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Sognò di nuovo la notte della tragedia e, quando si svegliò, impiegò qualche secondo ad accorgersi di stare piangendo davvero

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Sognò di nuovo la notte della tragedia e, quando si svegliò, impiegò qualche secondo ad accorgersi di stare piangendo davvero. Si mise a sedere e, nel vedere la stanza sontuosa in cui si trovava, si illuse per un secondo di essere nel castello e di poter cercare conforto in Erik.

In qualche momento i ricordi degli ultimi eventi tornarono nella sua mente e il peso della consapevolezza le gravò di nuovo sulle spalle. Si alzò e tirò le tende; la luce della prima mattina inondò la stanza. Aprì la finestra e respirò a pieni polmoni l'aria fresca, sperando che l'aiutasse a fare chiarezza e a scacciare l'incubo dalla sua mente. Dopo qualche minuto, si decise a lavarsi il viso e indossare il meno sgradevole tra quegli abiti pacchiani. Era verde pastello e sarebbe stato grazioso con qualche balza in meno e senza tutto quel raso. Per non parlare delle perle e delle maniche decisamente troppo gonfie. Legò poi i capelli in una treccia.

Fuori dalla sua porta trovò una cameriera ad aspettarla insieme a tre guardie armate.

«Chi sono questi uomini?» chiese subito, a disagio.

Appena la vide la ragazza fece un piccolo inchino. «Ben svegliata, signorina. Il padrone ha deciso che avrete una scorta personale che vi seguirà ovunque.»

Alzò gli occhi al cielo e osservò con aria truce le guardie. Veniva trattata come una bambina; anzi, no, a metà tra una donna indifesa e una pericolosa criminale.

«Inoltre, il padrone ha impegni questa mattina, quindi non potrá fare colazione con voi, ma vi vedrete per pranzo.»

Dovette trattenersi dal mettersi a saltare di gioia. «Ma che peccato. Ora vogliate scusarmi, ma desidero andare a fare colazione.»

Una delle guardie le mostrò la strada, mentre gli altri li seguivano a qualche passo di distanza. La sala era molto grande, con un tavolo decorato da un enorme vaso di fiori di ogni colore al centro e decine di pietanze dall'aspetto invitante. Non c'era nessuno a parte lei, e questo la rincuorò, benché non avesse dimenticato la promessa che Javier l'avrebbe raggiunta per pranzo. Mangiò un po' di frutta con delle frittelle, anche se si sentiva a disagio a causa delle tre guardie che la fissavano senza muoversi o parlare.

Quando si fu sfamata decise di andare a visitare il giardino. Si incamminò e osservò il prato ben curato, le piante rigogliose e i bellissimi fiori colorati che crescevano ovunque. Quel luogo le ricordava un po' il cortile del palazzo e così non poté fare a meno di richiamare alla mente tutte le passeggiate fatte con Erik. La nostalgia le fece bruciare gli occhi e le torse lo stomaco. Un nodo le strinse la gola, così invece che scacciarli decise di abbracciare i ricordi.

Si sedette a terra, prese un respiro e analizzò ogni bel momento trascorso con Erik. Lui che veniva a trovarla nella cella, che le riportava i suoi libri, che si sfogava con lei e l'ascoltava parlare; lui che le regalava l'abito, lui che la baciava. Lui che la usava, ma che poi era così pentito di averlo fatto da implorare il suo perdono. La loro relazione segreta che, credevano, avrebbe avuto una durata troppo breve, perché non c'era altra scelta. Loro due che non accettavano di dirsi addio e poi, finalmente, loro due che accettavano il rischio di un amore insensato ma profondo e reale.

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