Il cinguettio degli uccelli, il cigolio di alcuni congegni meccanici, le risate spensierate di un gruppo di bambini, le onde che si infrangevano sugli scogli, le parole distanti di una ragazza. Quei suoni, così vicini e distanti allo stesso tempo, raggiunsero il mio orecchio trasportati da una piacevole brezza. Un sorriso beato si dipinse sul mio volto sognante. Il delicato tocco di una mano, tuttavia, interruppe il piacevole momento. Quando aprii i miei occhi, mi resi conto che non c'era nulla di tutto quello che avevo percepito mentre ero immerso nei miei sogni. Il cielo, di un cupo grigio lattiginoso, era lacerato in vari punti, come se degli artigli giganti avessero strappato di netto il tessuto di cui era composto; ciononostante, non era quello il dettaglio più assurdo dello strano panorama: dalle fessure fuoriuscivano degli ingranaggi a dir poco enormi, costituiti da lunghe file di ruote dentate e di cinghie di ogni larghezza e spessore. Alcune erano talmente lunghe da percorrere il cielo da una fenditura ad un'altra. Avevano forse il compito di "sorreggere" quella distesa indefinita chiamata cielo? O, magari, la loro funzione era unicamente quella di regolare il giorno e la notte?
Continuando ad osservare la volta grigia sopra alla mia testa, notai che non vi era alcun sole o una qualsivoglia forma di illuminazione; eppure la luce non sembra affatto mancare in quel luogo singolare. Feci ritorno nei miei pensieri, concentrandomi sui suoni che avevo udito e di cui non vi era più traccia, quando dei nuovi attirarono la mia attenzione: sembrava il battito d'ali di un uccello. Mi misi alla loro ricerca con gli occhi, spostando rapidamente lo sguardo da una parte all'altra del cielo, ma non riuscii a localizzarli. Forse era tutto nella mia testa, come i suoni che avevo percepito al mio risveglio. Proprio nel momento in cui persi l'interesse nel cercarli, uno di quei volatili si poggiò sulla mia spalla. Muoveva la testa a scatti, come se un meccanismo contenuto nel suo esile collo spoglio si fosse inceppato. Anche in questo caso, non si trattava della caratteristica più assurda che potevo osservare: la creatura in questione aveva sei occhi, tre per lato del muso, dalle iridi rosse come il sangue e privi di pupille, un corpo fino e slanciato, due paia di ali rachitiche che terminavano con artigli neri come la pece e una lunga coda ricoperta da brevi e affilati aculei. Il colore cinereo del suo scarno piumaggio doveva averlo aiutato a mimetizzarsi con il cielo, motivo per il quale era risultato così difficile da localizzare. Lo strano volatile mi fissò per qualche istante, muovendo il collo al solito modo, poi riprese il volo. Provai a seguirlo con lo sguardo, ma questo scomparve dietro ad una delle tante ruote dentate che alloggiavano nel cielo lacerato. Non avevo mai visto degli uccelli prima d'ora, o forse sì. Non saprei dirlo con certezza. Dai melodiosi suoni emessi, mi aspettavo delle creature più gratificanti da vedere, ma allo stesso tempo non ne ero deluso. In realtà non provavo proprio nulla; a parte una totale indifferenza verso tutto quello che potevo vedere o sentire. I miei pensieri si spostarono nuovamente sui suoni percepiti mentre sognavo; mi ricordavo della voce di alcune persone. Ma cos'era una persona? Un'entità che condivideva le mie stesse peculiarità? Un soggetto con il quale comunicare? Per quale ragione ne dovrei cercare una? Non ne avevo idea. Forse, in giro da qualche parte, c'è una di queste "persone" che ne sapeva qualcosa in più di me riguardo questo luogo, su cosa fosse e su come uscire. Ma perché uscire? Nonostante le stranezze che avevo potuto vedere e la sensazione di smarrimento che provavo in fondo al mio animo, sentivo di essere nel posto giusto, di essere a casa. Mi alzai lentamente da terra e mi resi conto che la mia ricerca sarebbe stata più complicata di quanto avessi pensato: di fronte ai miei occhi si apriva un panorama talmente assurdo da far impazzire chiunque altro si potesse trovare qui, ma non me. Il suolo su cui poggiavo i piedi era identico al cielo che avevo osservato fino a quel momento. Non c'era modo di capire dove finisce uno e dove iniziasse l'altro. L'orizzonte non pareva esistere in quel mondo assurdo: era tutto così... grigio.
Così come la normalità, non esistevano né il tempo né lo spazio. Si poteva camminare sopra quell'oceano cinereo per eoni ed eoni senza mai raggiungere una fine né, tanto meno, stancarsi. Ad arricchire il monotono panorama vi erano delle rovine in pietra che "galleggiano" nel pallido suolo: archi in muratura disseminati qua e là fino a dove il mio occhio poteva arrivare, colonne doriche piantate come se fossero precipitate dal cielo, resti di mura ed edifici in pietra, alcuni ricoperti di fogliame, altri completamente spogli. L'unica cosa che tali macerie sembrano avere in comune era la provenienza, in quanto si somigliavano moltissimo tra di loro. Non tutte, però, galleggiavano sulla limpida superficie dell'assurdo mare. Altre rovine preferivano fluttuare in aria senza una meta precisa, ignorando la gravità o qualsiasi altra legge fisica esistente. Se ne stavano lì, sospese ad osservare le proprie compagne che affogavano lentamente nel grigio e smorto mare dell'oblio. A fare compagnia ai ruderi volanti vi erano anche delle grandi sfere dorate ricoperti da simboli a me sconosciuti. Provai a tendere la mia mano verso la sfera più vicina, ma questa si rivelò irraggiungibile. Era proprio di fronte ai miei occhi e sarebbe bastato anche un solo passo per toccarla. Ancora una volta, la logica sembrava aver lasciato il posto all'irrazionale, al disordine. In quello strano mondo, ogni legge funzionava in modo tutto suo. Provai quindi con i ruderi di pietra, ottenendo però il medesimo risultato. Come nel caso dei suoni di prima, poteva trattarsi solo di un brutto scherzo giocatomi dalla mente; in realtà poteva non esistere nulla di tutto ciò che stavo osservando. Per questa ragione, probabilmente, non riuscivo a interagire con quel mondo. Lasciai perdere la sfera, le misteriose rovine e tutti gli strani oggetti imprigionati nel monotono panorama e ripresi il mio viaggio eterno alla ricerca di una "persona" con cui "comunicare". Ma cosa significava comunicare? Era forse un modo di trasformare il mio pensiero in qualcosa di tangibile per coloro che lo avrebbero ascoltato?
STAI LEGGENDO
Il Paradiso Perduto
Science FictionÈ possibile formare nuovi legami, creare amicizie, far nascere amori in un mondo il cui domani non è una certezza, dove la vita di ogni individuo è costantemente sull'orlo di un precipizio? In "Il paradiso perduto" verranno narrate le vicende di alc...