intristì e gli occhi divennero sempre più lucidi. Passai il polso su entrambi gli occhi per scacciare le lacrime, ormai intente a scivolare sulle guance. Aprii il beauty e iniziai a prepararmi: iniziai stendendo il correttore sulle occhiaie e sulle imperfezioni del viso. Con la spugnetta sfumai, ed essa si bagnò leggermente, inumidita dalle piccole gocce di lacrime rimaste sotto gli occhi. Sistemai le sopracciglia e riempii i piccoli buchetti che rimanevano tra i peli delle sopracciglia. Passai agli occhi stendendo ombretto, eyeliner, matita e mascara. I miei occhi stanchi rimanevano, ma perlomeno avevo un po' rimediato a quella stanchezza che mi stava divorando dentro da ormai troppo tempo. Iniziai a passare con movimenti circolari il blush sulle guance: non volevo sembrare una maschera di trucco, ma neanche un cadavere. Passai a contornare le labbra con la matita nel modo più preciso possibile, per poi riempirle con un rossetto bordeaux e uno strato di gloss trasparente. Guardai allo specchio la mia immagine riflessa: ero soddisfatta di come risultavo, ma dentro mi sentivo una merda, piena di sensi di colpa. Cercai di spazzare via quei pensieri dalla mia testa, passando ad acconciare i miei capelli: applicai un sacco di gel e poi decisi di legarli in una sottospecie di coda, lasciando due ciuffetti davanti. Un'acconciatura che richiamava i mitici anni 2000. Ero sempre stata convinta di essere nata nell'epoca sbagliata. Generalmente non ero una tipa gelosa, ma l'invidia che provavo per le ragazze che erano state adolescenti negli anni 2000 era indescrivibile. Uscii dal bagno a passo rapido, tirando una rapida occhiata all'orologio a muro posto sopra il mio letto. Il timore di arrivare tardi, essendo una ritardataria cronica era indescrivibile. Mi svestii, facendo scivolare la caldissima tuta di stitch per terra. Slacciai anche il reggiseno e feci scivolare giù per le gambe gli slip. Iniziai poi a frugare nei cassetti, pescando la biancheria intima: un set di pizzo nero. Mi infilai le mutandine saltellandoci dentro e mi allacciai, con non poche difficoltà, il reggiseno. Mi osservai nella specchiera sopra ai cassettoni, cercando di riflettere su che cosa abbinare al makeup.

"Cazzo dove sono?!" sussurai a denti stretti non trovando le collante.

"Eccole!" esclamai soddisfatta non appena le trovai. Le indossai e poi mi misi alla ricerca dell'outfit: alla fine scelsi una minigonna nera e un body stretto, dello stesso colore e scoperto sulla schiena. Mi girai e rigirai, per verificare che non fossi troppo scoperta. Aprii poi l'armadio da cui pescai un giubbino di pelle color porpora. Chiusi le ante di botto e mi catapultai alla scarpiera, dove trovai le scarpe perfette. Delle décolleté di un colore analogo rispetto alla giacca. Me le infilai e iniziai a fare delle passerelle avanti e indietro per il perimetro della mia stanza. Spalancai poi i cassetti del portagioie, scegliendo il mio bracciale preferito, pieno di charms di Pandora. Allacciai poi la collana con i ciondoli che componevano la scritta "Jade" e pescai dall'armadio la minibag nera di diesel. Appoggiai infine gli occhiali da sole sulla testa e uscii dalla mia camera, scendendo le scale con fierezza. Il suono del clacson mi risvegliò dalle mie fantasie, in cui ero una modella di Victoria's Secret che sfilava sulle passerelle più famose del mondo. "Come siamo belle stasera!" esclamò mia madre sorpresa "Non avrai freddo?" continuò mio padre quando riuscì a serrare la mandibola. "Papà non preoccuparti, siamo ad ottobre, ma le giornate sono ancora calde rispetto alla media stagionale. Non aspettatemi svegli". esclamai non prima di destinare loro un bacio volante. Varcai la porta di casa e percorsi il sentiero di ciottoli che si trovava subito dopo l'entrata di casa mia. Arrivai alla staccionata e notai che Sasha era lì: era perfetto, appoggiato alla fiancata della sua macchina, a piedi incrociati e con una sigaretta incastrata tra le labbra. Aveva i capelli gellati indietro e indossava una camicia bianca con le maniche risvoltate sugli avambracci, i pantaloni neri fasciavano le sue gambe longilinee e indossava dei mocassini scuri e lucidi. Un sorriso timido gli si stampò sulle labbra e arricciò il naso all'insù. Era così tanto bello da sembrare surreale. Io e Sasha ci conoscevamo da anni ed eravamo sempre stati buoni amici, ma avevo il presentimento che i suoi sentimenti nei miei confronti stessero cambiando. Stavamo diventando adulti, non eravamo più bambini, e neppure ragazzini. La vita dura, quella reale e che non fa sconti a nessuno stava diventando sempre più chiara davanti ai nostri occhi e la consapevolezza di non poter più vivere solo e soltanto sulle spalle dei miei genitori stava diventando sempre più una certezza. Le mie labbra si curvarono naturalmente in un sorriso e Sasha lasciò cadere a terra la sigaretta, per poi calpestarla, fino a ridurla in cenere. Sasha si avvicinò a me e ci scambiammo degli sguardi, in silenzio, senza fiatare. Sentivo un'immensa connessione tra me e lui, una scarica elettrica che mi passava nelle vene, riuscivo a percepire il sangue scaldarsi e i muscoli bloccarsi dinnanzi a lui. Non provavo nulla, eppure Sasha era capace di scatenarmi quel qualcosa che nessuno riusciva a scatenarmi. Sasha era il mio uragano. Un'amicizia, grande, pura, un amico di cui sapevo di potermi fidare. Sasha si avvicinò a me, mi appoggiò le mani sulle spalle e mi carezzò la schiena, per poi avvolgermi le braccia intorno alla schiena. Avvolsi le braccia intorno al suo collo. Sasha avvicinò poi la bocca al mio orecchio e pronunciò sotto voce: "Sei Bellissima Annabeth". 3 parole, che riuscirono a scatenarmi di tutto dentro. Avvicinai a mia volta le labbra al suo orecchio sinistro: "Anche tu Nikita". Nikita era il secondo nome di Sasha, aveva origini ucraine e nessuno lo chiamava così, ma io sì. Ci staccammo, e con il subbuglio ancora nello stomaco, ci dirigemmo verso la sua macchina: una Ford Fiesta usata del 2010, un po' sgangherata ma accogliente e riconoscibile.

