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Non riusciva a dormire

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Non riusciva a dormire. Non conosceva il motivo di quella difficoltà, visto che quella giornata - quella successiva al ballo - non aveva portato alcuna novità o preoccupazione che potesse occupargli la mente. Pura quotidianità e più ore possibili trascorse insieme a Cassandra, nulla di più.

Si rigirò per l'ennesima volta tra le lenzuola ormai disfatte e provò a rilassarsi; non raggiungendo il risultato sperato, si premette il cuscino sulla faccia, soffocando un grido di frustrazione. Infine si arrese, prese il mantello, indossò gli stivali e uscì nel cortile. L'aria fredda lo colpì e gli fece mancare il respiro per un momento; prese poi un lungo respiro, sentendo il gelo bruciargli nei polmoni. Si sedette su una panchina, scrutando il giardino immerso nel buio e le mura che circondavano il palazzo.

Tutta la capitale ne era provvista, e infatti parte delle mura del castello si allungavano per proteggere gli edifici degli abitanti, ma il palazzo era provvisto anche di un secondo strato di mura che lo proteggeva dalla parte dell'entrata e da cui, giorno e notte, guardie scelte si assicuravano che non ci fosse alcun pericolo.

Strinse gli occhi per cercare di vederle, così da seguire la loro ronda per provare a rilassare la mente, ma sembravano tutte scomparse. Com'era possibile? Abbandonare la postazione era proibito e il cambio di guardia avveniva la mattina; anche in quel caso, comunque, le mura non venivano mai lasciate prive di sorveglianza, nemmeno per pochi secondi. Continuò a guardare, sperando di sbagliarsi, ma nessuno comparì nel suo campo visivo.

Con il cuore in gola, si alzò e si avvicinò. Da dove si trovava era impossibile non vedere le guardie, perché le piccole lanterne posizionate sulle pareti rischiaravano la zona. Il silenzio era inquietante, non c'era alcun rumore di passi. Imprecò. Doveva essere accaduto qualcosa. Qualcosa di grave. Ma allora perché nessuno aveva dato l'allarme? Era tutto surreale, privo di senso e spaventoso.

Sfilò dallo stivale un fodero in pelle e, da esso, un pugnale affilato. Lo portava spesso con sé, per sentirsi sicuro le poche volte in cui girava solo. Si guardò attorno con circospezione, tenendo davanti a sé l'arma, e poi si avviò con passo deciso verso il palazzo.

Non corse, tentando così di non attirare eccessivamente l'attenzione, ma arrivò comunque piuttosto in fretta all'interno. Con suo grande sollievo, le guardie che sostavano nei corridoi erano tutte al loro posto. Si fermò in prossimità di una di loro, cercando di dare un ordine ai mille pensieri che scorrevano furiosamente nella sua testa.

Prese la decisione qualche momento più tardi. Non allarmò alcuno dei soldati che incontrò e si diresse verso la stanza di Cassandra. Bussò con forse troppa energia per poi abbassare la mano un po' tremante, e attese. La ragazza aprì la porta qualche secondo dopo; indossava una lunga vestaglia bianca, portava in mano una candela poggiata sopra un piattino in ceramica e aveva un'espressione confusa in volto. Quando lo vide il suo viso si distese in un sorriso ma, subito, si rese conto dell'evidente tensione cui era sottoposto e si fece seria.

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