Note introduttive:
Saaaalve a tutti. Bene, da dove iniziare? Partiamo da qui: questa storia non mi appartiene, è tratta/ispirata/rivisitata dal libro "Every Day" (Ogni Giorno) di David Levithan.
Ieri, rispolverando la mia preziosa libreria mi sono imbattuta nuovamente in questo piccolo capolavoro. Okay, forse definirlo capolavoro è un po' esagerato, ma ognuno trae dai libri la propria bellezza, suppongo.
Posso solo dirvi che sono tanto, davvero troppo, innamorata di quel libro e, sebbene dopo la prima lettura non mi abbia fatto pensare ad una sua rivisitazione in chiave Camren; dopo ieri, assolutamente sì. Diciamo pure che questo è un mio umile omaggio ad uno scrittore che adoro.
I personaggi non mi appartengono, né quelli descritti nella storia, né i personaggi del libro.
Bene, che altro dirvi? Nulla, altrimenti mi dilungherei un po' troppo. Vi lascio alla lettura del primo capitolo e ci rivediamo sotto per altri chiarimenti sulla storia/curiosità/simili.
"Who are you today?
'Cause I am still the same."
CAPITOLO 1.
Non ho mai pensato che un giorno, un solo giorno, nella vita di qualcuno potesse mai fare così tanto la differenza. Voglio dire, possono succedere tante cose in un giorno, ci s'innamora nella frazione di un secondo ma ci si conosce davvero in un lungo arco di tempo. Ci si ferisce o si combinano guai in pochi attimi, ma ci vuole del tempo per perdonarsi.
Tempo.
Questa parola non mi è mai sembrata tanto inquietante e bella nello stesso momento.
Cos'è il tempo dopotutto? Convenzione instaurata dagli uomini o qualcosa di sempre esistente?
E quanto è lungo il tempo?
A volte, soltanto un secondo.
Quel giorno, è stato quello il giorno che ha cambiato per sempre la mia esistenza.
Perché esistenza e non vita? Perché io non ho una vita. Non una mia vita. Potrei piuttosto dire che prendo in prestito quella degli altri.
Ma questa è una storia più lunga e complicata.
Vi spiacerebbe se partissi dall'inizio?
Bene. Partiamo da quel giorno allora.
Giorno 5994.
Mi sveglio.
Devo immediatamente capire chi sono. E non mi riferisco solo al corpo. Non basta aprire gli occhi e scoprire se la carnagione del mio braccio è chiara o scura, se ho i capelli lunghi o corti, se sono grassa o magra, se effettivamente sono una ragazza o un ragazzo, se ho cicatrici o una pelle liscia e vellutata. Il corpo è la cosa più semplice cui adattarsi quando si è abituati ad averne uno nuovo a ogni risveglio. È la vita, il contesto attorno al semplice corpo fisico, che a volte è difficile da comprendere.
Ogni giorno sono una persona diversa. Sono me stessa- so di essere me stessa – ma nello stesso tempo sono qualcun altro.
È sempre stato così.
Le informazioni di cui ho bisogno sono lì che mi aspettano. Mi sveglio, apro gli occhi, mi rendo conto che questo è un nuovo mattino, un nuovo posto.
Ecco affiorare i dettagli biografici, un regalo di benvenuto da parte di quell'angolo della mente che non mi appartiene davvero.
Oggi sono Austin. Non so come, ma lo so. Mi chiamo Austin. Allo stesso tempo, però, so di non essere davvero Austin.
Mi limiterò a prendere in prestito la sua vita per un giorno.
Con un'occhiata capisco di trovarmi nella sua camera. Questa è casa sua. La sveglia si disattiverà fra sette minuti esatti. Capisco senza troppe cerimonie che Austin non è esattamente il tipo da svegliarsi prima ma oggi Austin è me – o meglio, io sono lui – e la prima incongruenza che apporto nella sua vita sono i sette minuti della sveglia in anticipo.
Non sono mai la stessa persona due volte, ma in passato sono già stata un tipo simile ad Austin: vestiti sparsi dappertutto e molti più videogiochi che libri.
Austin dorme in boxer, fuma, a giudicare dal sapore che ha in bocca, ma non tanto da desiderare una sigaretta appena sveglio.
<< Buongiorno, Austin >> dico per ascoltare il suono della sua voce, e forse anche in modo autoironico. Per oggi appartieni a me, Austin. Spiacente se non sei esattamente d'accordo.
Il suo tono è basso. La voce nella mia mente è sempre diversa.
Austin non è il tipo da prendersi molta cura di sé. Il cuoio capelluto prude e mi da una mezza idea di una doccia prima di andare a scuola.
Gli occhi faticano a restare aperti. Capisco che non aver dormito molto ieri notte.
Ho già la sensazione che questa giornata non mi piacerà.
Quando capito nel corpo di qualcuno che non mi va a genio, devo comunque rispettarlo, per quanto sia difficile.
In passato ho rovinato la vita ad alcune persone, e ho scoperto che ogni errore commesso finisce poi per tormentarmi anche se non sarò mai più quell'individuo e non saprò le reali conseguenze, a lungo termine o meno, del mio gesto. Perciò cerco di fare attenzione.
Inesperienza, direte?
Mi dispiace deludervi, ma non sono così gentile con me stessa.
Per esperienza posso dire che abito sempre individui della mia età. Non passo da un sedicenne a un sessantenne; al momento ci sono soltanto sedicenni, quindi immagino che questa debba essere la mia età.
Non so di preciso come funzioni o perché, ho smesso di domandarmelo da un bel pezzo.
Non credo che arriverei comunque mai a capirlo, così come chiunque altro non capirà mai del tutto la propria vita. Insomma, dopo un po' non resta che accettare pacificamente che si esiste.
E la routine continua senza fermarsi.
Non c'è modo di comprenderne la ragione, si possono avere delle teorie, ma non si potrà mai contare su una reale prova tangibile.
Che altro dire di me quando non ho un corpo da definire? Oh, abbiamo appena cominciato.
Ho accesso ai fatti, non ai sentimenti. Per capirci: so che questa è la stanza di Austin, ma non so se a lui piaccia o meno, ha in mente di uccidere la madre nella camera qui affianco o si sentirebbe perso se lei non entrasse come al solito per assicurarsi che sia sveglio?
Proprio non posso saperlo.
È come se una precisa parte di me andasse a sostituire quella stessa precisa parte della persona in cui mi trovo; e anche se sono felice di poter continuare a ragionare con la mia mente, un indizio su come ragiona l'altro ogni tanto tornerebbe utile.
Custodiamo tutti dei misteri, specie se ci osserviamo da dentro.
Oh a proposito, la sveglia ha suonato alla fine, e in questo preciso momento ha smesso.
Sette minuti, ripenso. Sette minuti nel corpo di Austin.
Non che conti il tempo realmente, sono solo ventiquattr'ore.
Sempre ventiquattr'ore.
Recupero una maglia e un paio di jeans, ma qualcosa mi dice che ho scelto la stessa maglia che Austin indossava ieri.
Nessun rimasuglio di ieri? No... non ancora.
Ne prendo un'altra, porto i vestiti in bagno e dopo la doccia li indosso.
La madre di Austin è in cucina. Lei non immagina che qualcosa sia cambiato.
Punto per me. Non posso lasciare che gli altri se ne accorgano, non è la mia vita.
Sedici anni sono un bel po' di tempo per fare pratica e di regola non commetto errori. Non più.
È facile decifrare sua madre. Di mattina Austin non parla molto, quindi non sono tenuta a farlo. Ormai sono diventata piuttosto brava a intuire le aspettative o l'indifferenza altrui, per cui non sono affatto sorpresa quando mi rivolge un breve sorriso come buongiorno ma resta in silenzio.
Butto giù un paio di cucchiaiate di cereali, abbandono la tazza nel lavello senza risciacquarla, - Austin non è solito fare nemmeno questo – recupero le chiavi della sua auto ed esco.
Ieri ero una ragazza di una città a due ore da qui, il giorno prima un ragazzo a tre ore di distanza da lei. Inizio già a dimenticare i dettagli delle loro vite. Devo farlo, altrimenti non ricorderei chi sono davvero io. L'unica cosa importante di cui ho certezza.
L'autoradio di Austin è sintonizzata su una pessima stazione che trasmette pessima musica dove i deejay fanno pessime battute nel tentativo di tirare mezzogiorno.
Preferirei decisamente della buona musica, qualsiasi genere andrebbe bene, ma della musica; una delle poche cose che potrebbe migliorare l'inizio di questa giornata.
Non mi serve sapere altro, davvero.
Accedo alla mente di Austin solo per capire quale strada prendere per arrivare a scuola, dove parcheggiare, a quale armadietto andare, la combinazione e i nomi degli studenti che riconosce nei corridoi.
A volte non riesco proprio a sostenerla questa trafila: mi manca la voglia di andare a scuola e di capire come fare per arrancare a sera. In quei casi dico semplicemente che non mi sento bene e rimango a letto, a leggere un po'. Ma anche questa routine col procedere può diventare noiosa e la prospettiva di una nuova scuola, nuovi amici per un giorno, torna a intrigarmi.
Ma è tutto lì. Per un giorno.
Accedo nuovamente alla mente di Austin per sapere quali libri prendere dall'armadietto quando avverto una presenza. Mi volto e mi ritrovo davanti ad una ragazza trasparente: esitante e in attesa, nervosa e adorante. Questa volta non mi serve un accesso per capire che è la ragazza di Austin. Nessun altro reagirebbe così di fronte a lui. È carina, ma non se ne rende conto; nasconde il viso dietro i lunghi capelli castani all'apparenza morbidi, è un po' felice e un po' no di vedermi.
Si chiama Camila e per un istante – appena la frazione di un secondo- penso che sì, è il nome appropriato. Non so perché, non la conosco, eppure mi sembra appropriato.
Non si tratta di un pensiero di Austin. È mio e provo a ignorarlo. So che non è con me che Camila vuole parlare.
<< Ehi >> dico con estrema disinvoltura.
<< Ehi >> mormora lei di rimando.
Tiene gli occhi bassi, puntati sulle sue Converse: le ha personalizzate, disegnando attorno alle suole il profilo di una città, hanno la punta un po' rovinata e scura ma non ci faccio troppo caso.
Tra lei e Austin è successo qualcosa, ma non so bene cosa, la mente di Austin non mi aiuta.
Probabilmente, decreto, è qualcosa di cui Austin non si è nemmeno accorto.
<< Tutto bene? >> chiedo.
Per quanto si sforzi, Camila non riesce a mascherare il suo stupore. Non è una domanda che Austin le pone spesso.
Punto in meno per me.
Attenta L.
Sapete cosa? Non m'importa: anche se è strano, voglio saperlo davvero, e il fatto che ad Austin non interesserebbe me lo fa desiderare ancora di più.
<< Certo >> risponde lei, nient'affatto sicura.
Trovare il suo sguardo è difficile. Per esperienza so che ogni ragazza dall'aria qualunque custodisce dentro di sé una verità decisiva. Camila sembra nascondere bene la propria, ma vorrebbe che io la notassi. Meglio, vorrebbe che Austin la notasse.
Quella verità è lì, poco fuori dalla mia portata. Un suono che aspetta di essere articolato in una parola.
Camila è così triste che non si accorge nemmeno di quanto sia evidente la sua infelicità. La capisco, per un solo istante mi faccio forte di quella pretesa; poi però da dentro quella tristezza brilla un sorprendente lampo di determinazione. Oserei definirlo d'impavidità.
Alza gli occhi da terra e incrocia il mio sguardo.
<< Ce l'hai con me? >> chiede.
Non mi viene in mente nessuna ragione plausibile per essere avercela con lei, semmai con Austin poiché la tratta in questo modo.
Il linguaggio corporeo di Camila non fa che sottolineare la crescente mortificazione di quel qualcosa che ancora mi sfugge.
Quando è in compagnia di Austin, questa ragazza rimpicciolisce.
<< No, per niente >> rispondo.
È ciò che vuole sentire, ma non mi crede. Le sto offrendo le parole giuste, ma è sospettosa quasi temesse una minaccia celata dietro esse.
Non sono affari miei. Lo so. Me lo ripeto. Ancora.
Sei qui solo per un giorno L.
Sono qui solo per un giorno, continuo a dirmi.
Non posso risolvere i problemi del fidanzato di chiunque mi capiti a tiro, non posso – non dovrei – alterare la vita di nessuno.
Lo so.
Distolgo lo sguardo da Camila, recupero i libri che mi servono e chiudo l'armadietto.
Dovrebbe essere semplice, automatico. È tutt'altro.
Camila non si muove, paralizzata dalla profonda e disperata solitudine di una pessima relazione.
<< Hai ancora voglia di pranzare con me, oggi? >> chiede quasi timorosa.
Risponderle di no renderebbe le cose più semplici, più automatiche appunto. Mi succede spesso: quando la vita dell'altra persona inizia a risucchiarmi, io mi precipito nella direzione opposta.
Eppure c'è qualcosa in Camila, qualcosa nel modo di fare, di parlare, di guardarmi persino, che ha ormai acceso in me la voglia di scoprire quale sia la parola che darà forma a quel suono. Spero inconsciamente che smetta di essere soltanto un suono.
Nel corso degli anni ho incontrato moltissime persone senza arrivare a conoscerle davvero, e invece stamattina, in questa stupida scuola, alla presenza di questa ragazza, avverto il più languido dei richiami: voglio sapere. Devo sapere.
In un momento di debolezza e di audacia, decido di assecondare quel richiamo.
<< Certo, è perfetto! >> esclamo.
Nuovamente decifrare Camila è semplicissimo: mi sono mostrata troppo entusiasta. Austin non è mai o quasi entusiasta.
<< Sembra okay >> aggiungo.
È sollevata o quel tanto che è disposta a concedersi. È una forma di sollievo molto prudente, come se dovesse contare le parole, i passi e le emozioni quando è in presenza di Austin.
Accedo in lui e scopro che stanno insieme da un anno e qualche mese. Niente di più. Austin non è il tipo da ricordare date precise, come conferma la sua memoria.
Camila mi prende per mano ed è una sensazione davvero bella, davvero non me l'aspettavo.
<< Sono felice che tu non sia arrabbiato con me. Voglio sul serio che vada tutto bene. >>
Annuisco senza dire altro. Se la vita mi ha donato un insegnamento che posso portare con me, nonostante cambi persona ogni giorno, è che ognuno di noi desidera che tutto vada bene; non ci spingiamo ad immaginare qualcosa di fantastico, incredibile o strabiliante il più delle volte, ci accontentiamo che tutto vada perché quel bene è già abbastanza.
La campanella della prima ora suona e spezza il momento.
<< A dopo >> dico.
È una promessa elementare, quasi scontata per molti, ma agli occhi di Camila rappresenta il mondo.
In principio era difficile vivere senza instaurare legami duraturi e senza mai poter incidere sulla vita degli altri. A lungo andare ti fa convincere di essere impotente sotto ogni aspetto, come se ti mancasse qualcosa di indispensabile.
Anni fa desideravo amicizia e intimità, mi gettavo a capofitto nelle relazioni senza preoccuparmi di quanto in fretta e drasticamente si sarebbero concluse.
Senza considerare i risvolti che avrebbero avuto sulla vita degli altri. Prendevo sul personale delle vite che non mi appartenevano. M'illudevo che i loro amici e i loro genitori potessero essere i miei e vivere con così tante separazioni mi faceva sempre a brandelli il cuore.
Vagabondo e, anche se la mia condizione alquanto singolare comporta un certo grado di solitudine, mi regala anche un notevole senso di libertà. Non sarò mai costretta a definire me stessa partendo da qualcun altro, non soffrirò mai la pressione delle occhiate, il fardello delle aspettative dei familiari.
Ai miei occhi ogni individuo è come la parte di un tutto ed io posso concentrarmi su quel punto meglio di chiunque altro. Non sono accecata dal passato, né motivata dal futuro. Preferisco concentrarmi sul presente, devo farlo perché è la sola dimensione che sono destinata a vivere.
Imparo. Uno dei grandi vantaggi è che posso imparare qualcosa di nuovo, capita che mi venga insegnato qualcosa che mi è già stato spiegato decine e decine di volte ma accedendo a un corpo, una mente, scopro quali informazioni vi sono custodite, e anche se non mi è permesso arrivare ai sentimenti di quella persona, imparo.
La conoscenza è l'unica cosa che mi è concesso tenere con me quando vado via.
Conosco parecchie cose che Austin ignora e che, magari, non imparerà mai.
Scrollo le spalle fra me e me: non è un mio problema.
Mi siedo al suo banco per l'ora di matematica, apro il suo quaderno pieno di appunti e numeri e dopo aver cercato una pagina bianca scrivo alcune frasi che Austin non ha mai avuto occasione di ascoltare.
Shakespeare, Kerouac, Dickinson.
Domani, un giorno o magari mai, Austin si ritroverà davanti queste citazioni scritte di suo pugno, e si domanderà da dove provengano e di chi siano.
L'ho già detto di aver capito esattamente che tipo è? Bene.
Questa è l'unica interferenza che posso permettermi nella sua vita. Tutto il resto non deve lasciare traccia del mio passaggio.
Note conclusive:
Oooookay, e questo era il primo capitolo :') in realtà nel libro è decisamente più lungo ma io ho deciso di spezzarlo, quindi il secondo riprenderà esattamente dove questo si è fermato.
Andiamo con qualche curiosità?
1. Nel libro il vero "nome" del protagonista è A, mentre qui (come avrete già avuto modo di notare) è L.
2. Motivazione? Beh questa è semplice, sembra abbastanza ovvio ma la storia è/sarà dal punto di vista di Laur- no, di L :') Lo so che sembra un tantino complicato da capire ma cercherò di essere abbastanza chiara: L non è Lauren, anche se convenzionalmente io ho immaginato la sua presenza come quella di Lauren. L è L... vi assicuro che capirete tutto e meglio più avanti.
3. Nel libro sono sporadiche le parti in cui A fa riferimento a se stesso con il femminile, mentre qui probabilmente sarà l'opposto. Inizialmente avevo pensato di alternare a capitoli i riferimenti al maschile e al femminile per L, ma ho avuto paura che si potesse creare troppa confusione.
4. È probabile (anche se non certo ancora) che lungo il corso della storia io possa inserire dei capitoli o/e delle parti che effettivamente non sono presenti nel libro. Beh, nel caso di capitoli interi v'informerò nelle note iniziali.
Beeeene, per il momento mi fermo qui, ma se avete delle domande o delle semplici constatazioni sulla storia sarò felice di rispondere :')
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Who Are You? [Camren]
Fanfiction"Da quando sono nata mi sveglio ogni giorno in un corpo diverso. Per un giorno, solo per uno, prendo in prestito la vita di qualcun altro. Nuova famiglia, nuovi amici, nuova casa e nuova scuola. La mia vita? Quella non esiste. E' una mera illus...