"Prima le signore!" mi disse Sasha ridendo e spalancandoni la portiera che portava al sedile del passeggero. Lo guardai negli occhi sorridendo e poi salii: lì ad aspettarmi c'era un enorme mazzo di rose rosse con un bigliettino che recitava: "per Jade, l'amica più dolce, intelligente e bella che potrei desiderare". Spalancai la bocca con gli occhi lucidi, mi voltai e mi lanciai nelle braccia di Sasha che, con una stretta titubante ma decisa, avvolse l'interezza del mio corpo.

"Ti voglio tanto bene, Sasha Nikita Petrenko Rogers!" esclamai accoccolata tra le sue braccia.

"Anche io te ne voglio, Jade Annabeth Stones, sei la mia piccola peste". pronunciò lui stringendomi come fossi la cosa più preziosa che avesse. Sentivo che Sasha non voleva perdermi, mi desiderava, mi voleva, e sentivo anche che non mi avrebbe abbandonata. Ci allontanammo per un attimo, attimo che lui sfruttò per accarezzarmi la guancia. Presi il mazzo di rose tra le braccia e dissi a Sasha di scattarmi una foto.

"Cheese!" esclamai con un sorriso a 32 denti. Adagiammo poi il mazzo nei sedili posteriori, trattandolo come un bimbo, addirittura allacciandogli la cintura di sicurezza.

Salimmo in macchina, ci allaciammo le cinture, Sasha afferrò il volante e poi mise sulla radio una Playlist, la Playlist del mio cantante preferito: The Weeknd. Se l'era ricordato, Sasha aveva studiato tutto nei minimi dettagli per assicurarmi un appuntamento da 110 e lode. Pochi istanti dopo ci ritrovammo a cantare le strofe di "Call out my name"

So call out my name

Call out my name when I kiss you so gently

I want you to stay

I want you to stay, even though you don't want me

Girl, why can't you wait?

Girl, why can't you stay 'til I fall out of love?

Won't you call out my name?

Girl, call out my name, and i'll be on my way and

I'll be on mine

Sasha cantava a squarciagola, nonostante tenesse lo sguardo fisso, sulla strada, prudente. Questo mi faceva piacere, Sasha era attento, premuroso, aveva la testa sulle spalle, nonostante la sua fosse calda come poche. Nonostante tutte le cazzate, Sasha era Sasha: era un ragazzo meraviglioso, anche se poteva risultare burbero, cattivo ragazzo come tutti gli altri, non era affatto così, e, qualsiasi ruolo volesse interpretare nella mia vita, lo avrei desiderato per sempre al mio fianco.

