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Dormiva profondamente, esausto dalla settimana impegnativa

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Dormiva profondamente, esausto dalla settimana impegnativa. Si erano occupati di diversi villaggi, rifornendo gli abitanti dei beni che portavano, ascoltando le loro lamentele e rassicurandoli. Benchè il ruolo centrale toccasse, ovviamente, a Cassandra, era stato stancante anche per lui. Aveva sfruttato il proprio fascino come aveva sempre odiato fare, incantando il popolo e mostrando a tutti la persona splendida che era Cassandra.

Il suo corpo era illuminato dalla flebile luce della luna che filtrava dalla finestra, poiché si era dimenticato di tirare le tende. Il castello era immerso nel silenzio e nella pace.

Un urlo lo fece ridestare; gli sembrò che risuonasse dentro di lui, che facesse tremare i suoi organi. Si mise a sedere, con il fiato corto, e prima che riuscisse a calmarsi e correre fuori per scoprire che cosa stava succedendo, fu Eldon a entrare.

«Re! Sire!» urlò, e questo fece riconoscere a Erik la sua voce: era stato lui a gridare poco prima.

«Sarà meglio per voi spiegare in fretta», borbottò irritato. Scostò con violenza le coperte e si mise a sedere, anche se ancora aveva la vista sfocata dal sonno.

«C'è un incendio alla capitale, sire! È di portata enorme, sta inghiottendo ogni cosa! Sta distruggendo gli edifici nuovi che abbiamo fatto riparare, e quelli vecchi. La situazione è tragica, Maestà!»

La sua mente era ancora lenta e gli ci volle qualche secondo per elaborare quelle informazioni. Il suo cervello si attivò, poteva quasi sentire gli ingranaggi che giravano nella sua testa.

«Fate preparare i cavalli, andate a chiamare la principessa Cassandra e fate preparare tutti i soldati in servizio e le guardie. Lasciate solo dieci uomini qui, in caso di emergenza», ordinò infine.

Il consigliere sembrò sollevato dalla sua sicurezza e si dileguò. Erik avrebbe voluto tornare a dormire, ma il senso di dovere nei confronti del proprio popolo era più forte. Si vestì con le prime cose che trovò - un paio di pantaloni piuttosto vecchi e una camicia -, prese il proprio cappotto e uscì. Incontrò all'imbocco del corridoio successivo Cassandra, che aveva indossato la divisa che usava per allenarsi. Scelta saggia visto ciò che stavano andando a fare.

La prese per mano e si affrettarono insieme nel cortile, dove due cavalli - uno era Fulmine, dell'altro non ricordava il nome - già sellati li stavano attendendo.

La ragazza pareva turbata. Osservò con indecisione gli animali e deglutì. «Io... non so cavalcare», ammise imbarazzata.

«Oh... Mi... mi dispiace, non lo sapevo.»

«Come... come facciamo?» domandò Cassandra, arrossendo sempre di più.

«Sali davanti a me», rispose lui. Le sorrise, sperando di rassicurarla, e funzionò. Le indicò quindi Fulmine e lei annuì.

La ragazza mise il piede nella staffa, si aggrappò alla sella e si issò sul destriero. Si sbrigò a raggiungerla e fece partire Fulmine, ordinando che l'altro cavallo fosse riportato nella stalla. Fulmine partì subito al galoppo e Erik, abile, lo condusse con precisione.

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