Capitolo 2.
Giorno 5995.
Mi sveglio e la prima cosa a cui ripenso è ieri. I ricordi mi danno gioia, ma la consapevolezza che si sia trattato di ieri mi fa male. Non sono più nel letto di Austin, né nel suo corpo.
Oggi sono Elise Smith ed Elise non ha sentito la sveglia, quindi sua madre è furiosa.
<< Elise! Vuoi alzarti? Tra venti minuti Aaron se ne va! >> urla scrollando il mio corpo ancora disteso.
<< D'accordo mamma >> mi lamento.
<< Mamma? Chissà cosa penserebbe tua madre se fosse qui adesso! >>.
Spalanco gli occhi e accedo in tutta fretta alla mente di Elise. Nonna. Mamma dev'essere già al lavoro.
Corro sotto la doccia e, nel frattempo che l'acqua mi da la solita sensazione di benessere e mi sveglia, mi rendo conto di aver sognato Camila. Mi domando se il sogno sia iniziato quando ero ancora nel corpo di Austin o no, se lui abbia continuato poi a sognarla e se si sveglierà con pensieri dolci su di lei.
Una parte di me si augura che sia stato un sogno tutto mio. Lo è stato?
<< Elise! >> sento da dietro la porta del bagno.
Giusto, devo sbrigarmi. Non posso permettermi di assentarmi.
Esco dalla doccia, mi asciugo e mi vesto in fretta. Ho modo di notare che Elise non è una di quelle ragazze popolari; le poche fotografie che tiene in camera la ritraggono con amici, ma sembrano tutto fuorché ispirate.
Il suo guardaroba sembra appartenere più ad una tredicenne che ad una sedicenne.
Non appena scendo in cucina per la colazione, nonna mi scruta.
<< Non dimenticare la chitarra >> mi ricorda.
Annuisco.
Al tavolo, seduto all'estremità opposta, c'è un ragazzo che mi fissa serio e arrabbiato. Presumo sia il fratello di Elise. Accedo in lei per la seconda volta e ne ho la certezza. Aaron, più grande di due anni ed il mio passaggio per la scuola.
Roteo gli occhi senza farmi vedere: se c'è una cosa che ho imparato, è che tutte le mattine, in quasi tutte le famiglie, sono uguali. Borbottii intorno al tavolo, o se i genitori dormono è tutto uno sgattaiolare via piano, senza farsi sentire.
Le uniche cose che possono rendere l'inizio di una giornata interessante sono le variazioni.
La prima variazione è riconducibile ad Aaron che accende uno spinello non appena saliamo in macchina.
Cerco di non mostrarmi troppo sorpresa dal momento che non ricevo "variazioni" dal corpo di Elise: evidentemente è parte della routine.
<< Non dire una parola, okay? >> l'ammonisce poco dopo il fratello.
Inarco entrambe le sopracciglia e lui aggiunge: << Non ho bisogno di un tuo giudizio sulla cosa, chiaro? >>.
Quello spinello non deve averlo affatto rilassato.
Preferisco essere figlia unica. Ammetto che i fratelli o le sorelle nel lungo periodo di tempo si dimostrano un valido aiuto, ma il problema è che io non ho dei lunghi periodi di tempo. Ho solo un giorno.
In genere è bello avere qualcuno con cui condividere i segreti di famiglia, i ricordi, una generazione addirittura. Qualcuno che ti veda sempre allo stesso modo sia che tu abbia otto anni, sia diciotto, sia cinquantotto. Davvero, è un vantaggio. Ma per me che vivo in un lasso di tempo decisamente breve, i fratelli sono una seccatura, nella migliore delle ipotesi; nella peggiore, un incubo.
Quasi tutti i soprusi che ho subito durante la mia singolare vita sono da imputare ai fratelli e le sorelle, specie se maggiori. È la fine. All'inizio la mia ingenuità mi portava a credere che loro fossero alleati per nascita, compagni di avventure, e a volte le circostanze confermavano la mia ipotesi: se, per esempio, capitavo in una famiglia in vacanza o in una domenica fiacca durante una riunione di famiglia – dove l'unico caso per potersi divertire era quello di essere "alleati" – allora le regole si sovvertivano. Nella quotidianità però la parola d'ordine è competizione, non collaborazione.
Mi è capitato di domandarmi più volte se, effettivamente, fratelli e sorelle riescano ad intuire qualcosa di diverso in chiunque mi ospiti. Chissà se presumano che qualcosa non torna.
Mi ritorna in mente un episodio di quando avevo otto anni, la mia sorella maggiore giornaliera mi disse di aspettarla mentre raccoglieva dei fiori da portare ai nostri genitori – i suoi genitori -, ci trovavamo nel bel mezzo di un boschetto vicino casa. Non avevo prestato attenzione alla strada di andata perché c'era lei a guidarmi. Ma quando iniziò a piovere a dirotto ed io iniziai a chiamarla ad alta voce, di lei non c'era nessuna traccia. Rimasi nel boschetto a vagare e cercarla, tentando invano di seguire le sue orme che il terreno fangoso cancellava. Alla fine mi arresi e mi accucciai contro il grosso tronco di un albero con le mani a coprire il viso e le orecchie per via dei tuoni, aspettando che qualcuno uscisse e venisse a riprendermi o che la pioggia smettesse.
Un'ora dopo, nostro padre riuscì a trovarmi e mi riportò a casa.
Da ragazzina ho avuto molti fratelli – maggiori e minori – che mi spintonavano, urlavano dietro, colpivano e che mi hanno affibbiato più nomignoli di quanti possa ricordare.
Il meglio in cui potevo sperare oggi era un fratello mite, Aaron all'apparenza lo era. Ma soltanto all'apparenza.
Non appena arriviamo a scuola, Aaron esce dalla sua sfera d'invisibilità, battendosi il cinque con i suoi amici, ridendo, senza augurarmi buona giornata né salutarmi. L'unica cosa che fa è fissarmi abbastanza a lungo da vedere che ho chiuso la portiera e può far scattare le serrature.
<< Chi fissi? >> chiede una voce alle mie spalle mentre sono ancora concentrata su Aaron.
Mi volto e osservo la ragazza di fronte a me, prima di accedere alla memoria di Elise.
Valerie. La mia migliore amica sin dalle elementari. Beh, la migliore amica di Elise almeno.
<< Aaron >>.
<< Per quale motivo? È figo, ma è un tale idiota >>.
<< Ehi! Non è così! >> l'ammonisco.
Non so nemmeno perché lo faccio giacché, in effetti, era ciò che io stessa pensavo.
Suppongo che lei sappia qualcosa che io non so, ma decido di non fare domande.
Scuote il capo felice di poter cambiare argomento.
<< Che hai fatto ieri sera alla fine? >> mi chiede.
Nella mia mente subito schizzano e si susseguono i ricordi del tempo trascorso con Camila e tenerli a bada non è semplice. Non è semplice non lasciarmici trasportare dentro.
Una volta sperimentata l'immensità, ce la troviamo ad aspettarci ovunque posiamo lo sguardo, in ogni parola, in ogni particolare.
<< Niente di che >> la risposta è vaga, ma è quella che funziona sempre meglio di tutte.
<< Tu? >>
<< Allora non hai davvero ricevuto il mio messaggio! >> esclama come se fosse stata colta da un'illuminazione.
Scuoto la mano per aria.
<< Il telefono era morto >> mormoro.
<< Oh... beh, stai a sentire: Kevin mi ha contattata! Siamo stati a chattare per tutta la sera >> batte le mani eccitata come una bambina di fronte al suo regalo di compleanno.
<< Wow >> non sono affatto sorpresa.
<< Già >> sospira lei con aria sognante. << Pensavo che non si ricordasse di me, dopo quella festa in cui ci siamo conosciuti. A proposito, sei stata tu a dargli il mio numero? >> mi domanda dubbiosa.
Accedo alla svelta in Elise. Questo è il genere di domanda che ti porta all'errore, magari non adesso, ma in futuro. Se Elise rispondesse di non averlo fatto, e Valerie scoprisse il contrario, la loro amicizia potrebbe risentirne, proprio come potrebbe succedere se si verificasse il contrario.
Scopro che Kevin è Kevin Hoodle, un ragazzo del terzo anno per cui Valerie ha una cotta da qualche mese.
Elise non lo conosce bene, e non riesco a trovare alcun ricordo significativo che la colleghi a lui. Quindi credo di non correre alcun rischio.
<< No >> scuoto il capo. << Non ho fatto nulla >>.
<< Allora si sarà dato davvero da fare per scoprirlo >>.
"Come se un qualsiasi social network non potesse dargli l'informazione che desidera." Penso con sarcasmo, e la cosa mi fa sentire un po' in colpa.
Questo è l'aspetto peggio di capitare nella vita di qualcuno che abbia dei migliori amici con cui non ho alcuna affinità: non concedo loro il beneficio del dubbio. E c'è da dirlo, molto spesso l'amicizia è basata sul beneficio del dubbio.
Valerie è comunque al settimo cielo per la faccenda di Kevin, quindi mi fingo emozionata anche io per lei. Non appena ci dividiamo, per seguire la lezione della prima ora, avverto una sensazione farsi strada in me. Mi stringe lo stomaco in una morsa e capisco di non poterla tenere a bada: gelosia.
So di essere gelosa del fatto che Valerie possa avere Kevin, parlarci, vederlo, toccarlo; mentre io non posso avere Camila.
"È ridicolo, L! Sei ridicola." mi schiaffeggio mentalmente.
Un'esistenza come la mia non può cedere alla gelosia. Se commetti quest'errore, la gelosia ti fa a pezzi.
Terza ora, lezione di musica. Alla fine ho davvero dimenticato la chitarra, questa mattina. Così Elise si becca una nota ed è costretta a partecipare comunque alla lezione. Non mi dispiace. Ho sempre e comunque avuto bisogno della musica durante il corso della mia vita, era una delle cose che mi dava forza per andare avanti ed ispirazione.
All'ora di pranzo so che le voci su Valerie e Kevin hanno già fatto il giro dei nostri amici. Tutti si mostrano entusiasti, ma non so bene se sia davvero per loro due o perché finalmente Valerie, passata la cotta, smetterà di parlarne.
Quando incontro Kevin in mensa sono sorpresa di scoprire quanto sia insignificante come personalità. Quasi sorpresa... raramente le persone si mostrano all'altezza delle aspettative e raramente si mostrano attraenti quanto agli occhi di chi è innamorato di loro.
Però trovo piuttosto incoraggiante che l'affetto agisca sulla semplice percezione fisica, fino a modificarla quasi.
Kevin viene al nostro tavolo soltanto per salutare Valerie. E wow. Devo sul serio stare attenta che non mi svenga addosso.
La combriccola di Elise comunque non sembra dedita ad argomenti come il sesso, piuttosto sognano il romanticismo, le serenate, i baci.
Vorrei scappare. Saltare il resto delle ore scolastiche. Ma senza Camila a tenermi la mano, che canta con me sulle canzoni che passano in radio, che mi stringe, non è la stessa cosa. Quasi una perdita di tempo.
È sempre stato così, è raro che io trovi uno scopo davvero soddisfacente nelle mie giornate. Ieri l'ho avuto. Ieri era un altro mondo e vorrei tornarci.
All'inizio della sesta ora, l'altoparlante richiama mio fratello in presidenza, proprio mentre io varco la porta della classe.
Credo di aver sentito male, ma quando noto gli sguardi degli altri pesare su di me, sono sicura di aver sentito bene.
Non ho realmente paura. Se fosse successo qualcosa di grave in famiglia, avrebbero chiamato entrambi.
Valerie mi passa un bigliettino piegato in quattro: "Che ha combinato stavolta?"
Non lo so. Come posso saperlo? Scrollo le spalle.
Quasi a fine ora, chiedo il permesso di uscire dall'aula per andare in bagno.
Qualcuno mi afferra la mano. Aaron.
Aaron con il naso sanguinante e il labbro rotto.
<< Cos- >>.
<< SH! Seguimi >>.
<< Che cosa hai fatto? >>.
Si guarda intorno prima di rispondere. Lo seguo fin sotto le gradinate del campo da football.
<< È uno scherzo o cosa? >>.
<< Ti sembra uno scherzo questo? >> replica infuriato indicando la sua faccia.
<< Allora parla >> incrocio le braccia al petto in attesa.
<< Sono nei guai. Garantito >>.
<< Ho sentito che ti hanno convocato in presidenza. Che cosa è successo? >>.
<< Sono scappato... cioè, prima che mi facessero entrare >>.
Inarco entrambe le sopracciglia.
<< Sei... scappato? >> chiedo incerta.
Annuisce.
<< Chi è stato a colpirti? >>.
<< Questo non è importante, Elise! >>.
<< Beh lo sarebbe, se tu iniziassi a dirmi qualcosa di concreto! >> esclamo spazientita.
Aaron non dev'essere abituato a vedere la sorella rispondergli con questo tono. Ecco spiegata la sua faccia stupita.
<< Telefoneranno a casa. Ho bisogno che tu mi copra >> mi porge le chiavi della macchina << Controlla la situazione a casa, ti chiamo appena posso >>.
Afferro il mazzo. Almeno so guidare.
<< Grazie >> deve costargli un po' dire quella parola perché vedo la sua faccia piegarsi in una smorfia.
<< Vedo che non sei morto mentre lo dicevi, prendi nota anche per una prossima volta >> replico con sarcasmo.
Aaron se ne va senza salutarmi.
<< Tuo fratello e James Douglass hanno litigato mentre erano al campo da football per gli allenamenti. Dicono che c'entri della droga e wow Elise... voglio dire, sapevo che tuo fratello fumasse erba, ma addirittura spacciarla in giro. Sono stati chiamati in presidenza ma poi Aaron è scappato via >>.
Eccola la notizia che ha fatto il giro della scuola per le ultime due ore. I mormorii intorno a me e le occhiate si fanno insistenti ogni secondo di più. Alla gente non importa che sia tutto inventato, tutto vero o metà e metà. Questa è la notizia. Devono per forza saperla tutti.
<< Chi te l'ha detto? >> domando aggrottando la fronte.
Non sapevo ancora la causa del litigio fra mio fratello e James. Era così?
<< Kevin! >> mi risponde Valerie tutta eccitata.
Errore mio: è questa la notizia allora. Per Valerie è questa. Il fatto che Kevin le abbia parlato.
Non è così egoista da pretendere che io sia felice per lei, dal momento che mio fratello è nei guai, ma l'ordine delle sue priorità è chiaro.
<< Devo tornare a casa. Non oso pensare cosa diranno i miei della faccenda di Aaron >> ammetto.
<< Vuoi che venga con te? >> domanda lei.
Il pensiero di avere compagnia mi sfiora, ma il dettaglio che non sia esattamente la compagnia che desidero è più forte. Scuoto il capo.
<< No, va bene così >>.
Valerie mi stringe il braccio come se volesse mostrarmi sostegno. Continuo a non sentirla vicina. Mi affretto a tornare a casa.
Non appena varco l'uscio, l'interrogatorio comincia.
<< Dov'è Aaron? >>.
<< Non lo so >> è la verità e sono grata che Aaron non me l'abbia detto.
Mio padre mi fissa con sguardo indecifrabile, so che è terribilmente arrabbiato e questa è una situazione davvero insolita nella mia famiglia.
<< L'hai lasciato andare via? Elise! Eravate a scuola insieme, non mentire! >> mio padre mi afferra per le spalle. Non ha alcuna intenzione di alzare le mani, lo capisco, ma sta iniziando a spaventarmi un po'.
<< Non sta mentendo. So riconoscere quando lo fa >> accorre in mia difesa la madre di Elise.
Mia madre.
Papà annuisce rigidamente.
<< D'accordo, ma non puoi negare che lo difende sempre >> tuona rivolto verso mia madre. << Adesso ci dirai tutto quello che è successo! >>.
<< Ti assicuro che non ne so nulla >> ribatto tentando di scrollarmi la presa di dosso.
<< Perché tuo fratello e James Douglass avrebbero dovuto litigare? Sono amici >>.
Amici? Un vago ricordo di colui che dovrebbe essere James mi salta in mente.
Sì, fidandomi di ciò che trovo in Elise, dovrebbero essere buoni amici. O dovrebbero essere stati.
Quella situazione mi fa prendere in considerazione l'idea di accettare lo spinello che Aaron aveva stamattina.
<< È uno spacciatore? Cosa avete fatto ieri sera a quella festa? Eri con lui? C'entri anche tu? >> la raffica di domande mi stordisce.
Festa? Quale festa? L'unica cosa che riesco a ricordare di ieri sera è Camila. Camila e la sua voce al telefono. Camila e il suo respiro leggero.
<< Elise! >> mi richiama mio padre.
Accedo tempestivamente in lei e scopro che non c'è traccia di alcuna festa.
<< No. Non ero a nessuna festa ieri sera >>.
<< È uno spacciatore? >> ripete.
Questa è una bella domanda. Percepisco che Aaron non lo sia, ma tutto dipende da cosa è successo davvero al campo da football con James Douglass.
<< James dice che è stato tuo fratello a vendergli la droga >> continua.
<< Hanno trovato droga addosso ad Aaron? Nel suo armadietto? L'avete trovata in camera sua? >> replico io.
Mia madre sembra presa alla sprovvista perché scuote il capo ma posso vedere i suoi occhi spalancarsi di più.
Sbuffo.
<< So che avete frugato nella sua camera >> dico ovvia.
Tipico dei genitori.
<< Ma certo che l'abbiamo fatto. Anche nella tua >> attacca mio padre.
Inarco un sopracciglio.
<< Pensavate davvero che la nascondesse da me? >>.
<< Ci dispiace tesoro, noi... >> cerca di scusarsi mia madre, ma sollevo la mano per far capire che è tutto okay.
<< Non importa, davvero >>.
Non importa. Lo penso sul serio. Quella non è la mia camera e sarà Elise a doversi occupare del disordine domani mattina. Non voglio accedere in lei così tante volte da sfinirmi soltanto per sapere dove riporre ogni cosa.
Mia madre mi segue con lo sguardo quando arrivo ai piani superiori. Mi chiudo nella mia stanza. Santo cielo... è davvero successo il pandemonio qui dentro.
Non m'importa. In questo momento mi serve soltanto un computer; ho bisogno di controllare se Camila ha scritto qualcosa. È un bisogno pressante e per un momento – la frazione più piccola di un istante – desidero di non averlo. Troppo tardi, L. troppo tardi.
Inserisco l'indirizzo e la password di Austin, noto la casella delle notifiche con un nuovo messaggio non letto, ma prima che possa anche solo cliccarvi sopra, il mio cellulare inizia a vibrare.
Aaron.
<< Com'è lì la situazione? >>.
Senza mezzi termini. Come sempre, fratellone.
<< Hanno dato un bel po' di matto e non credo che papà ti farà le congratulazioni non appena tornerai a casa >> rispondo.
<< Senti, non posso tornare adesso. Vediamoci al solito posto, ti spiegherò tutto >> riattacca senza darmi il tempo di dire altro.
Mi gratto la nuca infastidita. Odio quando non riesco ad avere il tempo di considerare la situazione o meno. Aaron è nei guai, ma perché devo tentare di risolverli io i suoi guai?
Improvvisamente mi manca la sensazione di quando al mattino sono appena sveglia e non so ancora chi sono o quanto la mia giornata possa degenerare.
A malincuore chiudo la casella e-mail e mi avvio fuori dalla camera.
<< Dove stai andando? >> mi ferma mia madre sulle scale.
<< Valerie ha bisogno di una mano con... dei compiti >> invento sul momento, presa alla sprovvista.
<< Valerie? Elise, tuo fratello è stato appena accusato di aver spacciato droga e tu vai da Valerie? >> domanda sconcertata.
Mi stringo nelle spalle.
<< Per prima cosa, non sappiamo ancora se sia vero; secondo, non siamo braccati dalla polizia, terzo, non è con me che sei infuriata >>.
La sorpasso con facilità ed esco da casa senza darle il tempo di replicare. La priorità adesso è capire a quale "solito posto" Aaron si riferiva. Accedo in Elise e scopro che potrebbe trattarsi del boschetto vicino al lago che sono soliti frequentare.
Faccio un tentativo e ci vado.
Aaron ancora non c'è, così mi siedo sul tronco di un albero abbattuto. Non è un posto molto grande, ma sono completamente circondata dalla vegetazione e posso ascoltare i suoni della natura. Mi è sempre piaciuto restarmene da sola con me stessa.
Non posso fare a meno di pensare a Camila. Di nuovo. È come un impulso che si è radicato in me da ieri. Tempo breve, radici profonde.
Mi chiedo come sia andata la sua giornata scolastica. Mi si stringe lo stomaco a pensare con quali occhi colmi d'amore possa aver guardato Austin questa mattina. Chissà se sono riuscita a lasciare qualcosa di reale in lui.
Vorrei aver letto quella mail.
<< È sempre stato il tuo posto preferito quel tronco >> una voce mi coglie alle spalle.
Sussulto e mi giro incrociando lo sguardo di Aaron.
<< Sì? >>.
<< Già >> annuisce.
<< D'accordo. Senti, qui è tutto molto bello, ma ti conviene iniziare a parlare e ti conviene farlo in fretta; sono uscita senza dire nulla a papà e sono sicura che succederà il finimondo non appena se ne accorgerà. Devi tornare a casa con me >>.
Aaron annuisce di nuovo.
<< James mi ha venduto la roba, ma l'ho fumata stamattina. Ricordi in macchina? Ecco. Dopo gli allenamenti gliene ho chiesta dell'altra, ma qualcuno ci ha visti e James ha iniziato a spintonarmi dicendo che ero stato a vederla a lui >>.
<< Hai cercato di spiegare che tu non c'entri nulla? >>.
Aaron ride sarcasticamente.
<< Certo, e a chi pensi che crederanno? A me? Il padre di James è il fottuto avvocato più in gamba della città e va in giro sbandierando i buoni voti e i corsi extra che fa e la vita perfetta che ha >>.
Mi mordo il labbro inferiore. Questo è un tratto tipico delle persone in cui sono capitata; molto spesso, pur sapendo di avere ragione, di aver affermato la verità, decidono di credere alle bugie perché è più semplice. È più semplice per Aaron credersi un fallito che ha realmente venduto della droga che non farlo. Non è la verità. Io lo so, lui lo sa. Ma quando questa abbia smesso di essere una bugia e sia diventata la verità non lo so.
Nella sua testa deve avere molto più senso. Ho già vissuto una situazione simile. Ho già conosciuto qualcuno come mio fratello.
Quando torniamo a casa, papà spinge Aaron a muro. I miei occhi devono essere schizzati fuori dalle orbite perché davvero non me lo aspettavo.
<< COSA HAI COMBINATO? >> gli urla contro.
<< Non è come sembra, posso spiegare >> tenta di difendersi lui.
<< Beh, ti conviene farlo subito, ragazzino! >>.
Se prima era soltanto un'idea quella che, durante il tragitto in macchina, Aaron stesse mettendo su qualche scusa per i nostri genitori, diventa una certezza dal momento che lo sento parlare di una ragazza che gli piace e del fatto che lui e James abbiano fatto a botte per questo.
Nostro padre si calma, nostra madre sospira di sollievo. Io sollevo gli occhi al soffitto.
Sarà meglio per lui che questa tipa esista davvero, che gli piaccia o meno, prima che la situazione degeneri domani a scuola.
La consolazione nei loro visi è palpabile. A quanto pare l'idea di un figlio che s'improvvisa dal nulla il Romeo della situazione è molto più accettabile. Chissà un giorno, quando sarò grande abbastanza da capitare nel corpo di persone che sono dei genitori, che consigli darò ai miei figli del momento.
Rido fra me e me. Che pensieri stupidi. Mi preoccupo del giorno dopo e di cosa diranno a scuola. Come se potessi esserci anche domani.
Il problema delle vite che risucchiano tutta la tua attenzione, è che si crede di avere sempre più tempo. Si crede nel tempo disperatamente, come se il tempo potesse risolvere ogni sorta di arcano mistero presente nelle nostre vite.
Ma il tempo è inspiegabilmente veloce e lento contemporaneamente. E il tempo è impotente, siamo noi a dargli un significato.
Per poter finalmente leggere con calma la mail di Camila, devo aspettare che tutti siano andati a dormire.
Aus,
davvero non capisco... ieri sembrava tutto perfetto e oggi sei di nuovo arrabbiato con me. Mi hai detto che tutto era okay. Continuavi a dirmi di non ricordare del mare, dei castelli di sabbia e della musica. È per qualcosa che io ho fatto? Se ho sbagliato, per favore dimmelo. Non voglio che le nostre giornate finiscano come oggi. Voglio una nota felice.
Camila.
Le lacrime mi pizzicano agli angoli degli occhi e premono per uscire.
Vorrei poterle rispondere. Anzi, vorrei poterla andare a prendere, arrivare sotto casa sua, lasciare che si affacci alla finestra e rassicurarla.
"Andrà tutto bene, Camz." ma non ci sono garanzie, né promesse. Non posso offrirle nulla di tutto questo. Il pensiero mi tormenta e mi fa pulsare le tempie.
"Che cosa hai fatto, L?"
Vorrei tornare a ieri, ma ieri è passato. Vorrei tornare da lei.
Note Conclusive: Salve a tutti :') non c'è davvero molto da dire su questo capitolo, se non che (come avrete notato) Camila è poco presente, almeno per quanto riguarda il personaggio fisico.
Per L, Camila è sempre presente.
Si tratta di un capitolo di transizione, ma è utile per capire alcune caratteristiche di L e per mostrare come è costretta ad adeguarsi alle situazioni più improbabili che le si parano davanti.
L'ho riletto velocemente (poiché avevo programmato di postarlo domani ma boo yah!) e ho cercato di correggere tutti gli errori che ho trovato, se dovessero essercene altri gli darò una lettura più attenta e li sistemerò.
Il prossimo sarà decisamente, decisamente, decisamente più interessante ;) parola mia.
Lo sto già scrivendo e nel fine settimana dovrebbe essere pronto. Nel terzo ritroveremo Camila e *rullo di tamburi* finalmente introdurrò il personaggio di Lauren. (Come? Eh... chi lo sa) :)
Detto ciò uhm... direi che non ci sono altri avvertimenti/chiarimenti/curiosità.
See you :')
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Who Are You? [Camren]
Fanfiction"Da quando sono nata mi sveglio ogni giorno in un corpo diverso. Per un giorno, solo per uno, prendo in prestito la vita di qualcun altro. Nuova famiglia, nuovi amici, nuova casa e nuova scuola. La mia vita? Quella non esiste. E' una mera illus...