𝑺𝑷𝑨𝒁𝑰𝑶 𝑨𝑼𝑻𝑹𝑰𝑪𝑬🚬
𝑪𝒊𝒂𝒐 𝒂 𝒕𝒖𝒕𝒕𝒊/𝒆! 𝑫𝒐𝒑𝒐 𝒖𝒏𝒂 𝒅𝒆𝒄𝒊𝒏𝒂 𝒅𝒊 𝒈𝒊𝒐𝒓𝒏𝒊 𝒅𝒊 𝒂𝒔𝒔𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒑𝒐𝒔𝒔𝒐 𝒇𝒊𝒏𝒂𝒍𝒎𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒅𝒊𝒓𝒆 "𝑴𝑨𝑹𝑰𝑲𝑨 𝑰𝑺 𝑩𝑨𝑪𝑲"! 𝑵𝒐𝒏 𝒑𝒐𝒕𝒓𝒆𝒊 𝒆𝒔𝒔𝒆𝒓𝒆 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒇𝒆𝒍𝒊𝒄𝒆 𝒅𝒊 𝒆𝒔𝒔𝒆𝒓𝒆 𝒕𝒐𝒓𝒏𝒂𝒕𝒂, 𝒄𝒐𝒏 𝒒𝒖𝒆𝒂𝒕𝒐 𝒄𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝒅𝒂𝒍 𝑷𝑶𝑽 𝒅𝒊 𝑱𝒂𝒅𝒆 𝒄𝒉𝒆 𝒉𝒐 𝒂𝒎𝒂𝒕𝒐 𝒔𝒄𝒓𝒊𝒗𝒆𝒓𝒆. 𝑳𝒂 𝒄𝒉𝒊𝒎𝒊𝒄𝒂 𝒕𝒓𝒂 𝑱𝒂𝒅𝒆 𝒆 𝑺𝒂𝒔𝒉𝒂 𝒄𝒓𝒆𝒔𝒄𝒆 𝒔𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 𝒅𝒊 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒆, 𝒇𝒐𝒓𝒔𝒆, 𝒍𝒂 𝒍𝒐𝒓𝒐 𝒔𝒊 𝒔𝒕𝒂 𝒕𝒓𝒂𝒔𝒇𝒐𝒓𝒎𝒂𝒏𝒅𝒐 𝒊𝒏 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒄𝒐𝒔𝒂 𝒅𝒊 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒅𝒊 𝒖𝒏'𝒂𝒎𝒊𝒄𝒊𝒛𝒊𝒂. 𝑵𝒐𝒏 𝒗𝒐𝒍𝒆𝒗𝒐 𝒂𝒏𝒏𝒐𝒈𝒍𝒊𝒂𝒓𝒗𝒊 𝒕𝒓𝒐𝒑𝒑𝒐 𝒄𝒐𝒏 𝒍𝒂 𝒗𝒊𝒄𝒆𝒏𝒅𝒂 𝒅𝒊 𝑨𝒗𝒂𝒏𝒏𝒂, 𝒏𝒐𝒏𝒐𝒔𝒕𝒂𝒏𝒕𝒆 𝒍𝒆𝒊 𝒓𝒊𝒎𝒂𝒏𝒈𝒂 𝒑𝒊𝒆𝒏𝒂𝒎𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒍𝒂 𝒑𝒓𝒐𝒕𝒂𝒈𝒐𝒏𝒊𝒔𝒕𝒂, 𝒎𝒂 𝒗𝒐𝒍𝒆𝒗𝒐 𝒅𝒆𝒍𝒊𝒛𝒊𝒂𝒓𝒗𝒊 (𝒔𝒑𝒆𝒓𝒐) 𝒄𝒐𝒏 𝒒𝒖𝒂𝒍𝒄𝒉𝒆 𝒄𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒐 𝒅𝒂𝒍 𝑷𝑶𝑽 𝒅𝒊 𝑱𝒂𝒅𝒆!! 𝑨𝒔𝒑𝒆𝒕𝒕𝒂𝒕𝒆𝒗𝒊 𝒏𝒖𝒐𝒗𝒊 𝒄𝒂𝒑𝒊𝒕𝒐𝒍𝒊 𝒔𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 𝒑𝒊𝒖̀ 𝒔𝒄𝒐𝒑𝒑𝒊𝒆𝒕𝒕𝒂𝒏𝒕𝒊.
𝑼𝒏 𝒔𝒂𝒍𝒖𝒕𝒐 𝒆 𝒖𝒏 𝒃𝒂𝒄𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒅𝒂𝒍𝒍𝒂 𝒗𝒐𝒔𝒕𝒓𝒂 𝒎𝒂𝒓𝒊𝒊❤️

𝓐𝓻𝓻𝓱𝔂𝓽𝓱𝓶𝓲𝓪: 𝒉𝒆𝒂𝒓𝒕𝒃𝒆𝒂𝒕𝒔 ♥︎Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora